Rinaldo Rotta
Il viziaccio dell’arte

Michela Bompani

«Questo lavoro è un vizio: sono pazzo di lui, potrei già essere in pensione, ma non ci penso neppure», l’ha ribadita fino all’ ultimo, con la solita ironia, la sua gioiosa passione per l’arte e per la sua galleria, la più antica d’ Italia.
Se n’è andato domenica, a 75 anni, Rinaldo Rotta, portando con sè 80 anni di arte a Genova.
Il “mestiere” di gallerista, lo aveva ereditato dal padre, Roberto, che nel 1919 aveva aperto la Galleria Rotta, in via XX Settembre, nei locali un tempo occupati dal Cinema Moderno.
Il padre aveva visto naufragare in guerra il proprio avvenire di violinista, quando una bomba gli aveva portato via una falange; ricoverato a Ferrara, in un ospedale militare, era diventato amico di altri degenti: si chiamavano Giorgio De Chirico e Carlo Carrà.
Fu proprio De Chirico a convincerlo ad aprire una galleria.
Rinaldo era cresciuto così, nelle mostre e negli studi degli artisti, al seguito del padre.
La spontaneità e la visceralità, che lo hanno sempre contraddistinto, lo spinsero sulla strada dell’arte: a quindici anni vendette il suo primo quadro a ventiquattro partì, senza un soldo, per Parigi, a venticinque ritornò a Genova con gli artisti del Gruppo Co.Br.A nello zaino, per fare il gallerista, accanto al padre, ma apportando il contributo della “propria” sensibilità.
«Tra Roberto e Rinaldo Rotta – ricorda Franco Sborgi, docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’ Università di Genova – ci fu una sostanziale continuità: Rinaldo potenziò i rapporti con Giorgio De Chirico, con cui ebbe un rapporto costante come amico e come gallerista.
Ebbe il merito di portare a Genova e far conoscere gli artisti di Co.Br.A.
Nei primi anni ’70 produsse l’esperienza della Saman Gallery, con Germano Celant ed Ida Gianelli, in cui vennero fatte mostre di buon livello: ricordo un intervento molto interessante di Sol Lewitt».
Nel ’72 morì il padre, Rinaldo abbandonò la filiale milanese della galleria, aperta da pochi anni, per tornare a Genova e proseguire: «La Galleria Rotta, negli anni ’60 e ’70 – spiega Franco Sborgi – fu un punto di riferimento forte non solo per la cultura ligure, ma anche italiana ed internazionale.
Rinaldo Rotta curò con Emilio Bertonati, milanese, collezionista ed esperto d’ arte, una mostra su simbolismo e futurismo in Liguria, dimostrando di aver percepito con grande sensibilità il crescente interesse su quei temi».

Chi ha condiviso con Rinaldo Rotta molti dei suoi passi, chi è cresciuto accanto a lui, anagraficamente, e grazie a lui ed al padre, artisticamente, è Aurelio Caminati, profondamente colpito dalla perdita di un buon compagno di viaggio.
«Nella galleria Rotta si è vista passare la storia dell’arte italiana ed internazionale di una parte del ‘900 – racconta con commozione l’artista – da De Pisis a Mafai, da Rosai a Guttuso, da Morlotti a Tosi, da Kokoschka a Chagall, da Mirò a Picasso.
La galleria più antica d’ Italia ha un curriculum di tutto rispetto.
Tutto merito di Roberto Rotta, che aveva un fiuto infallibile e poi di suo figlio Rinaldo, un mio coetaneo, che tentò di rinnovare la galleria proprio con nomi “nuovi”, con le sue scoperte: il Gruppo Co.Br.A., e, dal terreno genovese, Fieschi, Mesciulam, Chiti e me.
Rinaldo aveva un rapporto strettissimo di amicizia con i “suoi” pittori, aveva un modo “antico” di essere tutore e promotore degli artisti che presentava. Rinaldo è stato un gallerista onesto, anche con gli artisti: una cosa rarissima. Che cosa mi mancherà di più? Era un uomo di una genuina semplicità. Mi mancheranno la sua barba, la sua ironia, la sua allegria. Sapeva quale fosse il valore della vita: il valore di un abbraccio e il valore di un amico».