Una delle caratteristiche più significative del futurismo è costituita dall’ampiezza e dall’articolazione delle proprie diramazioni sul territorio nazionale.
In particolare negli anni Trenta, ma con importanti momenti già negli anni precedenti, il futurismo è “movimento” nel senso più ampio del termine, assumendo aspetti, caratteri e modalità operative prossime a una organizzazione di massa.
Esso si sviluppa in molteplici situazioni locali intorno a personalità, si articola in gruppi, coordinamenti, riviste, “case d’arte”, centri di cultura e di iniziativa, situazioni molto vivaci come mostre, concorsi, partecipazione a opere pubbliche.
Nessun altro movimento d”arte e di cultura saprà assumere per un periodo così ampio – che avrà vita dalla data del Manifesto del 1909 fino alla scomparsa del suo capo Filippo T0mmaso Marinetti nel 1944 – i connotati di un’avanguardia partecipata da centinaia di aderenti, localizzata pressoché ovunque in centri piccoli e grandi del paese (non a caso si è scritto anche di una “storia municipale del futurismo), riferimento moderno nelle arti e nel costume di una cultura artistica decentrata.
Sui caratteri di “avanguardia di massa” raggiunti dal futurismo si pensi non solo ai “500 aeropittori italiani” di cui scrive Marinetti nella presentazione delle sale futuriste alla Biennale di Venezia del 1934 o ai quasi duecento espositori della Mostra nazionale futurista di Roma del 1933, cifre comprensibili per un movimento che tentava di affermarsi come gusto ufficiale, ma anche alle 461 opere dei 68 artisti della Grande Esposizione nazionale futurista tenuta a Genova nel 1919.
La mostra di Palazzo Ducale consente l’opportunità di conoscere, accanto ai “grandi temi” del futurismo, anche il suo percorso complessivamente articolato e molto più ricco e vivace di quanto sia comunemente ritenuto, nella realtà di Genova e della Liguria.
Le ricerche compiute con Caterina Olcese Spingardi per redigere i Regesti del futurismo in Liguria si sono basate, oltre che sulla rara bibliografia e sui pochi studi effettuati sull’argomento generalmente rivolti alle diverse esperienze del cosiddetto “secondo futurismo”, sull’attenta lettura delle cronache giornalistiche e sui documenti d”epoca.
L’immagine complessiva è quella di una regione ricca di avvenimenti, situazioni, personaggi che in diversi momenti assurgono ai livelli più autorevoli, diventando parte integrante di una storia non locale del movimento.
Si tratta, però, di una storia regionale che non acquista quasi mai i caratteri di una dimensione organizzativa ligure quanto, invece, nelle situazioni e nei tempi diversi, di realtà articolate nelle varie località e su figure particolari spesso collegate direttamente alle personalità centrali del movimento, in particolare a Marinetti e a Fillia.
E così nella seconda metà degli anni Venti con le esperienze di Alf Gaudenzi, Dino Gambetti, Tullio d”Albisola; conferma la sua vitalità con la straordinaria stagione futurista vissuta alla Spezia fra il 1932 e il 1934; incontra un momento di riconoscimento ufficiale e nazionale con la I Mostra di plastica murale di Genova del 1934;
prosegue per tutti gli anni Trenta con le sperimentazioni nella ceramica, nell”editoria, nella grafica, nella poesia di Tullio d’Albisola e di Farfa: si chiude a Savona intorno alla poliedrica figura di Giovanni Acquaviva.
Naturalmente le maggiori difficoltà della ricerca hanno riguardato la restituzione degli avvenimenti dei primi anni del Novecento.
Pur nella consapevolezza dell’impossibilità di individuare fenomeni propriamente “futuristi” in Liguria nelle manifestazioni artistiche e culturali della regione nel periodo antecedente la prima guerra mondiale, si e voluto qui dare conto di tutte quelle esperienze che in questo stesso periodo hanno contribuito a diffondere la conoscenza dell’avanguardia, a modificare e influenzare atteggiamenti creativi, a preparare le adesioni del successivo periodo tra le due guerre.
In queste prime pagine si troveranno pertanto dati concernenti la presenza di Marinetti e altri futuristi a Genova e in Liguria, con le relative reazioni da parte del pubblico e della critica nei confronti delle loro performance.
Così come sarà possibile verificare la capacità ricettiva e la partecipazione della pubblicistica e della critica locale al dibattito sul movimento e sulle sue manifestazioni.
Non ultimi i dati sulle ricerche artistiche tangenti o affini a quelle futuriste.
Dal gran numero di dati riportati si potrà facilmente constatare come, all’interno di un clima culturale dominato da simbolismo e divisionismo, la conoscenza e l’interesse per il movimento si siano manifestati non soltanto con una certa tempestività, ma abbiano anche avuto uno sviluppo nel tempo, non certo sporadico e occasionale, fin dai primi anni del secolo, che vedono il giovane Marinetti, laureatosi nell’Ateneo genovese nel 1899, collaborare a riviste, partecipare a conferenze e dibattiti.
Marinetti vive il clima simbolista di cui e ricca la cultura genovese del tempo con figure come il pittore Giuseppe Cominetti
o come l’intellettuale, poeta e giornalista Mario Morasso con cui condivideva la collaborazione alle riviste “Poesia” e “Iride”, anticipatore di molti temi futuristi, come quando scrive emblematicamente il capitolo è titolato Il Monumento moderno.
La Macchina – di aver provato la massima “commozione estetica” di fronte allo spettacolo di “un treno diretto lanciato a tutta corsa attraverso alla campagna al far della sera”.
E poi, ancora, nel proclamare: “Al fuoco il libro, noi vogliamo sottrarci al suo giogo arcaico, vogliamo essere noi, vogliamo uscire dai musei, dalle accademie, da tutti i luoghi rinchiusi, bui e silenziosi, da tutti i depositi di anticaglie e di muffa, da tutti i recinti del passato, e col tramite più veloce, più veemente, sia l”automobile, sia il tram elettrico, vogliamo correre fra i nostri compagni che lavorano e che amano, vogliamo correre là dove si opera, dove si lotta, dove si crea, dove si vive.
Motivi che torneranno quasi identici nel Manifesto del 1909.
Dopo la fondazione del movimento futurista saranno numerose le occasioni di incontro di Marinetti e dei suoi compagni d”arte con la realtà ligure, investita di conferenze, concerti, tournee teatrali, mostre.
Nella Serata futurista al Politeama genovese del 1914 (con Marinetti, Boccioni, Carrà, Mazza e Russolo
con i suoi “intonarumori”), Marinetti, malgrado il pubblico lo accolga con fischietti, campanelli, raganelle e lancio di legumi, esordisce elogiando Genova, “città… americana, fervida di traffici e sonante di officine”.
Un anno dopo, nello stesso teatro, la rappresentazione del Teatro sintetico futurista e impedita dagli schiamazzi del pubblico e dal lancio di arance e patate sul palco.
Interviene Marinetti che si dichiara stupito di una simile accoglienza da parte di Genova, “città futurista per eccellenza”, affermazione che viene accolta con fischi e pernacchie finché l’oratore sarà costretto a ritirarsi.
Insieme con il mare della Liguria, cui Marinetti sarà affezionato e fedele per tutta la vita – sulle Riviere, a Oneglia, Levanto, Albisola, nelle località del Golfo della Spezia, Rapallo, trascorse con la moglie Benedetta e le figlie lunghe vacanze estive – una fonte di riferimento costante resta il mondo dei traffici portuali e dell’industria.
Lo afferma lo stesso Marinetti in un”intervista del 1934: “Ho studiato legge all’Università di Genova e dalle finestre di un albergo che dominava Piazza Caricamento bevevo la fluttuante e intricata visione di funi vele nuvole transatlantici che mi incitavano a poetare più che ad approfondire il diritto romano.
Nacquero sul Molo una volta chiamato Giano i miei primi due libri La conquista delle stelle e Distrazione.
Più tardi verrà Spiralando sul Biancamano, cronaca aerofuturista dell’arrivo del transatlantico nel porto di Genova”.
Ancora al porto di Genova Marinetti dedicherà la gara nazionale di poesia Gli affari del primo porto mediterraneo d ‘Italia Genova, svolta nel gennaio 1935 nel Palazzo Ducale fra le iniziative collaterali alla Mostra di plastica murale.
Se nessun artista ligure figura fra gli iniziatori del movimento, a parte una dibattuta evversata – forse dallo stesso Boccioni – adesione di Cominetti al Manifesto dei pittori futuristi del 1910, numerosi e significativi sono i’ pittori che avvertono il nuovo linguaggio estetico di cui restituiscono un”originale mediazione fra futurismo e simbolismo.
Oltre allo stesso Cominetti, amico di Severini e Marinetti negli anni parigini, incontriamo: Cornelio Geranzani,
che nel 1910 espone con Balla a Roma; Enrico Castello “Chin” e Sexto Canegallo,
compagni d’arte a Milano di Romolo Romani, firmatario della prima edizione del Manifesto; Domingo Motta, cui si devono l”invenzione del “cromometro” e di un prontuario per la traduzione dei suoni in colori, che nel 1918 dipinge La metropoli del futuro.
Sono gli artisti di un’originale stagione dell’arte a Genova cui Emilio Bertonati dedicherà una significativa mostra della Galleria del Levante, dove la problematica scientifica del “complementarismo” si fonde con ansie moderniste e continuità di gusti e culture.
La persistenza del gusto simbolista e della tecnica divisionista si avverte ancora negli anni Venti nelle personalità di Emanuele Rambaldi,
vivificatore dell’ambiente chiavarese, e di Gian Silvio Agostoni “Cirillo”,
pittore, illustratore, autore di “ceramiche indiavolate, cuscini vivacissimi”, che alla I Mostra internazionale delle arti decorative di Monza viene premiato per i suoi giocattoli realizzati con tavolette di legno fantasiosamente sagomate e colorate, vicini agli oggetti ideati nello stesso periodo da Depero.
Ritroviamo ancora “Chin” Castello che, emigrato in Brasile come istruttore pilota, alterna alle esperienze di pioniere dell”aviazione una pittura anticipatrice di sensazioni proprie dell’ aeropittura degli anni Trenta.
Una personalità di maggiore notorietà è quella dello spezzino Giovanni Governato, detto il “Cromatico”,
che dalla rivista simbolista “Eroica” passa all’avanguardia più provocatoria.
Per questa mostra, se è stato impossibile ritrovare le opere degli anni Venti di Governato, si è comunque riusciti a ricostruire il suo percorso artistico vissuto nell’ambito di un futurismo anarchico, dalle prime esperienze spezzine del 1920, molto apprezzate da Marinetti, alle mostre di Parigi e di Praga (1921), di Berlino (1922), fino al suo intervento al Primo congresso futurista al Teatro Dal Verme di Milano del 1924.
Il rapporto fra arte e politica conosce in Liguria un altro caso singolare nella figura di Arturo Cappa, direttore del settimanale savonese “Bandiera Rossa”, collaboratore di Gramsci e dell’ “Ordine Nuovo”, eletto nel marzo 1921 primo segretario ligure del Partito comunista italiano.
Cappa è molto vicino ai futuristi essendo il fratello di Benedetta, che sposerà Marinetti nel 1923, e il compagno della pittrice futurista boema Rougena Zatkova.
Sarà proprio lui a scrivere sul foglio torinese sull’arte e la rivoluzione” e a tentare – nel momento in cui va in crisi il rapporto fra Marinetti e Mussolini e quando la Terza Internazionale considera Marinetti un “intellettuale rivoluzionario” – l’incontro e la saldatura fra avanguardia della politica e dell’arte, tra i futuristi e la sinistra gramsciana.
Consumati inutilmente questi tentativi, con l’avvento al potere del fascismo si aprirà per Cappa la via dell’ emigrazione politica.
Nella seconda metà degli anni Venti si affermano quelle presenze artistiche destinate a rimarcare in modo significativo e per lungo tempo le vicende del futurismo ligure.
Nel 1926 i pittori genovesi Alf Gaudenzi e Dino Gambetti si trasferiscono a Torino, dove entrano in contatto con il gruppo di Fillia, Diulgheroff, Oriani, Rosso, Farfa.
Intorno agli stessi anni Tullio Mazzotti, che si appresta a diventare, su suggerimento di Marinetti, Tullio d’Albisola, inventa la ceramica futurista ponendo le premesse che faranno della sua fabbrica il centro del rinnovamento della ceramica e di Albisola una delle capitali europee della cultura figurativa e della poesia.
Nel 1927 Depero disegna bozzetti di tappeti per la fabbrica MITA dell’ingegnere Ponis di Genova-Nervi e l’architetto Alberto Sartoris progetta una curiosa Cappella-bar per un collegio di monache di Chiavari.
Le idee e i progetti di Sartoris compariranno ancora sulla, pagina settimanale, curata da Attilio Podestà, del quotidiano genovese “Il Secolo XIX” (1932-33), e sulla rivista futurista spezzina “La Terra dei Vivi” (1933).
Gli anni Trenta sono importantissimi e restituiscono l”immagine di una vitalità artistica e culturale probabilmente irripetibile in cui è costante la personalità vulcanica di Marinetti.
Gaudenzi, di cui è di notevole interesse l”attività nella grafica pubblicitaria, dopo la partecipazione alla XVI Biennale di Venezia del 1928 e alle esperienze teatrali e letterarie romane del 1929 (dove, fra l’altro, mette in scena il Re Baldoria di Marinetti),
nel 1930 costituisce a Genova il Gruppo Sintesi con Gambetti, Lombardo, Picollo, Pierro, Verzetti, Alfieri e Tullio d’Albisola; nel 1932 aderiranno Violante e Lionni.
I futuristi di Sintesi danno vita a una fortunata stagione di mostre intorno alle quali ruotano “serate”, convegni letterari, battaglie contro la pastasciutta e “suppliche” per la salvezza dei ravioli e delle “trenette avantaggiate col pesto”, gare di poesia – i famosi “circuiti di poesia” – e i non meno famosi “aeropranzi” di Genova, Chiavari, Albisola, Savona, Altare, La Spezia.
Quello di Chiavari, svolto nell’ambito di una grande mostra d”arte con conferenze, serata teatrale e gara di poesia, sarà raccontato da Marinetti e Fillia.
Nel 1932, in una mostra dei gruppi futuristi liguri e piemontesi alla Galleria Vitelli di Genova, il Comune di Genova acquista i dipinti Senso di gravità di Fillia, San Francesco di Gaudenzi e la scultura La famiglia di Rosso.
Seguirà nel 1935, sempre grazie a una mostra futurista alla Galleria Vitelli, l’acquisto di Nitrito in velocità di Depero, ultima opera entrata a far parte della “collezione futurista” del Comune di Genova, iniziata con un Cominetti del 1925 e la Quindicenne di Tullio d’Albisola, acquistata alla Sindacale del 1931.
Le opere futuriste della Galleria d’Arte Moderna di Genova-Nervi vengono esposte per la prima volta nella presente occasione e studiate in questo catalogo da Maria Flora Giubilei.
Nell’ambito della mostra futurista del 1932 si svolge la sfida fra i Poeti Record proclamati nei diversi circuiti di poesia di Milano, Torino, Roma, Napoli, Genova, Firenze, Trieste, Chiavari e Verona.
I poeti declamano i loro versi e vengono giudicati e premiati direttamente dal pubblico secondo la durata e l’intensità degli applausi.
In altre parole l’ “applausometro” di televisiva memoria è un’invenzione dei futuristi.
Vince Farfa, poeta-pittore di origini triestine residente a Savona dal 1929, che viene “infrontato” con il Casco di Alluminio da Marinetti in un aereo idrocorsa Caproni a mille metri di quota nel cielo di Genova.
L’immagine di Farfa Poeta Record Nazionale, incoronato con il Casco di Alluminio, compare sulla copertina del suo più importante volume di poesie”.
Altri momenti di poesia troveranno la loro centrale ad Albisola, ancora grazie a Tullio, Poeta Record di Torino nel 1930; a Rapallo, nei rapporti fra Marinetti con Ezra Pound che dedica a Benedetta un numero del “Supplemento Letterario” della rivista “Il Mare”, pubblicandovi una lettera di Marinetti; a Savona, con Farfa e la numerosa compagine di poeti, letterati e artisti; alla Spezia.
Fra i luoghi della Liguria in cui è più evidente il rapporto fra ambiente naturale e artificiale e creatività futurista va sicuramente ricordata La Spezia con le località del suo Golfo.
Negli anni fra il 1932 e il 1934 la città assurge al ruolo di una autentica capitale del movimento futurista.
Nel novembre 1932, su progetto dell’architetto Manlio Costa, nasce la Casa d’Arte, “primo esempio di un edificio lirico-funzionale”, decorata con opere di Fillia e Carmassi.
La Casa viene inaugurata con una delle primissime mostre d’arte sacra futurista e di aeropittura.
Marinetti vi tiene numerose conferenze, vi promuove il Premio nazionale di pittura Golfo della Spezia e pubblica alcune opere per le sue edizioni.
Per iniziativa della Casa d’Arte e di Fillia, che la dirige, nasce la “La Terra dei Vivi”, una rivista “quindicinale di turismo-arte-architettura” (di cui usciranno sette numeri) che rappresenta un notevole esempio della rinnovata attenzione del futurismo verso una nuova estetica del paesaggio.
La rivista, che costituisce la realizzazione di un progetto a lungo meditato da Fillia, “glorifica tutti gli splendori naturali dei paesaggi italiani perfezionati e divinizzati dalla veloce vita aerea marina e terrestre umanamente valorizzati dalla organizzazione turistica e dal rinnovamento architettonico”.
Vi compaiono articoli sulle più belle località del Golfo: Lerici, Tellaro, Portovenere.
Alla rivista collaborano Marinetti, Dottori, Oriani, Orazi, A.G. Bragaglia, Prampolini, Fillia, d’Errico, Carli, Tozzi, Buzzi, Fiorini, Luchini, gli architetti Le Corbusier, Max Osborn, Mazzoni, Sartoris, Terragni e Zollinger, gli spezzini Righetti (condirettore), Cleta Salmojraghi, Failla, Formentini.
La rivista bandisce il Premio nazionale di pittura Golfo della Spezia che viene vinto, fra 86 artisti partecipanti, da Gerardo Dottori con Il golfo armato, un grande trittico con immagini della Spezia, Lerici e Portovenere in cui “sono glorificate le bellezze naturali e le forze militari e meccaniche del golfo”.
Di quest’opera sono andati smarriti i due pannelli laterali, nel frattempo Marinetti lancia la sua sfida ai poeti d’Italia, invitandoli a cantare il Golfo della Spezia.
Raccolsero la sfida 92 poeti, la giuria formata da Prampolini, Fillia, Orazi, Mazzoni e Costa ne selezionò 14 che si affrontarono al Teatro Civico il 3 e 4 Ottobre 1935.
Venne proclamato vincitore Marinetti con il “Parolibero Aeropoema del Golfo della Spezia”, gli altri premiati furono: Covoni, Farfa, Righetti, Steiner e Scurto.
Col gran finale della serata al Civico e, di lì a poco, con l’inaugurazione del Palazzo delle Poste dell’architetto Mazzoni e la realizzazione del mosaico Le Telecomunicazioni di Fillia e Prampolini si avviava a conclusione l’esplosiva aerovita spezzina
La Spezia con il suo golfo offre a Marinetti e ai futuristi motivi di ispirazione e di riflessione.
In questi territori si fondono superbe bellezze naturali con le cattedrali della “modernolatria” futurista: le strutture d’acciaio di navi da guerra, cannoni, fabbriche, voli di idrovolanti e cantieri.
La città diventa laboratorio ideale per la ricerca e la messa in pratica delle teorie futuriste con il nuovo piano regolatore del Gruppo Urbanisti Romani, le architetture di Costa e Mazzoni, le plastiche murali di Fillia e Prampolini, le visioni aeropittoriche di Dottori e Tato, gli aeropoemi di Marinetti.
Ancora dalla “Terra dei Vivi” Marinetti lancia “una grande sfida a tutti i poeti d”Italia per glorificare le vaste e varie bellezze naturali e artificiali” del Golfo della Spezia, considerato “la più elegante fusione del paesaggio italiano plastico-colorato col dinamico progresso meccanico-navale-aviatorio della nuova grande Italia Fascista”.
Alla “sfida” rispondono 92 poeti. La giuria ne seleziona 14, che si affrontano le sere del 3 e 4 ottobre 1933 sul palcoscenico del Nuovo Teatro Civico, ricostruito pochi mesi prima secondo linee “moderne” da Franco Oliva.
Marinetti, che per l’intemperanza del pubblico rifiuta di recitare i propri versi di “Meriggio del Golfo della Spezia”, parte centrale di un più grande “poema parolibero” composto nelle località del golfo da lui frequentate (sono rimasti famosi i suoi bagni all’isola del Tinetto, le vacanze estive a Levanto, la “notte futurista” a Lerici, lo stupore per le bellezze di San Terenzio, Tellaro e della Palmaria), viene ugualmente proclamato vincitore assoluto.
Altri premi andranno a Corrado Govoni, Farfa, Renato Righetti, Giuseppe Steiner, Ignazio Scurto, che fu l’estensore del “Manifesto di Aeropoesia di Guerra. Aeropoetici amori tra diversi calibri”
L’aeropoema del Golfo della Spezia di Marinetti
verrà edito dalla Casa d’Arte e, nel 1935, da Mondadori, mentre le altre composizioni premiate saranno pubblicate sull’ultimo numero della “Terra dei Vivi”, uscito nell’ottobre 1933.
Insieme alle liriche le località del golfo ispireranno pittori, come Dottori, il quale, oltre al citato trittico vincitore nel Premio del Golfo della Spezia, dipinge Golfo della Spezia, 1935; come Fillia: L’idolo del cielo (Il Golfo della Spezia), bozzetto per la decorazione della Casa d”Arte, 1932; Portovenere, Il castello di Lerici, Case di Lerici-Tellaro, Case con golfo (Tellaro), 1932-33; come Tato (Aero-pittura n. 1, 1932).
A questo breve ma eccezionale periodo futurista spezzino partecipò anche il pittore locale Giuseppe Ugo Caselli con il dipinto Protovenere.
Prampolini realizza i dipinti Ritratto di Marinetti poeta del Golfo della Spezia, 1933-34 , e Marinaio nello spazio (Marinetti poeta del Golfo della Spezia), 1934, con cui parteciperà alla Quadriennale romana del 1935.
Tutte queste opere sono esposte in mostra.
Fillia e Prampolini realizzano nel 1933 per il Palazzo delle Poste della Spezia, progettato da Angiolo Mazzoni, le decorazioni situate all’interno della torre delle scale: quattro grandi mosaici ceramici eseguiti dalla Ceramica Ligure di Ponzano Magra sul tema Le vie del mare e del cielo.
Di Fillia sono le Comunicazioni terrestri e marittime, mentre di Prampolini le Comunicazioni telegraƒiche, telefoniche ed aeree.
Nello stesso anno Fillia realizza la pittura murale Il Golfo della Spezia nella Sala d”Onore del palazzo del Municipio, mentre nel 1936, in memoria dell’artista morto pochi mesi prima, vi sarà collocato un grande mosaico realizzato ancora dalla Ceramica Ligure su disegno di Fillia, Trasporti marittimi.
Le due opere andranno distrutte con l’edificio nei bombardamenti del 1943, insieme a quadri e sculture futuristi acquistati dal Comune, fra cui anche il citato trittico di Dottori.
Il Futurismo ebbe alla Spezia anche un ruolo di grande rilievo nell’espansione edilizia, con il dinamismo di una progettualità risolta in chiave eclettica, modernista, futurista e razionalista. Nel 1933 una vera e propria pattuglia futurista percorse in lungo e in largo le sponde e le soprastanti colline del Golfo, primi fra tutti Fillia e Prampolini, Di Bosso, Perruzzi, la Mori e lo spezzino Balestri.
Lerici e il suo Castello, così come Portovenere e il Golfo, furono protagonisti della geografia paesaggistico ambientale del secondo Futurismo e dell’attività di Fillia che espresse un’estetica del paesaggio in una chiave intensamente toccata dal rapporto tra uomo e ambiente, dovuta al suo interrogarsi sul misterioso mondo superumano e sul rinnovamento che la civiltà meccanica imprimeva a questo rapporto.
La tarda scoperta futurista della città e la nuova visione virata del paesaggio ebbe un velocissimo declino, in primo luogo a causa della scomparsa improvvisa e precoce di due grandi protagonisti della scena futurista in città.
L’architetto Costa muore nel luglio del ’36, alcuni mesi prima la tubercolosi aveva posto fine alla vita di Fillia, entrambi avevano accolto con entusiasmo il fascismo, ma con lo sguardo rivolto al Futurismo diciannovista che si era configurato come movimento d’avanguardia, carico di grande forza provocatoria. L’attualità dei principi futuristi verranno trasmessi alla nuova arte italiana del dopoguerra, divenendo “vera e propria tradizione operante”, diramatasi per diversi aspetti nei linguaggi di Fontana, Burri, Dorazio e Vedova fino ai Neo Dada e alla cosiddetta Pop romana.
Il futurismo torna nel 1997 con la mostra “Liguria Futurista” a cura di Franco Ragazzi negli spazi del Palazzo Ducale che dal 14 novembre all’11 gennaio del 1934 ospitarono la I Mostra nazionale di plastica murale per l’edilizia fascista,
riconoscimento ufficiale del futurismo alliampiezza raggiunta dal movimento in Liguria.
All’esposizione, inaugurata da Marinetti, curata da Prampolini, Fillia e De Filippis, partecipano tutti i più noti artisti del movimento.
Fra i premiati: Prampolini, Benedetta, Alf Gaudenzi e Gambetti.
In occasione della mostra viene pubblicato da “Stile Futurista” il manifesto “La plastica murale futurista”.
La mostra genovese è in aperta polemica con il “muralismo” sironiano che aveva conosciuto nella Triennale milanese del 1933 una significativa affermazione”.
I futuristi mettono in discussione la concezione di un rapporto fra arte e architettura in cui intendono proporsi non come semplici autori di ornamenti subalterni all’architettura, bensì di grandi composizioni polimateriche con cui si realizza l’artevita, arricchendo la giornata e la notte dell’uomo con una esaltante e continua sintesi della radiosa civiltà meccanica”.
Viene propugnato il “superamento della decorazione murale con le tecniche finora conosciute e la liberazione dai concetti tradizionali, per arrivare a dei mezzi espressivi strettamente legati al nuovo spirito estetico e costruttivo, in diretta armonia con la moderna architettura.
Il tutto nel tentativo di contendere a “passatisti”, “novecentisti” e “naturamortisti” il grande mercato delle commissioni del regime per l”edilizia pubblica.
Sempre a Palazzo Ducale, fra le manifestazioni collaterali alla mostra di plastica murale, Marinetti organizza la sfida di poesia Radiarte e parole in libertà futuriste e la gara nazionale di poesia Gli affari del primo porto mediterraneo d’Italia: Genova, vinta ex aequo, fra 326 poeti partecipanti, da Corrado Govoni e Paolo Buzzi: nuova testimonianza dell’intensa campagna condotta dai futuristi per la valorizzazione del paesaggio naturale e artificiale italiano.
Nel territorio genovese le presenze della “plastica murale futurista” rimarranno il pannello in mosaico ceramico realizzato nel 1935 dalla Ceramica Ligure su disegno di Fillia per le Piscine Comunali di Albaro, i due affreschi aeropittorici con motivi guerreschi, di autore ancora non individuato, della Colonia Marina Permanente Fara di Chiavari (1935), le pitture murali e il mosaico ceramico di Tato per la Colonia IX Maggio di Moneglia (1938).
Con la rapida eclissi della stagione futurista della Spezia e il graduale ritorno – con le eccezioni di Randazzo e Violante – nell’alveo tradizionale degli artisti genovesi di Sintesi, la leadership regionale del movimento passa ad Albisola e a Savona, dove le più significative espressioni estetiche sono spesso riconducibili a intelligenti e interessanti ricerche condotte nell’ambito del rapporto fra arte, artigianato e industria, come nei casi delle vetrerie di Altare, i laboratori di ceramiche di Albisola, lo stabilimento Lito-Latta di Savona.
Le vicende della ceramica futurista ad Albisola sono state analizzate di recente in importanti studi storico-critici”, ai quali è doveroso rimandare per ogni approfondimento.
Tuttavia è necessario soffermarsi ancora una volta sull’importanza del ruolo svolto da Tullio d’Albisola, di cui si sono ricordati le prime sperimentazioni ceramiche condotte intorno alla metà degli anni Venti e i primi successi poetici.
A lui si deve anche il primo importante intervento di sistemazione critica e di storicizzazione di un’esperienza che all’epoca era solo poco più che decennale, con la pubblicazione del manifesto scritto con Marinetti Ceramica e Aeroceramica (1938) e del volume La ceramica futurista (1939),
Tullio d’Albisola, Piatto futurista – Giocatori di biliardo, (1938)
nonché con i suoi interventi critici sulla pubblicistica futurista, su “Futurismo” e “Stile Futurista” innanzitutto, per mezzo dei quali Albisola, Savona e Altare ebbero ulteriore risonanza e fama nell’ambito della più vasta comunità artistica nazionale.
Tra i numeri più rappresentrativi vi è il n. 5 Anno I, pubblicato nel dicembre del 1934, dedicato alla prima Mostra Nazionale di plastica murale per l’edilizia fascista svoltasi a Genova e inaugurata il 14 novembre, che include il manifesto “polemico” La plastica murale futuristaoltre a riproduzioni fotografiche con ambienti, progetti e opere di Prampolini, Fillia, Oriani, Mino Rosso, Fortunato Depero, Benedetta, Andreoni e altri
Grazie al suo carisma, alla sua capacità promozionale di talenti altrui, alle sue molteplici relazioni (testimoniate sia dai lunghi elenchi di collaboratori citati nelle versioni del manifesto sia dalla fitta rete di corrispondenze di recente pubblicate, nonché, ancora, alla sua stessa poliedricità creativa, Albisola riesce ad assumere e a mantenere per un lungo periodo una posizione del tutto primaria nel contesto futurista ligure e nazionale.
Al suo confronto le pur importanti esperienze di altri centri della regione, specialmente Genova e La Spezia, appaiono infatti molto più circoscritte nel tempo; quanto a Savona, almeno in una prima fase, la sua vicenda appare strettamente intrecciata a quella albisolese.
Di questo ruolo, che proseguirà in altra direzione e con grande fortuna anche nel dopoguerra, Tullio dovette essere consapevole già all’inizio degli anni Trenta, periodo a partire dal quale si succedono -condotte sotto la sua regia e in fitta successione – le numerose partecipazioni delle ceramiche albisolesi alle più importanti mostre del movimento in Italia e all’estero e a esposizioni nazionali e internazionali come la VI Triennale milanese del 1936, dove presenta un grande pannello ceramico realizzato per il Padiglione dell’Architettura, o come l’Esposizione internazionale di Parigi del 1937, dove realizza il grande fregio in ceramica delle Corporazioni per il Padiglione Italia.
Tullio d’Albisola è anche l”ideatore dei “libri di latta”, una delle invenzioni più geniali e originali del futurismo ligure, forse l”oggetto più celebrato dalla stampa futurista che Acquaviva salutò come esemplare “valorizzazione delle materie della modernità meccanica”.
Crispolti, più recentemente, lo ha definito “vero monumento nella storia innovativa del libro”.
Il primo di questi, Parole in libertà futuriste olfattive-tattili-termiche di Marinetti, ideato e curato graficamente da Tullio, è realizzato nel 1932 nella fabbrica Lito-Latta di Vincenzo Nosenzo di Zinola (una frazione di Savona) in 101 esemplari per le Edizioni Futuriste di Poesia.
Parole in Liberta’ Futuriste Olfattive Tattile Termiche”
Litografia degli anni ’30 multicolore su fogli e con rilegatura in metallo e interpretazioni visive sono del suo amico Tullio D’albisola.
Questo manifesto mostra l’urgenza dell’artista di abbracciare e raggiungere un livello superiore di velocità e tecnologia.
Glorifica la guerra come “Unica vera igiene del mondo” e promette di “distruggere i musei e le librerie, di lottare contro i moralismi, femminismo e l’utilitaristica codardaggine” Questo libro/manifesto mostra il genuino credo nell’arte come motore per il cambiamento del mondo e la stretta relazione tra l’elite creativa e il fascismo.
Tolte le derive totalitaristiche, il richiamo verso un reale progresso ed innovazione tecnologica (non solo di marketing e comunicazione) è contemporaneo come acqua nel deserto,
“condensa l’ossessione del movimento d’avanguardia per le esperienze multisensoriali: l’odore dell’inchiostro litografico, la temperatura variabile della latta per le pagine, cosi’ come il suono metallico per voltarle e l’impatto visivo dell’opera”
Esso e composto da 15 fogli di lamierino litografato c da una custodia di latta.
Come scrive lo stesso Tullio, “ogni foglio di latta contiene una poesia, e sul retro una sintesi colorata con il rilievo del verso più emotivo della lirica.
I colori e il verso in rilievo sono il risultato simpatico delle emozioni ricevute dalla lettura”.
L’anno dopo Tullio realizza, ancora presso la fabbrica Lito-Latta, un secondo libro di latta con il proprio “lungo poema passionale” L’anguria lirica, con “chiarimento” di Vittorio Orazi, prefazione di Marinetti, undici illustrazioni di Bruno Munari e un ritratto dell’autore di Nicolaj Diulgheroff, l’architetto che in quel momento stava realizzando la Casa-negozio-laboratorio Mazzotti di Albisola, portata a termine nel 1934.
Sull’origine dell’invenzione di Tullio, l’artista stesso forni diverse versioni: da un “ricordo lirico di ala d”aeroplano”32 a un’idea nata nell’agosto 1932, sulla spiaggia di Albisola durante una nuotata con Marinetti, quando il mare “alla loro immaginazione apparve come una immensa distesa di latta” o, più realisticamente, durante una visita con Marinetti allo stabilimento Lito-Latta.
Importanti precedenti dei libri di latta sono da ricercare nel noto “libro imbullonato” di Depero, nonché nelle sperimentazioni sui materiali metallici (l’alluminio, cromato e sabbiato, che tuttavia rivelò presto problemi di conservazione) compiute nel campo della scultura dallo stesso Tullio e, ancor prima, da Farfa.
Si pensi ai suoi Cartelli lanciatori del 1928-29, immagini pubblicitarie montate su supporti di latta, al complesso plastico in legno e latta Incrocio di prue (1929) e a Lito-latta (Sincopatia distagriata in libertà), poema parolibero di Farfa – in cui è presente l”analogia marina “mare latta infinita luccicante” – illustrato da Acquaviva, stampato su latta dalla Lito-Latta di Savona con la data del 22 novembre 1931.
Poesie parolibere accompagnate ciascuna da un disegno di Bruno Munari, stampato in 101 esemplari assemblati a mano. Incredibile libro d’artista litografato su fogli di latta creato dalla vulcanica mente del futurista ligure Tullio d’Albisola nel suo laboratorio savonese. Un’opera che ha ispirato poeti ed editori, fatto infuriare puristi, esaltato innovatori e che ancora oggi conserva un fascino inossidabile.
Farfa dedicherà al capitano Nosenzo la poesia Latta in cui ritorna l”immagine del mare ispiratore: “Foglio di latta / mare – donna assieme / lucidissima/ leggera / flessuosa bagnante / a chi vuole in vista / che sulla spiaggia / acquista del sole / dall’acqua d”argento”.
Da questi anni il futurismo ligure sarà quasi costantemente un “fatto” savonese sia per la presenza di Farfa e di Tullio d’Albisola, sia per l”attività del savonese Gruppo Futurista Sant’Elia fondato da Antonio Sant’Elia che si costituisce nel 1938 a opera del magistrato-poeta-pittore-letterato Giovanni Acquaviva.
Al gruppo aderiscono Assereto, Tullio d”Albisola, Farfa, la pittrice Maria Ferrero Gussago, Luigi Pennone, il musicista Ferrato, il giovanissimo pittore Gigi Caldanzano.
Intorno all’ambiente savonese si muove anche il musicista Aldo Giuntini, autore con Marinetti del Manifesto dell’aeromusica sintetica del 1934.
Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto della Radio in “Futurismo”, II, n.55, Roma, 1 ottobre 1933
Filippo Tommaso Marinetti, L’Aeromusica Futurista in “Sant’Elia”, III, n.66, Roma, 1 maggio 1934
Il primo numero della rivista esce a Milano in data 11 gennaio 1922 con il sottotitolo «Rivista sintetica bimensile», dal numero successivo mutato in «Rivista sintetica illustrata». Il fondatore e direttore è Filippo Tommaso Marinetti e proprio nella sua abitazione ha sede la redazione della testata, stampata a Milano per la maggior parte dei numeri pubblicati. I numeri di “Il Futurismo” sono in tutto 14 (tra cui 5, destinati alla circolazione estera, in francese, pubblicati col titolo «Le Futurisme»). Essi escono con periodicità e numerazione irregolari tra l’11 gennaio 1922 e l’11 gennaio 1931: dopo sporadiche pubblicazioni tra il 1922 e il 1926, viene stampato l’ultimo numero del 1931 in occasione del lancio della fotografia futurista. Dopo quest’ultima apparizione, la testata cede il nome alla rivista “Il Futurismo”, diretta da Mino Somenzi, che con caratteristiche differenti occupa il posto di portavoce dell’ufficialità futurista.
Giovanni Acquaviva in questi anni viene unanimemente considerato il “prediletto discepolo” di Marinetti.
Con la pubblicazione del volume L’essenza del futurismo (1941),
in cui l’autore si propone di definire un supporto ideologico e filosofico al movimento, Acquaviva raggiunge un ruolo ufficiale, come attestano l’insistito richiamo a quest’opera da parte di Marinetti e l”entusiasmante “collaudo” dello stesso”.
Peraltro Marinetti non manca occasione per volere accanto Acquaviva nei diversi raduni futuristi che tiene in varie località del paese, quasi a sancire una sorta di “luogotenenza”, come avviene di fatto quando il capo dei futuristi partirà volontario per il fronte russo nel 1942.
Sono i futuristi savonesi guidati da Acquaviva ad animare gli ultimi anni della storia vitale del movimento – non a caso la costituzione dei nuovi gruppi futuristi a Genova (dicembre 1941) e a Torino (febbraio 1942) vede la partecipazione in massa dei futuristi savonesi – fra mostre, lancio di manifesti, convegni, polemiche, serate futuriste, spettacoli teatrali, concerti, numerose pubblicazioni, gare di poesia.
Sono ancora gli artisti savonesi a partecipare con continuità alle mostre nazionali: Acquaviva e presente alle Biennali di Venezia del 1938, 1940 e del 1942 con una propria personale, e alle Quadriennali romane del 1939 e del 1943; Farfa alla Biennale del 1942; la Ferrero Gussago alla Biennale del 1942 e alla Quadriennale del 1943, dove espone Aeroritratti degli aeropittori e aeroceramisti del Gruppo Sant’Elia savonese, ispirato dallo stesso Marinetti, in cui sono raffigurati Ferrato, Pennone, “Lungi” Assereto, Tullio d’Albisola, Farfa, Maria Ferrero Gussago, Acquaviva e Marinetti.
Nel manifesto di Marinetti L’aeropoema delle superiorità artistiche italiane, pubblicato a Torino nell’agosto 1944, insieme con le località liguri di Rapallo, dalla “resinata coppa del golfo”, San Fruttuoso e Portofino, sono citati alcuni futuristi savonesi: “Mazzotti ceramista editore dei primi libri metallici”, Farfa “aeropoeta cubico aguzzo”, Giuntini che “ti fa godere una sintesi musicale intrisa di cielo”, Acquaviva che “fra due cannonate illustra l”ingenuità sublime di Giotto e canta parole in libertà agli aviatori giapponesi”.
Nella primavera del 1944, in occasione della Mostra primaverile futurista, Farfa lancia i “Quarti d”ora di poesia”, realizzati e diretti da Acquaviva.
E quasi incredibile pensare che, nei giorni più drammatici della guerra, Farfa e Acquaviva abbiano potuto ideare e organizzare questi appuntamenti settimanali, voluti come affermazione “di una fede indistruttibile nella poesia”.
L’iniziativa durerà fino al marzo del 1945, quando sarà soppressa dai fascisti repubblichini quale attività “antipatriottica”, nonostante i futuristi savonesi, dal lancio del Manifesto futurista della Patriarte, si dichiarino “Patriartisti”.
Il 3 dicembre 1944 saranno proprio Farfa e Acquaviva, nel corso del “Quarto d’ora di poesia”, a ricordare Marinetti morto il giorno prima a Bellagio.
Vengono presentate Voce bionda e voce bruna di Acquaviva e Farfa e Quasi un astro di Farfa.
Quel giorno Maria Ferrero Gussago dedica a Marinetti la poesia Al tuo dolore: “Il viaggio spirituale / oltretomba dell”aeropoeta F.T. Marinetti / sarà potenziato d”energie dinamiche / magnetiche in luce verità d”alta / sublime creazione / Vicino al tuo dolore al tuo slancio / alla tua destra Boccioni Fillia / Acquaviva Pratella Prampolini Dottori / e tutti i futuristi awiticchiati / in ferro rovente sprizzanti scintille / creatrici uniti in saluto eterno / al presente aeropoeta nazionale / F.T. Marinetti”.
LA SPEZIA
AVANGUARDIA DEL FUTURISMO IN LIGURIA
Che il Golfo della Spezia sia stato il fiore all’occhiello e la sua bellezza inusuale la musa per generazioni di poeti romantici, lo sapevamo.
Sappiamo anche che il primo ventennio del ‘900 ci ha visti protagonisti della stagione futurista; ciò che forse ignoriamo è la definizione che Tommaso Marinetti ci ha riservato: golfo delle meraviglie perché animato dal perfetto ed armonico connubio tra la bellezza naturale e il plastico intervento umano.
A colpire Marinetti e quindi a convincerlo di investire nel golfo le proprie energie artistiche e letterarie (basti ricordare infatti che istituì il premio di pittura Futurista del Golfo della Spezia e un medesimo concorso di poesia) fu la vivacità tecnologica della piccola provincia ligure che nonostante la limitatezza numerica, contava di ben due eliporti come dimostrato dalle mirabolanti avventure dell’idrovolante di Balbo.
Il culto della macchina, l’esaltazione della velocità, del motore e del plasticismo espresse nel Manifesto del Movimento Futurista apparso su Le Figarò nel 1909, erano ben presenti nel golfo dove approdò solo tra la fine degli anni venti primi anni trenta.
La penetrazione del futurismo negli ambienti culturali ed artistici spezzini era iniziata grazie all’attività di Giovanni Governato un giovane pittore legato al movimento anarchico.
Tra Governato e Marinetti fu subito feeling. Governato infatti, è stato una punta di diamante de L’Eroica speso criticata per il suo “passatismo”.
Fondata e diretta da Ettore Cozzani, la rivista “ha il proposito editoriale di valorizzare le forze creative nazionali, occupandosi dichiaratamente di ogni aspetto dell’arte e della vita “.
Pubblicazione aperta alla Secessione viennese e al Razionalismo, diviene subito importante per il suo carattere innovativo, curiosa dei nuovi giovani talenti contemporanei, sia italiani che europei.
Quando il primo numero esce il 30 luglio 1911 con il sottotitolo “Rassegna d’ogni poesia”, la rivista si qualifica per le qualità formali: la scelta della carta a mano, le copertine a colori, le illustrazioni xilografiche estremamente curate.
Composta da 310 numeri della splendida rivista “L’Eroica”, capolavoro dell’arte della xilografia italiana durante la prima metà del XX secolo, pubblicata sotto la direzione di Ettore Cozzani (1884-1971) editore, scrittore ed intellettuale spezzino. Durante i primi tre anni, Cozzani fu affiancato alla direzione da Franco Oliva, architetto ed incisore.
Oltre ad Adolfo De Carolis , celebre xilografo il cui stile ebbe un influsso determinante sull’illustrazione di primo Novecento, collaborarono alla rivista i più grandi interpreti della grafica del tempo, tra cui: Gino Barbieri, Vincenzo Bayeli, Mario Delitala, Edoardo Del Neri, Stanis Dessy, Antonio Discovolo, Benvenuto Disertori, Pietro Dodero, Charles Doudet, Francesco Gamba, Cafiero Luperini, Emilio Mantelli, Guido Marussig, Publio Morbiducci, Antonello Moroni, Guido Nincheri, Francesco Nonni, Enrico Prampolini, Bruno da Osimo, Diego Pettinelli, Mario Reviglione, Gino Carlo Sensani, Lorenzo Viani.
Formatasi in atmosfera tardo-simbolista, “L’Eroica”, che “non aveva alle prime l’intenzione di costituire un repertorio elettivo di xilografie, ma che dovette la sua fortuna soprattutto a tale caratteristica”, segna la rinascita della xilografia attraverso il legno originale, già iniziata all’estero dalla fine dell’Ottocento […] come reazione alla xilografia industriale e coincide con l’esigenza di veicolare la parola con una forma grafica pertinente, in grado di recuperare il ‘gesto’ dell’artista […]. Incentivata da Cozzani e capeggiata da De Carolis che in quegli anni fonda la Corporazione degli Xilografi, si coagula intorno a “L’Eroica” una schiera di artisti che l’anno successivo si sottoporrà al giudizio del pubblico nella “Prima Mostra internazionale di xilografia” a Levanto […].
La rivista visse fino al 1944 e i suoi 310 numeri quasi tutti monografici […] rappresentano un repertorio fondamentale per osservare i mutamenti dello stile e l’oscillazione del gusto in un trentennio” .
Oltre al nutrito gruppo di artisti, basti pensare a Franco Oliva, alla rivista collaborano anche lo scultore Vincenzo Maglie il compositore Pizzetti.
La volontà di affermare, diffondere e difendere la xilografia ci fornisce oggi una fondamentale panoramica di questa tecnica espressiva in Italia, riproposta nella prima metà del XX secolo In effetti la rivista diviene un importante punto di incontro per gli xilografi italiani organizzandone, nel 1912 a Levanto, la prima mostra a carattere.
Chiusa nel 1921, la rivista riprende le pubblicazioni nel 1924, sotto il regime , con collaboratori esterni.
Dopo il primo periodo nella città ligure, Cozzani ne decide il trasferimento a Milano dove continua l’attività fino alla chiusura.
Tra il 1943-1944 Governato, assieme ad altri intellettuali del Cenacolo della Zimarra, organizzava al teatro Trianon “teatro dei nostri non troppo eterei ideali” (come lui stesso lo definì), delle rassegne pittoriche in pieno stile Dada: il primo successo lasciò il posto al nulla .
La profonda influenza di sentimenti anarchici, suscitò non pochi clamori e indignazioni tra i benpensanti: l’infervorato gruppo spezzino, a causa di problemi giudiziari, si dissolse in breve tempo. Siamo nel 1920. Per il vero e puro compimento del la stagione futurista, c’è ancora tempo. Dobbiamo attendere il 1932 con l’avvento dell’Aereopittura, una declinazione pittorica che consente una sintesi tra la velocità e l’ebbrezza del volo e la modernità della macchina e dell’aeroplano.
Marinetti trovò l’ispirazione per la stesura del suo “Aereopoema” dopo un lungo volo in idrovolante sul golfo delle meraviglie esordendo con: Gloria agli uomini che vestiti d’amianto, seduti sull’inferno di un motore, la cui potenza è simile alla divinità, e che si lanciano a 600 km all’ora, seminando come stracci dietro di loro i pezzi del suono sconfinato.
Il rapporto simbiotico tra la città, il futurismo e gli idrovolanti, contribuì a cambiare il volto del nostro golfo che andava via via aprendosi verso nuove prospettive culturali di vasto respiro.
Dopo le sporadiche iniziative pittoriche al Duca degli Abruzzi, la grande occasione per uscire nel bel mondo, si ha il 29 novembre 1932 con l’inaugurazione della mostra “Aereopittura. Arte sacra futurista”
la cui audacia in una città non allenata ad intendere pienamente il valore ed il significato di un movimento che ha scosso quel concetto del vecchio come valore in sé e del nuovo come difetto” fu sottolineata dallo stesso Marinetti.
Al timone della rassegna vi era la casa d’Arte di Pietro Salmojraghi che scelse come direttore operativo niente meno che Fillia di cui possiamo ammirare il famosissimo mosaico nella torre delle poste.
Architetto piemontese amico intimo dello spezzino Renato Righetti futurista ante litteram con cui condivideva l’esperienza editoriale presso il periodico futurista romano Sant’Elia che si presentò alla rassegna con più di 20 bozzetti destando particolare interesse.
Nel 1933 assime a Ignazio Scurto pubbica il “Manifesto futurista sulla cravatta italiana”
Nel 1940 scrive il manifesto “L’aerosilografia”, in cui propone il rinnovamento di quella forma d’incisione, che poi applica nelle sue xilografie, manifesto che viene presentato l’anno successivo.
Nel 1942 pubblica con Alfredo Gauro Ambrosi un opuscolo, Eroi macchine ali contro nature morte, con il quale ripropone la critica futurista a questo genere artistico.
Renato di Bosso [Renato Righetti], L’Aerosilografia. Manifesto Futurista, Casa d’Artisti, Milano, 24 maggio 1941 XIX
Alla mostra del 1932 avevano aderito i migliori pittori del capoluogo lombardo rendono più repentina la fine di questa esperienza artistica, e danneggiano gli archivi della rivista.
F. T. Marinetti nell’ introduzione al Catalogo, Mostra “Aereopittura Arte sacra Futurista”
1933 movimento futurista tra cui: Guadenzi, Alfieri, Alidada, Anselmo, Farfa, Lionni, Lombardo, Poglotto, Torre, Tullio D’Albissola, Marisa Mori.
Leggere il nome di una donna tra le artiste aderenti crea un incredibile scalpore; Marisa Mori una tra le punte di diamante del futurismo spezzino, era un’ artista fiorentina allieva prediletta di Casorati.
Aderì al futurismo nel 1932, grazie soprattutto all’ influenza dell’aeropittore e scrittore Fillia.
La pittrice esordì ad ali spiegate nell’aerovita futurista, insieme al gruppo dei futuristi liguri-piemontesi, proprio in occasione della mostra.
Nel 1933, la Mori partecipò alla prima edizione del Premio di Pittura “Golfo della Spezia”, conquistando un terzo premio di 2000 lire, con il trittico Sintesi romantica, militare e gioiosa del golfo della Spezia, opera che, mediante delicatissime tonalità cromatiche, celebra con una visione aeropittorica i diversi aspetti della città e del golfo.
Fu al Premio di Pittura del “Golfo della Spezia” che la Mori conobbe Maria Questa, un’artista spezzina che si accostò al movimento futurista proprio in occasione della grande competizione organizzata dalla Casa d’Arte Salmojraghi nel 1933, partecipando con le sue due opere Rustico e Sant’ Terenzo.
La Questa si distinse anche in occasioni meno ufficiali, come per esempio la serata danzante “travolgentemente futurista” svoltasi nell’agosto del ‘33 sul lungomare di Lerici.
Il breve accenno alle due artiste futuriste fornisce l’occasione per chiarire la visione marinettiana del genere femminile.
La critica futurista fu infatti rivolta non contro la Donna in quanto tale, ma contro una concezione del femminile legata alle vecchie tradizioni passatiste: da un lato lo stereotipo decadente della “femme fatale”, tipica di certe eroine misteriosamente velate,tormentate da passioni e amori morbosi ed impossibili del visionario di Gabriele d’Annunzio, considerato pertanto la “bestia nera” dei futuristi; dall’altro quello della donna sottomessa e succube dell’uomo.
Del resto, nell’ottica rivoluzionaria del movimento ,che attaccava così saldamente il “passatismo”, era evidente la necessità di revisionare la vecchia immagine del femminile, al fine di strutturarne una nuova, più moderna, dinamica e, appunto, rivoluzionaria autonoma, indipendente e artefice del proprio destino.
Una posizione decisamente avanguardista.
Il grande avvenimento culturale sarà però un anno dopo; nel 1933 infatti, per diretta volontà di Marinetti, viene inaugurata la prima edizione del Premio di pittura del Golfo della Spezia.
Le adesioni furono tantissime; dai pittori di tutta Italia arrivarono infatti più di 154 opere.
Ad esaminare scrupolosamente le opere vi era Marinetti in persona, Fillia, Prampolini e Antonio Mariani.
Il primo premio fu assegnato ad un artista perugino Gerardo Dottori per il suo trittico Il golfo armato.
Considerato il più grande e visionario,vinse per aver meglio di ogni altro rispettato il tema e glorificato le bellezze naturali e le forze meccaniche del golfo fissando nei tre quadri della Spezia, Lerici e Porto Venere l’atmosfera, le caratteristiche e le potenze che soltanto una sensibilità moderna e tecnicamente matura poteva interpretare.
Così recitava il verbale finale della giuria: “l’evento ottenne un’incredibile risonanza”.
La mostra spezzina era sia uno spartiacque importante nella storia del futurismo: da quel momento in poi infatti la commistione arte, architettura plastica e futurismo si accontentò, sia nella vita del golfo che in poco tempo passò dall’essere trascurato all’essere decantato e lodato grazie all’incessante pubblicità marinettiana.
A questo punto sorge una domanda: fu più importante il golfo per Marinetti o Marinetti per il golfo?. Forse entrambe basti pensare che proprio da qui Marinetti rivolgeva la propria infuocata sfida ai poeti italiani troppo ancorati alla tradizione e al bello plastico.
Nel giro di pochi anni si da vita all’Aereopoema del Golfo della Spezia
Nel 1935 il grande concorso di poesia dove a spiccare fu Corrado Govoni. collaboratore ad alcune tra le fondamentali riviste letterarie della sua epoca, quali ad esempio “Poesia”, “La Voce”, “Lacerba”.
Dopo varie polemiche e incomprensioni con la commissione esaminatrice, decise di non partecipare. L’esperienza dell’aereo vita nel golfo stava volgendo al termine.
L’apertura del palazzo delle poste realizzato da Mazzoni e “dipinto” a mosaico da Fillia e Prampolini nel marzo del 1936, segna il calo del sipario sull’esperienza futurista nel golfo delle meraviglie.
Le avvisaglie della guerra d’Africa con la nascita dell’impero, la guerra di Spagna, l’imperversare del nazismo fecero rivalutare il tanto decantato culto della macchina.
La vivace stagione futurista fu ben presto lasciata nel dimenticatoio.
Il rapporto forzato con l’ideologia fascista che si appropriò della forza dirompente del movimento, non aiutò.
Ad oggi come non mai è necessario e doveroso fare i conti con la propria storia riconoscendo agli eventi la giusta importanza.
Le carte dell’Archivio storico Regione Liguria raccontano……. La storia del Premio di pittura “Golfo della Spezia”
Nel 1932 Filippo Tommaso Marinetti ideò il Premio di pittura, abbinandolo alla “sfida a tutti i poeti d’Italia”.
L’organizzazione del Premio fu curata dalla Casa d’Arte di via Fossati e, in particolare, dal pittore Fillia e il finanziamento fu garantito, fra gli altri, dal Comitato Provinciale per il Turismo di La Spezia e dal Comune di La Spezia.
In questa lettera autografa Marinetti scrive al Podestà Boselli, in qualità di Presidente effettivo del Comitato.
Il regolamento del Premio prevedeva di “accogliere con larghezza di vedute ogni eletta espressione d’arte che glorifichi le bellezze del Golfo della Spezia”
In questi documenti il pittore Fillia, responsabile dell’organizzazione, invia al Podestà il programma della manifestazione.
Al primo punto è evidenziata la scelta di tenere il Premio in autunno per permettere ai pittori di dipingere in estate, il momento più favorevole per la loro permanenza in città.
Il Comitato Provinciale per il Turismo di La Spezia attuò diverse azioni per la buona riuscita della manifestazione.
Tra queste, l’organizzazione di gite in battello per gli artisti ospiti, per permettere loro di apprezzare la bellezza del Golfo della Spezia anche al di fuori degli itinerari consueti.
Nella delibera del Comitato si fa riferimento al giro delle Isole Palmaria e Tino e alla navigazione costiera del tratto Fiascherino –Tellaro –Bocca di Magra.
Le riduzioni ferroviarie verso la città di La Spezia furono un’altra mossa per attirare il maggior numero di visitatori, al fine di assicurare il successo del Premio.
L’artista Enrico Prampolini realizzò il manifesto, che fu stampato dalla Barabino & Graeve di Genova. Il manifesto, un pezzo unico in Italia,è conservato presso l’Archivio regionale.
Il catalogo del Premio Nazionale di pittura “Golfo della Spezia”. In copertina l’edificio della Casa d’Arte, opera dell’architetto Manlio Costa, che è uno dei pochi edifici realizzati in base ai principi dell’architettura futurista ma che appare oggi parzialmente modificato, definito da Marinetti il primo esempio a La Spezia “di un edificio lirico-funzionale altrettanto geniale quanto piacevole”.
La giuria, presieduta da Filippo Tommaso Marinetti, era composta da Ugo Ojetti dell’Accademia d’Italia, dagli scultori Antonio Maraini, segretario nazionale del sindacato Fascista Belle Arti, e Enrico Carmassi e dai pittori Felice Casorati, Enrico Prampolini e Fillia.
L’opera di Gerardo Dottori, oggi purtroppo perduta, riprodotta sul catalogo del 1933
Il primo premio fu assegnato a Gerardo Dottori per il Trittico del Golfo della Spezia.
Nel Dopoguerra 1949 l’Ente Provinciale per il Turismo di La Spezia (EPT), succeduto al Comitato Provinciale nel 1936,decide di riproporre il Premio di pittura del Golfo.
Nelle delibere dell’EPT viene sottolineato come la ripresa dell’esposizione coincida con una esigenza sentita dalla città e caldeggiata a più riprese dalla stampa.
Valutata l’importanza che l’iniziativa avrebbe avuto anche ai fini turistici, fu deciso di organizzare il Premio, anche con il decisivo contributo finanziario di società e ditte industriali e commerciali.
La prima edizione del Premio si tenne a Lerici. Come nel 1933, il tema era fisso e riguardava il Golfo della Spezia e la comunicazione della sua bellezza.
La volontà dell’EPT di La Spezia era di non escludere nessuna corrente artistica, e infatti sin dall’edizione del 1949 tutte le espressioni artistiche, principalmente legate al realismo e all’astrattismo, furono rappresentate e equamente premiate.
Il riferimento al Premio del 1933 si può anche notare nel manifesto, realizzato dall’artista Mario Puppo, che rivisita il cartellone di Enrico Prampolini citandone forme e colori.
Il Premio del Golfo ebbe luogo dal 1949 al 1965, dapprima con cadenza annuale quindi biennale dal 1957.
Nel corso degli anni alla manifestazione parteciparono alcuni tra i più importanti artisti italiani: Giuseppe Santomaso, Renato Guttuso, Emilio Vedova, Emilio Scanavino, per citare i più noti.
L’Archivio regionale conserva la documentazione di tutte le edizioni svolte.
All’interno dei fascicoli generalmente si trova la documentazione relativa all’organizzazione e al finanziamento del Premio, i verbali delle riunioni e le relazioni del comitato organizzatore e della giuria, la corrispondenza con gli artisti e gli altri Enti coinvolti, le fotografie degli allestimenti, il materiale promozionale, la rassegna stampa.
Nelle edizioni successive alla prima, gli artisti non furono più vincolati al tema del Golfo, ma liberi di scegliere i soggetti delle loro opere. Inoltre alla mostra principale si affiancarono mostre personali degli artisti.
Tra le chiavi del successo del Premio: una giuria di qualità e la formula del premio-acquisto che ha permesso, grazie alle 300 opere comprate, di costituire il nucleo originario della galleria civica di La Spezia, oggi CAMEC.http://camec.spezianet.it/
Nell’immagine, il comunicato stampa della seconda edizione del Premio nel 1950 in cui viene presentata la giuria, composta dai pittori Carlo Carrà, Felice Casorati, Renato Guttuso e dai critici Marco Valsecchi e Ubaldo Formentini.
Nel 1965 ci fu l’ultima edizione del Premio. Tra le ragioni anche il mutato panorama della produzione artistica. Come sostiene Marzia Ratti, “era la categoria premio a essere considerata superata mentre avanzava la funzione orientatrice della critica in stretto collegamento col mercato dell’arte. Fu proprio dalla critica (…) che si mossero le prime aperte insofferenze al metodo dei premi ritenuto [ormai] inadeguato a esplorare la densa dimensione del contemporaneo”.
Appendice
Trascrizione integrale di Fondazione e Manifesto del Futurismo
Avevamo vegliato tutta la notte - i miei amici ed io - sotto lampade di moschea dalle cupole di ottone traforato, stellate come le nostre anime, perchè come queste irradiate dal chiuso fulgòre di un cuore elettrico. Avevamo lungamente calpestata su opulenti tappeti orientali la nostra atavica accidia, discutendo davanti ai confini estremi della logica ed annerendo molta carta di frenetiche scritture. Un immenso orgoglio gonfiava i nostri petti, poichè ci sentivamo soli, in quell'ora, ad esser desti e ritti, come fari superbi o come sentinelle avanzate, di fronte all'esercito delle stelle nemiche, occhieggianti dai loro celesti accampamenti. Soli coi fuochisti che s'agitano davanti ai forni infernali delle grandi navi, soli coi neri fantasmi che frugano nelle pance arroventate delle locomotive lanciate a pazza corsa, soli cogli ubbriachi annaspanti, con un incerto batter d'ali, lungo i muri della città. Sussultammo ad un tratto, all'udire il rumore formidabile degli enormi tramvai a due piani, che passano sobbalzando, risplendenti di luci multicolori, come i villaggi in festa che il Po straripato squassa e sràdica d'improvviso, per trascinarli fino al mare, sulle cascate e attraverso i gorghi di un diluvio. Poi il silenzio divenne più cupo. Ma mentre ascoltavamo l'estenuato borbottìo di preghiere del vecchio canale e lo scricchiolar dell'ossa dei palazzi moribondi sulle loro barbe di umida verdura, noi udimmo subitamente ruggire sotto le finestre gli automobili famelici. - Andiamo, diss'io; andiamo, amici! Partiamo! Finalmente, la mitologia e l'ideale mistico sono superati. Noi stiamo per assistere alla nascita del Centauro e presto vedremo volare i primi Angeli!... Bisognerà scuotere le porte della vita per provarne i cardini e i chiavistelli!... Partiamo! Ecco, sulla terra, la primissima aurora! Non v'è cosa che agguagli lo spledore della rossa spada -del sole che schermeggia per la prima volta nelle nostre tenebre millenarie!... - Ci avvicinammo alle tre belve sbuffanti, per palparne amorosamente i torridi petti. Io mi stesi sulla mia macchina come un cadavere nella bara, ma subito risuscitai sotto il volante, lama di ghigliottina che minacciava il mio stomaco. La furente scopa della pazzia ci strappò a noi stessi e ci cacciò attraverso le vie, scoscese e profonde come letti di torrenti. Qua e là una lampada malata, dietro i vetri d'una finestra, c'insegnava a disprezzare la fallace matematica dei nostri occhi perituri. Io gridai: - Il fiuto, il fiuto solo, basta alle belve!... - E noi, come giovani leoni, inseguivamo la Morte, dal pelame nero maculato di pallide croci, che correva via pel vasto cielo violaceo, vivo e palpitante. Eppure non avevamo un'Amante ideale che ergesse fino alle nuvole la sua sublime figura, né una Regina crudele a cui offrire le nostre salme, contorte a guisa di anelli bisantini! Nulla, per voler morire, se non il desiderio di liberarci finalmente dal nostro coraggio troppo pesante! E noi correvamo schiacciando su le soglie delle case i cani da guardia che si arrotondavano, sotto i nostri pneumatici scottanti, come solini sotto il ferro da stirare. La Morte, addomesticata, mi sorpassava ad ogni svolto, per porgermi la zampa con grazia, e a quando a quando si stendeva a terra con un rumore di mascelle stridenti, mandandomi, da ogni pozzanghera, sguardi vellutati e carezzevoli. - Usciamo dalla saggezza come da un orribile guscio, e gettiamoci, come frutti pimentati d'orgoglio, entro la bocca immensa e torta del vento!... Diamoci in pasto all'Ignoto, non già per disperazione, ma soltanto per colmare i profondi pozzi dell'Assurdo! Avevo appena pronunciate queste parole, quando girai bruscamente su me stesso, con la stessa ebrietà folle dei cani che voglion mordersi la coda, ed ecco ad un tratto venirmi incontro due ciclisti, che mi diedero torto, titubando davanti a me come due ragionamenti, entrambi persuasivi e nondimeno contradittorii. Il loro stupido dilemma discuteva sul mio terreno... Che noia! Auff!... Tagliai corto, e, pel disgusto, mi scaraventai colle ruote all'aria in un fossato... Oh! materno fossato, quasi pieno di un'acqua fangosa! Bel fossato d'officina! Io gustai avidamente la tua melma fortificante, che mi ricordò la santa mammella nera della mia nutrice sudanese... Quando mi sollevai - cencio sozzo e puzzolente - di sotto la macchina capovolta, io mi sentii attraversare il cuore, deliziosamente, dal ferro arroventato della gioia! Una folla di pescatori armati di lenza e di naturalisti podagrosi tumultuava già intorno al prodigio. Con cura paziente e meticolosa, quella gente dispose alte armature ed enormi reti di ferro per pescare il mio automobile, simile ad un gran pescecane arenato. La macchina emerse lentamente dal fosso, abbandonando nel fondo, come squame, la sua pesante carrozzeria di buon senso e le sue morbide imbottiture di comodità. Credevano che fosse morto, il mio bel pescecane, ma una mia carezza bastò a rianimarlo, ed eccolo risuscitato, eccolo in corsa, di nuovo, sulle sue pinne possenti! Allora, col volto coperto della buona melma delle officine - impasto di scorie metalliche, di sudori inutili, di fuliggini celesti - noi, contusi e fasciate le braccia ma impavidi, dettammo le nostre prime volontà a tutti gli uomini vivi della terra: Manifesto del Futurismo 1. - Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità. 2. - Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. 3. - La letteratura esaltò, fino ad oggi l'immobilità pensosa, l'estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno. 4. - Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia. 5. - Noi vogliamo inneggiare all'uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita. 6. - Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l'entusiastico fervore degli elementi primordiali. 7. - Non v'è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all'uomo. 8. - Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell'Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell'assoluto, poiché abbiamo già creata l'eterna velocità onnipresente. 9. - Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertarî, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna. 10. - Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria. 11. - Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa; canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l'orizzonte, le locomotive dall'ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d'acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta. È dall'Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il «Futurismo», perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d'archeologhi, di ciceroni e d'antiquarii. Già per troppo tempo l'Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagl'innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri innumerevoli. Musei: cimiteri!... Identici, veramente, per la sinistra promiscuità di tanti corpi che non si conoscono. Musei: dormitorî pubblici in cui si riposa per sempre accanto ad esseri odiati o ignoti! Musei: assurdi macelli di pittori e scultori che vanno trucidandosi ferocemente a colpi di colori e di linee, lungo le pareti contese! Che ci si vada in pellegrinaggio, una volta all'anno, come si va al Camposanto nel Giorno dei morti.... ve lo concedo. Che una volta all'anno sia deposto un omaggio di fiori davanti alla Gioconda, ve lo concedo.... Ma non ammetto che si conducano quotidianamente a passeggio per i musei le nostre tristezze, il nostro fragile coraggio, la nostra morbosa inquietudine. Perché volersi avvelenare? Perché volere imputridire? E che mai si può vedere, in un vecchio quadro, se non la faticosa contorsione dell'artista, che si sforzò di infrangere le insuperabili barriere opposte al desiderio di esprimere interamente il suo sogno?... Ammirare un quadro antico equivale a versare la nostra sensibilità in un'urna funeraria, invece di proiettarla lontano, in violenti getti di creazione e di azione. Volete dunque sprecare tutte le forze migliori, in questa eterna ed inutile ammirazione del passato, da cui uscite fatalmente esausti, diminuiti e calpesti? In verità io vi dichiaro che la frequentazione quotidiana dei musei, delle biblioteche e delle accademie (cimiteri di sforzi vani, calvarii di sogni crocifissi, registri di slanci troncati!...) è, per gli artisti, altrettanto dannosa che la tutela prolungata dei parenti per certi giovani ebbri del loroù ingegno e della loro volontà ambiziosa. Per i moribondi, per gl'infermi, pei prigionieri, sia pure: - l'ammirabile passato è forse un balsamo ai loro mali, poiché per essi l'avvenire è sbarrato... Ma noi non vogliamo più saperne del passato, noi giovani e forti futuristi! E vengano dunque, gli allegri incendiarii dalle dita carbonizzate! Eccoli! Eccoli!... Suvvia! date fuoco agli scaffali delle biblioteche!... Sviate il corso dei canali, per inondare i musei!... Oh, la gioia di veder galleggiare alla deriva, lacere e stinte su quelle acque, le vecchie tele gloriose!... Impugnate i picconi, le scuri, i martelli e demolite senza pietà le città venerate! I più anziani fra noi, hanno trent'anni: ci rimane dunque almeno un decennio, per compier l'opera nostra. Quando avremo quarant'anni, altri uomini più giovani e più validi di noi, ci gettino pure nel cestino, come manoscritti inutili. - Noi lo desideriamo! Verranno contro di noi, i nostri successori; verranno di lontano, da ogni parte, danzando su la cadenza alata dei loro primi canti, protendendo dita adunche di predatori, e fiutando caninamente, alle porte delle accademie, il buon odore delle nostre menti in putrefazione, già promesse alle catacombe delle biblioteche. Ma noi non saremo là.... Essi ci troveranno alfine - una notte d'inverno - in aperta campagna, sotto una triste tettoia tamburellata da una pioggia monotona, e ci vedranno accoccolati accanto ai nostri aeroplani trepidanti e nell'atto di scaldarci le mani al fuocherello meschino che daranno i nostri libri d'oggi, fiammeggiando sotto il volo delle nostre immagini. Essi tumultueranno intorno a noi, ansando per angoscia e per dispetto, e tutti, esasperati dal nostro superbo instancabile ardire, si avventeranno per ucciderci, spinti da un odio tanto più implacabile inquantoché i loro cuori saranno ebbri di amore e di ammirazione per noi. La forte e sana Ingiustizia scoppierà radiosa nei loro occhi. - L'arte, infatti, non può essere che violenza, crudeltà ed ingiustizia! I più anziani fra noi hanno trent'anni: eppure, noi abbiamo già sperperati tesori, mille tesori di forza, di amore, d'audacia, d'astuzia e di rude volontà; li abbiamo gettati via impazientemente, in furia, senza contare, senza mai esitare, senza riposarci mai, a perdifiato... Guardateci! Non siamo ancora spossati! I nostri cuori non sentono alcuna stanchezza, poiché sono nutriti di fuoco, di odio e di velocità!...Ve ne stupite?... È logico, poiché voi non vi ricordate nemmeno di aver vissuto! Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo una volta ancora, la nostra sfida alle stelle! Ci opponete delle obiezioni?... Basta! Basta! Le conosciamo... Abbiamo capito!... La nostra bella e mendace intelligenza ci afferma che noi siamo il riassunto e il prolungamento degli avi nostri. - Forse!... Sia pure!... Ma che importa? Non vogliamo intendere!... Guai a chi ci ripeterà queste parole infami!... Alzare la testa!... Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!... F.T.Martinetti
CREDITI ESSENZIALI
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