LA MOSTRA DEI PITTORI LIGURI DELL’OTTOCENTO

Giovanni Riva

Genova, Palazzo Rosso


Organizzata sotto gli auspici della Confederazione Fascista dei Professionisti ed Artisti – Unione Provinciale di Genova – ed ordinata nelle Sale terrene di Palazzo Rosso, finalmente sistemate in maniera acconcia e rispondente allo scopo, questa mostra della pittura ligure del Secolo scorso è venuta ad inserirsi tra quella della pittura barocca genovese (di cui ha trattato, con la competenza che gli e propria, Orlando Grosso nel numero di agosto di questa stessa rassegna) e quella di arte contemporanea, l’annuale mostra interprovinciale del Sindacato Fascista delle Belle Arti, di cui ci occuperemo or ora.
E’ pero completa e valorizza il panorama dell’arte genovese dal tardo ‘5oo sino ai giorni nostri.
Piu opportuna celebrazione non si poteva pensare, soprattutto per combattere l’errata opinione dei molti, anche fra gli eruditi e gli studiosi, che hanno sempre caparbiamente negati i valori essenziali ed i caratteri deferenziali di un’arte propriamente ligure, anzi, per certi periodi ed in un senso più ristretto, genovese.
Anche per questa mostra della pittura ottocentesca le opere furono scelte con criteri di opportunità dimostrativa e disposte in ordine quasi rigorosamente cronologico, pur tenendo conto delle esigenze ambientalmente estetiche della esibizione (fatica particolare di Orlando Grosso, efficacemente assistito da Paolo De Gaufridy da Armando Barabino e da Tomaso Pastorino), con particolare riguardo, quanto al numero delle opere di ciascun autore, alla importanza storiografica d’ognuno di essi,  soprattutto di taluni come il Rayper ed il Merello dei quali il primo e malnoto ed il secondo pressoché ignoto, pur essendo due personalità pittoriche di primissimo ordine, che la mostra attuale addita alla critica siccome due doverose rivendicazioni dell’arte italiana dell’ottocento, in maniera particolare Rubaldo Merello ch’è una delle figure più originali ed eminenti dell’arte mondiale. (Solenne riaffermazione dell’acume critico di Paolo De Gaufridy che da alcune decine d’anni, profeta solitario ed inascoltato, proclama una verità che comincia a farsi sentire e che l’avvenire sanzionerà nella sua innegabile ed indiscutibile evidenza).
Per alcuni dei pittori presenti nella mostra attuale – come già tra quelli rappresentati in quella precedente del Sei e del Settecento – giova tener presente che la loro partecipazione, ristretta ai soli quadri di cavalletto, e insufficiente a delinearne intera la personalità pittorica in quanto, rimasti fedeli alla bella e gloriosa tradizione genovese dalla pittura murale, e necessario considerare questa loro attività preminente, cosi che per il Baratta, l’Isola, il Semino, il Peschiera, il Gandolfi, il Barabino, il Bertelli, i Quinzio non possono essere ritenute definitivamente probanti le loro sole pitture ad olio; e in questo soccorre lo studioso la obiettività critica del catalogo che Orlando Grosso ha dotato di una nota sinteticamente ma obiettivamente illustrativa nel periodo in esame e Tomaso Pastorino di note biografiche e di indicazioni bibliografiche che consentono la ricerca del materiale sparso, ma indispensabile ad uno studio conclusivo su ciascun autore.

Presenti in mostra: Barabino, Tammar Luxoro, De Andrade, De Avendano, Issel, Raggio, Varni, Rubaldo Merello, Giannetti, Castagnola, Torriglia, Antonio Quinzio, Giovanni Quinzio, Bertelli, Cambiaso, Pittara, Fontanesi, Figari, Costa, Cesare Viazzi, Sacheri, De Servi, Nomellini, De Albertis; Pennasilico, Cominetti, Conte, Olivari, Maragliano, Motta.

Nicolò Barabino