AA.VV. Divisionismo italiano, Electa Milano, 1990

La tecnica, e la visione, “divisionista” costituirono il passaggio obbligato per qualunque artista che, a cavallo del secolo, volesse rapportarsi al sentire del tempo nuovo. ll colore puro, accostato in filamenti sulla tela seguendo il ritmo dell’emozione o gli slanci
del pensiero, consenti agli artisti di intendere la pittura come una confessione e come uno strumento di superamento del vero, nello stesso modo che la parola, liberata nel verso dalle angustie descrittive della frase, andava permettendo ai poeti di cogliere
le più segrete vibrazioni delllanima, di nominare le cose affidando ad esse significati che le trascendono.
Per alcuni artisti dei primi decenni del secolo il divisionismo rappresentò la strada unica da percorrere, per altri fu un’esperienza imprescindibile che avrebbe segnato in modo indelebile l’intero loro percorso.
La pittura in Liguria nei primi trent’anni del secolo vede dunque coesistere artisti che abbracciano totalmente il divisionismo, ed altri che di quell’esperienza fanno tesoro al fine di rinsaldare un loro stile altrimenti definito.

PLINIO NOMELLINI

La diffusione del Divisionismo in Liguria coincide con il soggiorno a Genova di Plinio Nomellini, attivo nella città a partire dal 1890.

Plinio Nomellini

Al 1891 data il dipinto Golfo di  Genova, in cui il Puntinismo francese appare sfrondato della componente analitica, nel senso che la complementarietà dei colori e la scomposizione del tono avvengono non secondo una rigorosa analisi della visione, ma a partire dalla raggiunta consapevolezza che le possibilità emozionali insite nel puro colore forniscono uno strumento di stravolgimento espressivo del vero.
Il Golfo di Genova è comunque un dipinto che segue in modo abbastanza ortodosso i grandi esempi francesi.

Plinio Nomellini, Golfo di Genova, 1891

Il paesaggio è costruito sull’orizzonte del mare, per piani scanditi, quasi una memoria delle mirabili tele di Seurat, e il colore vibra nell’intensità dei rossi, dei gialli, degli azzurri, apposti con una tecnica a piccole pennellate, che solo in alcune zone si sfaldano contro più ampie campiture tonali.
La qualità atmosferica del tono generale del dipinto non indebolisce il senso strutturale che il colore assume: esso è motore del quadro e sostiene l’ordito prospettico dell’immagine.
Nel 1892 e documentata la presenza di Pellizza da Volpedo alla Promotrice genovese, e progressivamente, a partire da quell’anno, vi espongono i maggiori divisionisti italiani.

Il ritrovamento, ad opera di Gianfranco Bruno, del dipinto Sciopero, databile al 1889, custodito in una raccolta privata a Trieste e pubblicato per la prima volta nel catalogo per la mostra di Trento del 1990, ha dimostrato il ruolo di precursore di Nomellini; il dipinto, infatti, sembra anticipare il Quarto Stato per le soluzioni compositive e per le figurazioni che compariranno nel ben più noto dipinto di Pellizza. Altri quadri di precisa tematica sociale sono Piazza Caricamento, Incidente in fabbrica, e Mattino in officina.
Gli artisti locali subiranno l’influenza di queste opere (ad esempio il pittore Domingo Motta dipingerà sul finire del secolo Lo spaccapietre, un’opera di forte impegno sociale, che richiama altresì il grande esempio di Courbet), ma in generale l’ambiente artistico genovese non è maturo per accogliere fino in fondo l’innovazione ideologica della pittura di Nomellini.
Nel 1892 occorre rilevare la presenza, a Genova, di Segantini e Pellizza, che espongono rispettivamente Ritorno all’ovile e Mammine (premiato con medaglia d’oro), alla XL Esposizione della Società Promotrice di Belle Arti, in occasione del IV Centenario Colombiano. A partire da quella data, nella città ligure, verranno esposte regolarmente le opere dei maggiori divisionisti italiani.

Già e stato rilevato che Nomellini anticipa lo stesso Pellizza nell’assunzione di interessi politici e sociali dell’arte. La diana del lavoro è del 1893.
Nel 1894 l’artista subisce un processo per la sua partecipazione a riunioni anarchiche, e viene trattenuto in prigione nelle carceri genovesi di Sant’Andrea, dove esegue una serie di disegni.

Plinio Nomellini, Piazza Caricamento [Genova], 1891
Plinio Nomellini, La diana del lavoro, 1893
Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il quarto stato, 1898-1901

Al processo, dal quale uscirà assolto, Telemaco Signorini imposta un’appassionata difesa della sua figura di uomo e di artista.
Negli stessi anni Nomellini raccoglie nella sua casa un gruppo di pittori genovesi, fondando il cenacolo artistico detto “Gruppo di Albaro“, nel quale la sua ricca cultura viene assimilata e si confronta con gli interessi e le energie creative dei pittori, poeti, e scrittori genovesi.

Plinio Nomellini, La casa di Albaro o Strada con figure, 1890

Durante la sua permanenza a Genova, durata fino al 1902, Nomellini accoglie in casa un gruppo di pittori dando vita al cosiddetto “Gruppo di Albaro”, dove la sua profonda e ricca cultura si confronterà con le migliori figure creative locali fra le quali oltre ai pittori Olivari, Sacheri, Balbi, e Vernazza, si annoverano lo scultore Edoardo De Albertis, il musicista Conti ed i poeti Roccatagliata Ceccardi e Angiolo Silvio Novaro

Appare evidente che la presenza di Nomellini a Genova costituisce il polo catalizzatore sul quale si innestavano i differenti filoni della cultura artistica del primo Novecento in Liguria.
Aspetti apparentemente contraddittori degli interessi culturali del pittore livornese sono in realtà sfaccettature molteplici di una personalità che rispecchia nel suo travaglio la situazione artistica italiana ed europea di fine secolo.

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, Plinio Nomellini e lo scultore De Albertis lavorarono intensamente, collaborando con Galileo Chini, per la partecipazione alla Sala Internazionale dell’Arte del Sogno alla VII Biennale Veneziana del 1907.

Sala Internazionale dell’Arte del Sogno alla VII Biennale Veneziana del 1907

In questo spazio avveniva la fusione degli stilemi tipicamente simbolisti con quelli più propriamente liberty.
Una precedente occasione, per la diffusione dell’Art Nouveau, in Liguria, era stata la VII Esposizione Industriale di Genova del 1901, completamente allestita in questo stile.
Questi avvenimenti comporteranno l’apertura della cultura figurativa ligure verso un clima più in linea con le altre contemporanee esperienze del resto d’Italia. L’esposizione del 1901 è la dimostrazione del tentativo compiuto dai settori più vitali dell’ambiente culturale genovese di adeguarsi alla situazione italiana ed europea, ma a ciò si deve aggiungere purtroppo l’azione frenante di una certa retroguardia provinciale che, unita alle interferenze della committenza locale, soffocava lo sviluppo delle idee più innovative. Anche se l’assorbimento di questo nuovo gusto si farà maggiormente sentire nelle arti applicate, nell’architettura e nella scultura, (infatti la più alta testimonianza è rappresentata dal cimitero genovese di Staglieno, vero e proprio grande museo della scultura ligure, mentre il Monumento dei Mille di Eugenio Baroni, inaugurato nel 1915, rappresenta la massima espressione dell’affermazione del Liberty a Genova), non mancheranno contaminazioni anche nella pittura. In particolare proprio Rubaldo Merello dipanerà la propria attività di scultore fra simbolismo e liberty, mentre echi del gusto floreale possono essere colti con nitidezza nei numerosi disegni, come nelle illustrazioni per il dramma di Sem Benelli Le nozze dei Centauri, ma traspaiono anche nella sua opera pittorica.

Copertina de Le nozze dei centauri, (IDAL800900 Archivio Rubaldo Merello)

Nel 1900 Nomellini ha già superato il Divisionismo, nel senso che la nuova tecnica viene da lui utilizzata all’interno di un’immagine che mostra predominanti interessi di natura simbolista, con riferimenti all’area mitteleuropea, e con richiami alla pittura dei preraffaelliti.
Come è stato osservato, le nuove posizioni simboliste e decadenti non appaiono in contrasto con l’iniziale anarchismo di Nomellini, e l’analogia con quanto accade nel caso di Pellizza può illuminare al riguardo: la trasposizione degli interessi sociali e politici da un piano di realismo programmatico a una sorta di trasfigurazione poetica è un dato di fatto nell’intera opera del pittore di Volpedo.
Anarchismo e decadentismo rappresentano le due dimensioni fondamentali dell’opera di Nomellini, all’interno delle quali l’esperienza divisionista si pone come un elemento rinnovatore sul piano linguistico.
E’ evidente che la complessa cultura che sostiene la pittura di Nomellini diventa di forte stimolo per l’ambiente genovese.
L’artista dipinge a Genova gran parte delle opere del momento divisionista, e al 1899 data il suo dipinto simbolista di maggior impegno, quella Sinfonia della luna che impressionò lo stesso Pellizza.

Nomellini lascia Genova nel 1902, ma vi ritornerà a più riprese.
I maggiori artisti genovesi terranno frequenti rapporti con lui a segno che il passaggio dell’artista ha costituito un momento fondamentale della loro storia.
L’avvio delle esperienza divisionista a Genova, all’interno del “Gruppo di Albaro“, diede ben presto risultati.
All’Esposizione Nazionale di Torino, nel 1898, si erano imposte all’attenzione, accanto alle opere di Nomellini, quelle di Sacheri , Vernazza e Maragliano: sulla novità tecnica del divisionismo avevano avuto modo di meditare i pittori genovesi [che vennero definiti “Gruppo degli Audaci” dal critico d’arte dell’epoca Ugo Fleres.], primo fra tutti Rubaldo Merello, e nel frattempo erano giunti a Genova, dal Piemonte, i fratelli Cominetti.

Grandissimo fu dunque il peso di Nomellini nel costituirsi della cultura divisionista a Genova, proprio per il manifestarsi nella sua opera, già nel 1891, d’istanze di natura simbolista perfettamente in accordo con le inclinazioni dell’ambiente.
La novità del divisionismo, proposta dall’artista, e accolta nella sua valenza tecnica da pittori d’ispirazione naturalistica – come Sacheri e Figari, e più tardi dallo stesso Merello – ma soprattutto l’innesto tra Divisionismo e Simbolismo si incontra con le nascenti propensioni dell’ambiente culturale genovese.
La pubblicazione, a Genova, sul finire del secolo, delle opere di Remigio Zena e di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi aveva contribuito in modo determinante a creare quel substrato culturale visionario e fantastico di cui si alimentava la nuova sensibilità. Tra il 1883 e il 1886 vengono pubblicate le prime parti del romanzo di Zena; nel 1885 Il libro dei Frammenti, nel 1898 le  Lettere di Crociera e I piccoli poemi d’autunno di Ceccardi.

Agli inizi del secolo un secondo fatto contribuisce a confermare l’indirizzo divisionista-simbolico dell’arte a Genova: la presenza di Gaetano Previati.
Previati risiedeva periodicamente a Lavagna, presso Genova, a partire dal 1901.
Ma l’assimilazione del Previati all’ambiente culturale genovese è più tarda: posteriore comunque alla pubblicazione dei Principi scientifici del Divisionismo.

L’articolo di De Gaufridy a sostegno dell’opera di Previati e del 1910, e solo in Rubaldo Merello appare, già nei primi del secolo, un’assimilazione consapevole del linguaggio pittorico del maestro.
Dipinti come Marina ligure e il Naufrago di Nomellini, totalmente risolti in chiave divisionista, sono del 1891 e del 1893, ed è certo che questi testi hanno contato, come si può dedurre dalle prime straordinarie opere di Merello sul tema del Fienile, nell’esordio divisionista dell’artista.

Plinio Nomellini, Il naufrago, 1893

GIUSEPPE COMINETTI

Giuseppe Cominetti

Anche Merello, come Cominetti, in armonia con la complessità e le contraddizioni dell’ambiente culturale genovese e in relazione al crescente interesse per l’opera di Previati, manterrà nella sua opera una costante oscillazione tra l’attualità di un panico sentimento della natura e la volontà di esprimere istanze spiritualistiche, in simbologie mitologiche e religiose.
La propagazione dell’idea simbolista nella sua accezione più letteraria e decadente in questi anni a Genova e fortissima.
I testi pittorici del Simbolismo europeo sono consultabili presso la “Società di letture e conversazioni scientifiche” a Palazzo Spinola, e la teorica simbolista e diffusa dal “Caffaro” e dal “Secolo XIX”. Inoltre la “Rassegna latina”, diretta da M.M. Martini, tra il 1907 e il 1909 diffondeva l’opera di Von Stuck, Khnopff, Deville, Puvis de Chavannes.
Il Cristo di Cominetti, del 1905, è un’opera di diretta discendenza previatesca, tanto che lo si è potuto facilmente accostare alla Crocefissione ora nel museo di Ferrara, dipinta prima del 1900.
Non solo l’iconografia del Cristo appare ripresa dal modello, ma persino le soluzioni formali, improntate a un’aurea tonale “scapigliata”.
Tra il 1905 e il 1906 Cominetti dipinge il Trionfo della morte, raffigurante un’efebica figura abbandonata ai fulgori del tramonto, in un’aria vagamente surreale, che ritornerà poi nelle più tarde Les Falaises et ses mouettes e nella Vénération du Christ.
In quest’opera l’artista sembra riprendere le cadenze previatesche dei grandi studi preparatori per la Via Crucis, del 1901-1902.

Giuseppe Cominetti, Trionfo della morte, 1906 circa
Giuseppe Cominetti, Vénération du Christ, 1907 circa
Gaetano Previati, Stazione Via Crucis, 1907

Ma negli stessi anni Cominetti porta a compimento Le forgeron, dipinto di cupo tonalismo e di evidenti intenti sociali, nel quale echeggia un’eco fortissima di Costantin Meunier.

E il richiamo non e casuale, proprio perche la scultura di Meunier era ben conosciuta a Genova, tanto che la stampa aveva commentato ampiamente la morte dell’artista, avvenuta nel 1905, ricordando come l’opera Lo scaricatore avesse suscitato l’interesse delle classi lavoratrici genovesi.
Del 1907 infine e i Conquistatori del sole.

Giuseppe Cominetti, I conquistatori del sole, 1907

Contemporaneamente Cominetti conduce una sottile meditazione sui testi segantiniani, di cui sono testimonianza, oltre che la grafica, il dipinto Paesaggio con pecore (Omaggio a Segantini).

Giuseppe Cominetti, Paesaggio con pecore (Omaggio a Segantini), 1907 circa

La bellissima qualità pittorica dell’opera rimanda all’affocata atmosfera serotina dei Conquistatori del sole, e analoga e la soluzione divisionista, giocata sul controluce e sull’intensità irradiante del colore del cielo.
Ma il quadro, per la fluenza dei ritmi compositivi che magistralmente s’accordano al sentimento che l’artista intende esprimere, di malinconia dell’ora, sembra interpretare in chiave pellizziana gli iniziali intendimenti rivolti a Segantini.
Proprio in questi anni avviene il trapasso lento della tavolozza cominettiana dalla maniera “scura” al Divisionismo.
Nel Cenacolo di artisti genovesi che si erano raccolti intorno a Nomellini nel “Gruppo di Albaro” Cominetti matura una completa assimilazione del Divisionismo e attraverso di esso risale, al di là delle istanze stesse avanzate dal Simbolismo e delle relative soluzioni formali, alle radici originarie di quella tecnica.
Si spiegano così opere di risentito piglio plastico, come Ritratto di giovane contadino. In altri dipinti, come la Testa di ragazzo,  Giulio, eseguiti tra il 1906 e il 1907, si dispiega una tavolozza di chiari, immersione dei volti in una fluidità atmosferica, cui non sono estranee lievi accensioni espressionistiche, tali che Cominetti si trova accanto, non fosse per quell’ingentilirsi della forma nel lirismo che all’artista e proprio, certo figurare balenante della pittura di Munch”.
Nel 1907 Cominetti dipinge il Ritratto d’adolescente, in cui più risolutamente si afferma la tecnica divisionistica, in una totale acquisizione della luce-ambiente al dinamico comporsi delle pennellate di colore. Si compie in questi anni nell’opera di Cominetti una metamorfosi della grammatica divisionistica, che vien sovvertita alla sua origine.
Superando la variabile stessa impressa al Divisionismo dal Simbolismo italiano, per cui il colore scomposto era divenuto sostegno quasi e vibrante accordo alla conduzione lineare dell`immagine, Cominetti traduce il Divisionismo in grafia emozionale, incontrando sulla strada di questa originale soluzione il tormento espressionistico dei grandi isolati europei, Munch, Nolde, Schiele.

Nel 1909 Cominetti è a Parigi: in questi anni è appena esplosa la breve stagione fauve.
Anche le opere ancora di più ortodossa matrice nomelliniana, come le Nudi nel giardino del 1911 circa, rivelano un’accensione, una dissonanza, un modo nuovo di rielaborare la grammatica divisionistica.

Giuseppe Cominetti, Nudi nel giardino, 1911 circa

Il colore si fa segno, scorpora per cosi dire la sua originale conformazione di tratti di materia collegati secondo la complementarietà cromatica di accordi, di distanze, e libera una spazialità di faville che muovono la
circolarità dell’emozione, in senso appunto fauve ed espressionistico. Fauve è la qualità del gesto pittorico, l’impatto diretto che esso istituisce con una realtà visiva accolta come matrice dell’emozione; espressionistico è il significato del fare, che implica un rapporto psicologico, spesso anzi una carica di intensità psichica, come spessore significante dell’immagine. Ovvio che Cominetti s’incontri con il Boccioni della Città che sale analoga la matrice stilistica e culturale dei due artisti, affini gli intendimenti di natura psicologica nel ritratto (si pensi alla Maestra di scena di Boccioni, del 1909); identica la propensione verso l`area espressionistica mitteleuropea.

Umberto Boccioni, La città che sale, 1910-1911

Il rapporto personale tra Cominetti e Boccioni, non documentato, affidato a una sola rapida citazione di Boccioni in una lettera a Severini, fu certamente di poco conto. Cominetti era già stato in contatto con Marinetti a Genova, dove lo scrittore nel 1898 aveva completato gli studi universitari, partecipando nel contempo alla vita culturale cittadina, cui era rimasto legato, mediante interventi e pubblicazione di articoli sulla stampa genovese, sino alle soglie della fondazione del Futurismo.
Il primo manifesto del Futurismo fu pubblicato a Parigi nel 1909, l’anno di trasferimento di Cominetti.
I dipinti di Cominetti nel 1910, eseguiti nel nuovo studio parigino, rivelano piuttosto la pronta assimilazione, da parte dell’artista, del cromatismo forte e di certa stilizzazione plastica propria alla pittura fauve.
L’adesione al nascente Futurismo è ovvia in Cominetti artista attratto dal mito del moderno e attento ai problemi linguistici posti dal Divisionismo, in particolare dall’espansività dinamica dell’immagine di Previati.
L’interesse di Cominetti per Previati non riguarda soltanto la simbolizzazione attuata dal maestro, ma più precisamente, come in Boccioni, la dinamica spaziale del quadro. Ma altrettanto immediato quanto la sua adesione è il distacco dal Futurismo motivato e dalla profonda istintiva ripulsa dell’artista, di natura individualista, per ogni idea di gruppo, e dalla sua potenziale indifferenza, anzi avversione, al programma futurista, laddove esso si poneva in aperto rifiuto dei soggetti tradizionali quali il nudo per esempio, abitualmente trattati dal pittore.
Consentanea ai postulati del manifesto del Futurismo, per quanto riguarda almeno la volontà di esprimere in arte il tempo nuovo e la conseguente idea del dinamismo plastico, e affine alle scelte culturali di Boccioni quando nel passato recente valorizza le esperienze di Medardo Rosso e di Previati, la poetica di Cominetti:  […] per aderire al dinamismo dei futuristi volle trovare una ragione interna, e i suoi contenuti ballerine, velocisti, giocatori di rugby, cavalieri – gli servirono a rendere quella mobilità delle forme nella luce che costituì forse la sua maggiore aspirazione in pittura”. (G.Carandente, 1963)

Giuseppe Cominetti, Il volano, 1914
Giuseppe Cominetti, Gran prix cycliste, 1914 circa

E’ singolare come molti dipinti di Cominetti si avvicininò alla ritmica cubo-futurista del Severini di Pan Pan au Monico, , alla frantumazione espressionistico-futurista della Risata, pur svolgendo un discorso prevalentemente incentrato sull’illustrazione della vita moderna, ancora e soprattutto attento agli “stati d’animo”, piuttosto che inteso a trovare degli equivalenti plastici che restituiscano vita autonoma al quadro.

Gino Severini, Danza del Pan Pan al Monico, 1910 circa

Proprio nella poetica degli “stati d’animo” consiste il punto di massima convergenza di Cominetti con il Futurismo, mentre moderata, se non del tutto insignificante, è la sua assunzione di moduli plastici propri all’immagine futurista.
Adesione teorica, che altri punti d’incontro trova nella poetica delle “linee di forza dell’oggetto” senza però che l’oggetto perda la sua corporeità; ed e comunque rintracciabile come sottile diagramma del fenomeno entro la pur sconvolta tessitura del colore. Né lo spazio arriva a modellarsi in autonomia come luogo dell’immagine: esso si presenta comunque nei dipinti di Cominetti come ambiente artificiale della città o come ambiente naturale, sconvolto dalle traiettorie multiformi della figura, tagliato dalle luci balenanti, ricomposto sulle fisionomie espressionisticamente deformate.

Giuseppe Cominetti, Amanti sott’acqua, 1911 circa

Sempre comunque come entità plastica modellata sul vedere, prevalentemente originata da uno scatto di energia pittorica sull’impressione, destinata a congelarsi in immagini decisamente naturalistiche quando l’insistenza nel definire le situazioni plastiche del motivo sia eccessiva. La poetica degli “stati d’animo” – da Cominetti condotta all’espressione di un’ambiguità strana tra un gusto maudit per il macabro, una sorta di furore espressionistico venato di inquietudine esistenziale, e languori e tenerezze che adombrano una compiaciuta acquiscenza alla Bohème dei giorni parigini – segna dunque il massimo di rapporto con il Futurismo.
A meno che non si vogliano ravvisare riscontri cubisti e futuristi nella franta ritmica dell’immagine di opere come Can Can (1911 circa) o il Tango (1914) nel “sovrapporsi delle teste dei personaggi, appena tracciate nel viluppo delle pennellate”. Ma il Can Can è piuttosto riconducibile alla sintassi espressionistica di Van Dongen, cui altresì richiama la qualità fauve del colore; e il viluppo dei corpi del centro figurale del Tango, ben leggibile nel disegno a penna preparatorio, riporta indubbiamente ai nodi di figure simboliche articolate secondo cadenze fluenti di derivazione previatesca nella produzione grafica anteriore al 1910.

Giuseppe Cominetti, La grande farandole, 1911

La ricomposizione dello spazio plastico non procede cioè da un’interazione tra oggetto e ambiente, ma muove dalle fluenze lineari delle figure, dall’espansione dei moti sussultori delle stesse sulla superficie.
I bordi del quadro non chiudono il ritmo spaziale dell’immagine, che anzi si dilata in una dimensione suggestiva, oltre la scena,  aperto in modo emozionale verso l’ambiente. Questa versione del tutto particolare della poetica delle “linee di forza”dell’oggetto avvicina Cominetti, sebbene in modi diametralmente opposti, per il prevalere della dimensione emozionale e per il permanere comunque di una presenza figurale a carattere espressionista, ai diagrammi astratti di Balla, e all’invenzione scenica di Prampolini.
C’è una componente sentimentale in Cominetti, che motiva le sue tenerezze “per quanto si faceva allora sulla scena dello Châtelet, tra i languori di Nijknky e di Tamara Karsavina, e le spettacolari accensioni di Bakst per Dafni e Cloe essa fa del’artista l’interprete appassionato di una società che affoga il suo disagio nei fulgori delle notti parigine, che oblia nell’evasione intellettuale la coscienza del presente.
Ovvio dunque, che Cominetti trovasse nel teatro una dimensione ideale alla propria evasione fantastica, e che la sua immaginazione spaziale arrivasse ai risultati di straordinari in, fiabesca vitalità che distinguono la sua produzione nel campo della scenografia.
Scenografia e pittura non rappresentano attitudini separate nel fare arte di Cominetti ma sono insieme alla grafica, e più in generale insieme all’attività di illustratore che egli sempre condusse, le diverse estrinsecazioni di una concezione dello spazio plastico come modo di coinvolgimento dell’ambiente, e, in ultima analisi, come manifestazione esclusiva e totale dell’essere. Questa concezione, che ha storicamente le sue radici nell’idea simbolista dell’ “espansività” dell’arte, trova il terreno più favorevole nell’ambiente parigino dell’inizio secolo frequentato dall’artista, nel clima delle “fêtes galantes” e “dell’esistenzialismo avanti lettera delle chiassose serate a Montmatre”. (G.Carandente, 1963).

Giuseppe Cominetti, Carnevale a Parigi, 1912 circa

Nel 1915 si tiene a Genova la mostra di Previati, e negli stessi anni ha inizio la seconda fase del Divisionismo ligure.
Il Divisionismo mantiene vitalità nelle aree in cui si registrano ritardi culturali; Balla e Boccioni lo hanno già superato nel 1910, e a Parigi il Pointellisme è già storia.
Cominetti e l’unico pittore che si mantiene fedele all’originaria sigla tecnica della sua immagine. Ovvio che ciò accada in un artista in cui l’istanza contenutistica predomina rispetto all’interesse per la ricerca linguistica.
La sua stessa partecipazione al Futurismo in Liguria, tarda affermazione di un credo modernista il cui contributo alle avanguardie artistiche del Novecento è già scontato, risponde alla generosa vena dell’artista, al suo attivismo culturale e forse lo compensa di un declino di fortuna nell’ambiente.

Giuseppe Cominetti, Portatrici di ceste, 1918

CORNELIO GERANZANI

Cornelio Geranzani

Una versione particolarmente ortodossa del complementarismo puntinista è fornita da Cornelio Geranzani, le cui prime opere di sicuro interesse in questa direzione risalgono, per quanto e consentito stabilirne malgrado le difficoltà di datazione, intorno al 1910.
ll complementarismo di Geranzani mostra un carattere assolutamente ei eccentrico rispetto alla versione naturalistico-simbolica offerta sullo scorcio del secolo da Nomellini, e rispetto anche alla metamorfosi espressionistica di quell’esperienza operata da Giuseppe Cominetti.
Geranzani adotta un procedimento para-scientifico, organizzando la superficie del dipinto secondo un principio di attribuzione di valori astratti ai singoli colori, e istituendo quindi una complessità di rapporti fondati sull’intensità specifica dei colori e la distribuzione delle zone cromatiche. Ovvio che il disegno appaia semplificato in queste sue opere, definendosi l’immagine per essenziali geometrie e secondo un gioco di articolate zone, in cui il valore delle figure astratte, determinate dagli incastri dei piani in cui si organizza il dipinto, elude la rappresentazione stessa del soggetto. Si comprende così come Geranzani, intorno al 1916, raggiunga soluzioni di pura complementarietà astratta che lo avvicinano a Balla, insieme al quale espose, già nel 1910 a Roma.
In precedenza l’artista, che si era formato alla scuola di Giovanni Quinzio presso l’Accademia Ligustica, abbandonando invero assai presto il paesaggio tradizionale per la tecnica divisionista, aveva dato prove interessanti, di un puntinismo non di stretta osservanza scientifica, ma riportato piuttosto a un suggestivo tonalismo atmosferico.
Verso la fine del primo decennio del secolo è da riferirsi con ogni probabilità il dipinto La  figlia del carrettiere, nel quale il tonalismo assorbe la puntinata conduzione del colore, con quegli effetti di plastica consistenza accentuati da un rigorismo formale che, nello scomporre i piani degli oggetti secondo moduli geometricizzanti, anticipa la sua produzione più matura. L’opera rivela una consistente capacità di dominio della figura, e un gusto per l’astrazione formale inconsueto all’ambiente italiano e ligure di quegli anni.

Cornelio Geranzani, La figlia del carrettiere,1897 circa

Intorno al 1910 sono databili una serie di dipinti di più stretta osservanza puntinista, anche se la scomposizione del tono non avviene sulla base di un’analisi scientifica della luce-colore, ma si indirizzata piuttosto verso una ricerca di astrazione decorativa.
In essi la luce è intesa come fonte dinamica che stabilisce astratti ritmi della superficie. In questo senso i paesaggi Casa e strada, Il lampione, Figura con animale,  mostrano una parentela con la ricerca dinamica di Giacomo Balla, la cui Lampada ad arco è del 1909.

Cornelio Geranzani, Figura con animale, 1915 circa

La vicinanza con Balla è confermata, oltre che dall’incontro diretto del 1910 a Roma, dall’indi rizzo assunto dalla pittura di Geranzani in ordine appunto a un rigorismo astratto a carattere prevalentemente decorativo, e dal ricorrere di certi temi, effetti, o soluzioni stilistiche, su di essi elaborate, comuni con lo stesso Balla.

Cornelio Geranzani, Le mondine, 1920 circa

Il Luna Park di Balla è del 1900; ancora parecchi anni dopo Geranzani dipinge scene di incandescenze artificiali nel cielo notturno, con soluzioni divisioniste analoghe a quelle di Balla.
Che il progetto creativo di Geranzani fosse dominato piuttosto da una tendenza decorativa simbolica, è testimoniato dagli sviluppi successivi della sua arte.
Intorno al 1916 il mito del moderno, già declinato dall’artista in simbologie che traducono in termini decorativi e letterari l’ansia di esprimere il tempo nuovo che agita dall’interno la dinamica formale di un Boccioni e di un Balla, smuore in snervate cadenze di ascendenza floreale.
Il segno si esaurisce in semplicismo compositivo, e l’immagine si prospetta come un manifesto estetizzante, povera di intrinseca vitalità ideale quanto di soluzioni plastiche e formali.
Geranzani si propone di interpretare il Puntinismo secondo il principio della creazione di ritmi compositivi che si rifanno alle “misure sante”, nel significato goethiano: “santo” e ciò che crea armonia. Questa dominante tendenza scientifico meccanicistica pervade l’ambiente genovese intorno alla fine del primo decennio del secolo.

DOMINGO MOTTA

Domingo Motta progetta un suo “cromometro”, sorta di strumento per la scomposizione dei colori ai fini della stampa in tricromia, e mette a punto un prontuario per la traduzione dei suoni in colori.
Il percorso di Motta come pittore è singolare: da iniziali posizioni realistiche, che rimangono in ogni caso la dominante di fondo della sua arte anche quando essa prende una svolta divisionistica-simbolista con occhieggiamenti al dinamismo futurista, travalica appunto in interessi di natura scientifica, poi contraddetti da successivi ripetuti corsi e ricorsi realistici.
Motta dipinge nel 1918 La metropoli del futuro, essa si imparenta con la coeva Folla di Sexto Canegallo, sia per l’istanza contenutistica di illustrazione del mito del moderno in chiave di ossessione e di angoscia, sia per le soluzioni figurali che, al di là dello pseudo scientificismo divisionista, non possono essere intese che in chiave simbolista.

Domingo Motta, La metropoli del futuro, 1908
Sexto Canegallo, La folla, 1908
Romolo Romani, Visi, 1905 circa

Dalla teoria di Fénéon sull’armonico comporsi di ritmi-scansioni lineari, rapporti coloristici, dal concetto delle “variazioni perpetue”, e dalla convinzione di Romolo Romani secondo la quale “per ottenere la significazione, l’esperienza pittorica di un qualunque stato d’animo umano di un qualunque fatto o fenomeno naturale, basta partire dalla rappresentazione anatomica, fisica o geologica di una massa, esprimendola linearmente da definirne il reale contenuto, esagerandola, ricomponendola, poi con i sussidi del colore e del chiaro-scuro, secondo i propri intenti per giungere all’intera immagine psichica”, mentre […] La successione e l’intensità degli atti interpretati devono appunto dare la misura dell’opera d’arte […]  e  […] il risultato discordante così nelle conseguenze come nelle premesse, da qualunque forma vera, deve giungere ad esprimere un simbolo, l’idea della sua reale necessità”, discende l’esperienza del filone “scientifico” del divisionismo-simbolista, di cui l’interprete più ortodosso resta insieme a Geranzani, Sexto Canegallo.

SEXTO CANEGALLO

Sexto Canegallo

L’adesione di Canegallo al Divisionismo è assai precoce. Rapidamente scontati i termini della sua formazione scolastica, già al 1907-1908 data con ogni probabilità il dipinto L’onda, un’opera in cui le risultanze tonali sono superate in un divisionismo composito, dove la scabra materia si combina con il policromismo ispirato a Nomellini e Merello. Le soluzioni dell’onda, trattata secondo un modulo divisionista-liberty per andamenti concatenati “a occhi”, con accensioni di rossi e violetti, riportano ai due maestri.

Sexto Canegallo, L’onda, 1980 circa

Al 1912-15 data il dipinto Bambini che pescano, in cui le precedenti soluzioni pervengono a una sintesi dalla quale sembra affiorare la memoria dell’ordine stilistico proprio del Pointillisme, in particolare di Seurat.
Si avvia con questo dipinto un processo di organizzazione sistematica della superficie secondo un postulato d’ordine compositivo e cromatico che sarà proprio dell`opera della maturità di Canegallo.

Sexto Canegallo, Bambini che pescano, 1913 circa

Tra il 1913 e il 1915 possono essere collocate vere e proprie esperienze di “puntinato” divisionista, in cui la rigidità disegnativa risponde alla volontà di usare la forma come elemento d`equilibrio all’espansione della tessitura cromatica.

Dopo il 1915 Canegallo avvia un procedimento di sintesi dei moduli spaziali introdotti dal Cubismo e dal Futurismo, con l’istanza impressionista e puntinista rivolta all’analisi, scomposizione e ricomposizione della luce.
Si determina così quello stile “integralista”, nel senso di unità raggiunta in un ordine compositivo che procede alla sintesi spazio-colore-espressione e individua negli stati d’animo il luogo d’ispirazione dell’artista.
Canegallo offre un’originale versione degli stati d’animo boccioniani, che risalgono al 1911, e dimostra di avere assimilato i postulati estetici di Romolo Romani, conosciuto a Milano nel 1914.

Al 1919 risale un testo teorico, elaborato con l’amico scrittore d’arte Zaccaria, nel quale si esprimono compiutamente i principi ispiratori dell’arte di Canegallo.
Rilevato che punto di partenza dell’artista è in ogni caso il vero: “Ed io chiamo vero tutto ciò che ha la capacità di essere percepito dalla nostra sensibilità” – lo scopo dell`arte è ravvisato nella volontà “di rendere agli altri la realtà quale essa parla in me  e dire davvero nel quadro ciò che sento in me stesso, e dirlo in modo che il quadro non sia un taglio tra me e la folla, che mi isoli da tutti . A tale fine  ho fusi nel quadro tutti gli elementi delle mie impressioni, cercando di dare ad ognuno il suo giusto valore. In questo senso il mio criterio pittorico si può chiamare ‘integralismo’: il mio sforzo tende ad un’espressione ‘integrale` della realtà che comprenda – il suo valore oggettivo; – il valore che essa acquista passando attraverso me prima di giungere come mia ‘voce’ agli altri; chiamando ‘integrale’ questa somma di elementi io non voglio lanciare una nuova catalogazione stilistica: soltanto rispondo alla necessità di definire artisticamente la sovrapposizione o, meglio, la compenetrazione di elementi reali ed astratti, che per me si effettua nel quadro”.
La mostra alla Galleria La Böetiè di Parigi, nel giugno del 1925,

rappresenterà un’importante presentazione del lavoro del pittore: in essa compaiono le serie delle Gemme, intese a esprimere situazioni psichiche come malinconia, calma, vigore mistico, passione, esaltazione gioiosa; dei Ritratti bizzarri: il megalomane, il rivoluzionario, il dissoluto, il vizioso, l’uomo finito, il maniaco, l’asceta; dei Momenti di esasperazione passionale e emotiva, comprendenteundici dipinti sui temi della voluttà, dellapaura, della gioia, dell’esaltazione mistica;e poi le Impressioni emisferiche, manifestazioni pittoriche di sensazioni astratte chetrovano nei colori e nei ritmi formali la loro oggettivazione; inoltre ambiziosi temidell’energia sociale, della folla, dell’amore,della danza della vita, dello sguardo; delle Elevazioni, intese a esprimere una progressione di movimenti dello spirito: Passioni, Desideri, Aspirazioni.

Sexto Canegallo, Impressioni atmosferiche. Calma meridiana, 1925
Sexto Canegallo, Elevazioni. Passioni, 1925 circa

La stessa mostra presentava una cospicua quantità di disegni, e altri dipinti aventi come tema la psicologia dell’ambiente naturale e sociale.
Nei dipinti sopra indicati la tecnica divisionistica appare ricondotta a una sistematica organizzazione plastico-spaziale dell’immagine, tale che, conservandosi, anzi potenziandosi, la qualità espressiva del colore, la pennellata si dispone secondo andamenti strettamente connessi alle significazioni simboliche attribuite alle forme e al ductus lineare.
A questo proposito l’estetica di Canegallo si riconduce ai postulati del gruppo Rosa-Croce, cui aveva aderito anche Previati e soprattutto alle elaborazioni “scientifiche” del significato della linea e del colore date da Felix Fénéon e Charles Henry, fonti di riferimento per lo stesso movimento del Pontillisme, francese. La mediazione tra Rosa-Croce e le teorie scientifiche è fornita a Canegallo dalla conoscenza diretta dell’opera teorica di Previati e di Romolo Romani.

Sexto Canegallo, Scena d’ambiente. Porto di Genova, 1920 circa

RUBALDO MERELLO

Rubaldo Merello

Fatta eccezione per un puntuale intervento di Cesare Brandi, dal 1926 – anno in cui si ebbe una grande mostra del pittore al Palazzo Bianco di Genova – occorre attendere l’antologica del 1970 e la contemporanea presentazione di un gruppo di opere all’esposizione del Divisionismo italiano a Milano, per poter cominciare a intendere nella giusta luce la posizione, nella pittura italiana dell’epoca, di quel singolare artista che fu Rubaldo Merello.
Neanche la presenza di Merello negli Archivi del Divisionismo, che non potevano ancora valersi di una ricostruzione organica dell’opera dell’artista, rappresenta una definitiva messa a fuoco dell’apporto del pittore al movimento italiano.
Nel 1904 Pellizza presenta alla Promotrice Una via di Volpedo e Aprile nei prati di Volpedo, mentre alla Promotrice del 1906 compariranno le prime opere divisioniste di Rubaldo Merello: Capanna, Fienile, Bosco Invernale e Paesaggio.

Eppure Merello aveva esposto nel 1907 al Salon des Peintres Divisionnistes Italiens, facendo parte del gruppo di artisti di Grubicy.

Rubaldo Merello, Paesaggio. Studio, 1907 (Opera esposta al Salon des Peintres Divisionnistes Italiens. Paris, 1907

Era ben noto quindi, e apprezzato, dall’area divisionista italiana, cui era pervenuto grazie all’illuminato intervento di un critico cui si deve la diffusione del movimento in Liguria: Paolo de Gaufridy.
Almeno una delle opere esposte a Parigi, ritrovata, consente di comprendere che al 1907 Merello ha profondamente inteso la grammatica divisionista, di cui offre una personale elaborazione. Se si tien conto che già nel 1898 è documentato l’acquisto di un suo “dipinto di paese” da parte dello stesso possessore di un’opera come Fienile, e che quest’ultimo quadro strettamente si lega, quanto a caratteri stilistici, a un altro Fienile, esposto alla Promotrice di Belle Arti di Genova nel 1906 – eseguito quindi in quell’anno se non nei precedenti – si può concludere che già tra la fine del secolo e i primissimi anni del Novecento Merello ha abbracciato quel linguaggio divisionista di cui i dipinti esposti a Parigi sono testimonianza.

Rubaldo Merello, Fienile, 1906

In effetti le opere datate dopo il 1906 – a parte il mutamento di soggetti che interviene a partire da questa data, quando il pittore si sposta, dal suo primo luogo di soggiorno sul Monte, alla nuova dimora nella baia di San Fruttuoso – rivelano una più libera articolazione delle pennellate divisionista, e una fusione singolare dei molteplici dati della formazione del pittore. I dipinti sino al 1906 manifestano attenzione per il plasticismo pittorico di Segantini, che Merello poteva conoscere senza dubbio, anche attraverso riproduzione, per il tramite di De Gaufridy: le soluzioni della pennellata a filamento, che compaiono nei tre dipinti noti tra quelli esposti alla Promotrice genovese del 1906 (Capanna, Bosco invernale, Fienile) nonché nell’altro Fienile dianzi citato, appaiono come un puntuale rimando all’opera del maestro.

Rubaldo Merello, Bosco invernale, 1906 circa
Rubaldo Merello, Capanna, 1906

La qualità delle opere, alta al punto da poterle collocare tra i capolavori del pittore, poco ammette che esse appartengano a un semplice apprendistato divisionista.
Più logico pensare che Merello, durante la sua fase iniziale – dedicata, come noto alla scultura, dopo essere stato allievo, sino al 1892, dell’Accademia Ligustica  esercitasse in maniera approfondita la pittura (come farebbe pensare, oltre al documentato d’acquisto di un dipinto di paesaggio nel 1898, una piccola tela ritrovata certamente di quel torno d’anni).
La datazione del gruppo di opere esposte alla Promotrice del 1906 andrebbe perciò spostata a partire dagli inizi del secolo, che segnano l’avvio dell’esperienza divisionista del pittore.
Chiarito il probabile, indiretto rapporto con la pittura di Segantini, va detto che altri elementi di cultura, emergenti dall’analisi delle opere, confermano il fatto che i primi dipinti divisionisti di Merello siano nati all’inizio del Novecento. In particolare in una delle due versioni del Fienile, la componente simbolista e forte: non un simbolismo di natura letteraria, come accadrà di lì a qualche anno in Cominetti, ma una ripresa di modi stilistici propri a quell’area.
Nell’opera di Merello echeggia la memoria di Böcklin: interpretato, come solo gli era possibile, attraverso la versione che negli ultimissimi anni del secolo Nomellini, ancora a Genova, ne dava.
Le assonanze stilistiche tra il Fienile e L’autunno latino  (dipinto tra il 1899 e il 1900) di Nomellini sono strettissime, al punto da convincere che Merello abbia conosciuto il dipinto. L’opera non fu mai esposta, ma era ben nota nella cerchia di artisti, in particolar modo degli scultori, nella quale Merello gravitava: De Albertis e Nomellini avevano progettato di inserire il dipinto all`interno di una cornice lavorata dallo scultore, che vi aggiunse anche un rilievo in marmo raffigurante l’allegoria dell’autunno. Il progetto venne realizzato: e stata ritrovata, oltre al dipinto e alla scultura, la cornice, trasformata.

La pittura di Nomellini, nelle sue fondamentali componenti divisionista e simbolista, fu determinante nel fondarsi della prima esperienza di Merello.
La lettura dei Principi scientifici del Divisionismo è posteriore all’assunzione della nuova tecnica da parte di Merello, anche se occorre ricordare che Previati era già ben noto a Genova, dove espose, nel 1902, la Via Crucis.
Nel 1892 Merello frequentava l’ultimo anno di Accademia quando Nomellini dipinse Il golfo di Genova; nel 1893 compare alla Promotrice genovese La diana del lavoro, ed è comunque certo che la novità tecnica importata dal pittore toscano era ben nota tra gli artisti, e conosciute quelle opere del maestro in cui l’osservanza divisionista, tra il 1891 e il 1893, e più stretta.
Gli sviluppi del linguaggio del Merello, dopo il 1906, confermano del resto come, tra gli iniziatori del Divisionismo, Nomellini rappresentasse il modello più consentaneo all’artista.

Rubaldo Merello, San Fruttuoso di Camogli, 1907

Merello denuncia nel suo intero percorso un’ambiguità tra aspirazioni spiritualistiche, destinate a trovar esito nell’immagine simbolista  e ispirazione naturalistica.
Difficile riesce al pittore la conciliazione tra le due istanze di fondo della sua personalità; e in ultima analisi egli va risolvendo il conflitto in una sorta di duplicità creativa: tale che la pittura rispecchia la sua fondamentale ispirazione naturalistica, mentre all’attività disegnativa è affidato il libero corso della vena simbolista.
Proprio la possibilità, individuata da Merello, di affidare al disegno quella complessità non risolta di istanze culturali che l’ambiente, e la sua stessa formazione comportavano, permette all’artista di dar libero sfogo alla sua ispirazione naturalistica, sperimentando sugli insistenti temi di paesaggio del Monte di Portofino quella libertà nell’uso del colore che l’esperienza divisionista e la profonda acquisizione del ductus lineare simbolista gli aveva fornito.

L’opera di Merello, al di là della prima, significativa stagione divisionista e, come già Brandi indicò, tutta da riconsiderare nel contesto ampio del Postimpressionismo europeo: come una delle esperienze che partendo dalle fonti dell’arte moderna hanno perseguito con più tenacia, nel Novecento, aldilà delle stesse avanguardie storiche, l’approfondimento di un originale, significativo nucleo poetico.

DOMENICO GUERELLO

Domenico Guerello

La prima attività di Domenico Guerello è strettamente collegata alla frequentazione dell’Accademia; Guerello conduce contemporaneamente una doppia esperienza: di figura e di paesaggio.
Nel 1915 la mostra di Gaetano Previati costituisce un evento fondamentale per intendere gli sviluppi del secondo Divisionismo e la svolta simbolistica, di matrice appunto previatesca, che l’area culturale genovese prende. l paesaggi di Guerello, dipinti in questi anni sul Monte di Portofino, nella stilizzazione plastica e tonale inconsueta rivelano una personalità già eccentrica rispetto ai dati della sua formazione.
Nello stesso tempo Guerello conduce all’Accademia un’esperienza di figura estremamente interessante.
Da un lato si impegna in una ritrattistica di cui l’influenza del maestro Tullio Salvatore Quinzio appare dominante; personale e l’accentuazione patetica del ritratto e il senso di sospensione che l`immagine assume in virtù di un più morbido distendersi del tono, dell’indulgere in tenerezze inconsuete nelle velature degli sguardi; dall’altro esegue studi di nudo, figure di un tonalismo delicato, “grigio” per la tenuità dell’impasto permeato di luce, solide nel sicuro impianto disegnativo, in cui prevale un ductus lineare stilizzante.
È probabile che la mutazione divisionista del linguaggio di Guerello, avvenuta negli anni tra il 1914 e il 1917, sia stata propiziata dalla meditazione sul lavoro di Rubaldo Merello, di cui si tenne la mostra nel 1914, oltre che dall’incontro decisivo con l’opera di Previati, nel 1915.
Ma è certo che alla svolta simbolista in chiave di una spiritualità intellettuale venata di sotterranee inquietudini morali sin dalle prime prove, che risalgono al 1916, non è estranea la conoscenza della pittura viennese di inizio secolo, il ductus lineare klimtiano, di cui l’artista restituisce una personale interpretazione, immergendo le sue figure in chiarità di ascendenza post-impressionista.
Del 1916 è infatti un eccentrico dipinto, La famiglia, dove nella tenuità cromatica di un divisionismo “chiaro” di derivazione previatesca, smemorata ombra dalle trasparenze seuratiane, si innesta l’articolata movenza del gruppo di figure.

Domenico Guerello, La famiglia, 1907

Nei primi anni di frequenza libera alla Ligustica, tra il 1914 e il 1917 (però ancora nel 1922 Guerello frequenterà la Scuola di nudo), l’artista porta a compimento una quantità di grandi disegni, in cui il nudo è trattato con estrema inventiva, immerso in luce-ambiente, o in spazi aperti.
La vibrazione luminosa, una chiarità mattinale che prelude all’ambientazione delle figure degli anni 1921-26, è ottenuta mediante stilismi inconsueti; un tocchettio chiaro-scurale tenue, che marezza i toni, e discioglie l’impianto plastico delle figure in liquidità di luci. Questi disegni sono ben più che studi: non sorprende che negli stessi anni Guerello firmi alcune delle sue opere più importanti: ritratti cui la tecnica divisionistica, usata con un tratto falcato che crea aloni luminosi intorno alle teste, conferisce un’allucinata penetrazione psicologica. 

Domenico Guerello, Nudo, 1916 circa

E’ del 1912 l’Annunciazione previatesca, figura di finissima stilizzazione: esercizio di concentrazione mentale sull’immagine, nella riduzione ai termini semplici e rigorosi di una pittura di bianchi, azzurri, pochi intensi tratti di più acceso colore; e un disegno severo, che riporta la figura alla sua essenza plastica.

Gaetano Previati, Annunciazione, 1912
Domenico Guerello, L’annunciazione, 1916

Negli anni tra il 1916 e il 1920 Guerello mette a fuoco la propria dinamica del colore a tecnica divisionista, riportando gradualmente la configurazione dello spazio del quadro dall`impianto prospettico a una spazialità di superficie, affidata alla mobilità delle zone cromatiche, e alla vibrazione del tratto internamente alle zone stesse.
Il suo divisionismo e finissimo: mostra accensioni solari nelle vedute del Monte di Portofino, dove l’artista affronta, con una tavolozza che accoglie l’ampiezza coloristica del prisma merelliano, la luce meridiana del paesaggio.

Domenico Guerello, Pini sul mare, 1919

Si compie intanto un processo di progressiva rarefazione della materia cromatica: nella Testa, la luce irradia dall’interno del rosa trattenuto del viso, e nel dipinto aleggia il segreto di una psicologia appuntata nel sottile disegno del profilo, sulla trasparenza del fondo tessuto in piccoli tratti da giardino klimtiano.

Domenico Guerello, Testa, 1915

Tra il 1920 e il 1921 Guerello dipinge le sue opere più intense.
Le grandi figure sullo sfondo del mare di Portofino, i paesaggi del monte. Questi dipinti, risolti ormai in un personalissimo stile che appare eccentrico tanto rispetto alla versione “storica” del Divisionismo in Liguria, quanto al secondo Divisionismo ligure, quello istintuale e visionario di Merello, o quello “scientifico” di Geranzani e Canegallo, assorbono in mirabili sintesi, sul filo di una trasposizione spirituale della realtà nel suo fantasma, le molteplici suggestioni culturali del tempo.

ANTONIO DISCOVOLO

Antonio Discovolo

Un caso a parte nel Divisionismo e Simbolismo in Liguria, sia per la cultura d’origine, sia perchè soltanto nel 1905 egli si trasferisce definitivamente in Liguria, dove per altro aveva già in precedenza lavorato a più riprese, è rappresentato da Antonio Discovolo.
Avvicinandosi al Divisionismo sull’esempio del Lionne,  che ne era il fervido assertore, nell’ambiente romano dove gravitano Camillo Innocenti, Giacomo Balla, Arturo Noci, già nel 1904 dipinge in Liguria il quadro Pini a Tellaro.

Antonio Discovolo, Pini a Tellaro, 1904, (Particolare)
Antonio Discovolo, Il travaso delle idee, 1902

La variegata conduzione del tratto di colore, esemplata sul fervido Divisionismo del Lionne, conduce a un effetto di plastica vitalità la forma, e la materia cromatica densa non contraddice il distendersi dell’immagine in una chiara luminosità atmosferica.
La frequentazione di Nomellini e di Lloyd, converte definitivamente Discovolo al Divisionismo.

Antonio Discovolo, Il dottore del villagio, 1906, (Particolare)
Antonio Discovolo, La casa dei sospriri, 1906

Nel 1907 l’artista dipinge Il medico del paese o Il dottore del villaggio, in cui l’osservanza puntinista e più stretta, ma l’impianto appare puntualmente prospettico, come in tutte le opere del pittore: si afferma così quello stilismo prospettico- cromatico che sarà la costante dell`artista, come è naturale per l’incontro, in lui, tra una tenace tendenza verista e la tensione a liberare col colore un’immagine lirica della realtà.
In Le cascatelle, del 1906, l’attenzione minuziosa ai particolari del vero risulta elemento di conferma alla tenacia di un’ispirazione che non si arresta alla prima emozione di luce.
L’artista indaga il motivo, compone con ricchezza di soluzione l’intrico dei piani, e il colore mostra accordi esaltanti nella minuta grafia divisionista, sottolinea gli stacchi prospettici e le distanze.
Gradualmente Discovolo sfuma l’uso della tecnica divisionista, pur nella mediazione che gli e propria.

Il simbolismo mitologico che caratterizza il nuovo corso della sua pittura è fragile mediato più dall’apparizione di furtive figure nei notturni di paese della sua prima pittura divisionista che dalla reale consistenza di una poetica di tipo simbolista. Si tratta invero di “fantasie” di colore sui prediletti effetti notturni, vive ancora il sentimento del paesaggio, più che di elaborata immaginazione simbolica. Böcklin è solo una memoria, ricordo di una suggestiva immagine intravista.

Tra il 1911 e il 1916 dipinge intanto una serie di paesaggi in cui la riduzione a toni larghi, intenti a cogliere solarità e ombre delle rive delle Cinque Terre, non sconfessa l’esperienza divisionistica, ma ne deriva quell’intensità di colore che conduce l’artista a un denso naturalismo.

Antonio Discovolo, Ulimo sole a Manarola, 1909

Discovolo assume talvolta soluzioni cromatiche nomelliniane, [Notturno amoroso, Riflessi lunari] nell’andamento dell’onda, nell’accensione improvvisa dei rossi a contrasto con le grafie floreali del tratto, ma esse sono sempre ricondotte a una solidità costruttiva rivolta a restituire verità al primo riconoscimento d’emozione sul vero.

Talora il tessuto perde spessore, esprimendo la tenue mobilità della luce.
È il caso di certi pastelli di ritratto, acute interpretazioni del modello con delicati richiami alla cromia dell’ambiente: testimonianza di quanto la tecnica e la divisionista abbia agito in profondità nel costruirsi del linguaggio del pittore oltre quella prima fondamentale esperienza.

Antonio Discovolo, Frangenti, 1917

Fra i pittori che operarono in Liguria aderendo al divisionismo, possiamo citare ancora Enrico Castello (Chin), Alberto Helios Gagliardo, Stefano Baghino, Lazzaro Luxardo, Alfredo Ubaldo Gargani, Guido Meineri, Eso Peluzzi.

ALBERTO HELIOS GAGLIARDO

Alberto Helios Gagliardo espone, già alla Promotrice del 1913, un autoritratto eseguito con tecnica divisionistica.
Tra il 1919 e il 1921 il suo divisionismo accoglie componenti simbolistiche, caratterizzandosi in un’interpretazione di temi letterari e poetici che rivelano una chiara ascendenza preraffaellita. Questa componente conferisce una singolare spiritualità alle opere che Gagliardo: il divisionismo materico, un po’, greve, che risale a Previati, e che costituisce comunque una matrice espressiva e tecnica di fondo dell’opera dell’artista, si assottiglia in una più visionaria trasparenza dell’immagine.
Del resto già l’autoritratto divisionista, che data 1912, è significativamente intitolato “omaggio a Previati”, mostra uno scabro senso della materia, una ricerca insieme di luminosità diffusa, quasi a smaterializzare il colore ed a ricercarne un’interna focalità.

Alberto Helios Gagliardo, Autoritratto. Omaggio a Previati, 1912

Nel Ritratto della madre del 1919, i tracciati della grafia divisionistica modellano in una potente plasticità la testa, ma la materia si espone ad una luce diffusa nel chiarore del viso perde corporeità e dilaga nella tenerezza del modellato.

Sono gli anni della frequentazione del poeta Edoardo Firpo, delle letture comuni delle pagine del Thovez, del giovanile entusiasmo per i preraffaelliti: “Nelle rievocate visioni – scrive Gagliardo – dell’Albaro d’allora vista nella luce crepuscolare, un soffio della poesia di quei Maestri, di certo s’impastava nella polvere dei nostri pastelli”
E veramente ad Holman Hunt, ad Arthur Hughes, all’animismo di segrete voci della pittura preraffaellita, rimandano i dipinti dell’artista tra il 1915 e il 1922.
Lo straordinario connubio tra visione naturalistica e sogno che vive nelle opere dei pittori inglesi, è presente nel Firmamento del 1919 visione smaterializzata di fantastico azzurro ove le figure intessono un muto colloquio, assistendovi lo spazio luminoso di un cielo cui l’allucinata evidenza delle stelle conferisce una remota profondità.

Alberto Helios Gagliardo, Firmamento, 1919

Narciso alla specchio, del 1916, vive in una luce rarefatta, memore delle lontane sponde dove giace abbandonata nell’acqua verde l’Ofelia di Millais: divisionistico è il tratto che anima le campiture larghe, tono di luce e d’ombra discreta nello specchiante tremore di un’alba d’oro.
Nel Il Bruto svegliato da un angelo, del 15 e nel Seminatore, l’impasto denso è sì permeato di luce che il colore perde corporeità, e assume, nei filamenti condotti a definire le forme plastiche, presenti e vive come oggetto del rinnovato mito, splendore di tessuti ori.

Alberto Helios Gagliardo, Seminatore, 1915
Alberto Helios Gagliardo, Fauno svegliato dall’angelo, 1920
Alberto Helios Gagliardo, Narciso allo specchio, 1916

E’ singolare che Gagliardo muova da un’istanza mistico-sociale, la stessa del resto che anima i grandi divisionisti “storici”, e la stessa che traspare nei minori esponenti di questo secondo divisionismo, da Angelo Barabino al ligure Stefano Baghino, e giunga al tempo stesso a definire una splendente immagine del mito.
Nel Seminatore, l’idea umanitaria e sociale è la promessa d’un ritorno alla madre terra come ad un’incorrotta sponda dove la fatica ha il suo premio nello splendore delle messi.
Gli interessi umanitari e sociali di Gagliardo si riveleranno espliciti negli anni successivi, e l’intento morale accompagnerà la sua arte definendone la funzione in un progetto di elevazione dell’uomo verso la sfera religiosa. Intanto in questi anni Gagliardo ha dato straordinari risultati, come una qualità d’immagine ed una visione fantastica che lo collocano tra i migliori aderenti del divisionismo in Liguria.

STEFANO BAGHINO (STENO)

Di Stefano Baghino restano alcune opere di estremo  interesse in relazione alla sua adesione al divisionismo.
Protesa verso interessi di natura diversa l’opera di Baghino fluttua nelle contraddizioni culturali del tempo, e rivela una natura dotata ma forse troppo incline alle suggestioni tematiche e formali del tempo.
Fornito di un robusto talento realistico, Baghino affronta già nel primo decennio del secolo temi di vita, di cui restano bellissimi disegni acquerellati con scene di folla, figure, rari autoritratti.
In essi si manifesta una fermezza disegnativa un’inconsueta forza realistica: non è improbabile oltre all’alunnato presso Tullio Salvatore Quinzio, abbia giovato all’artista la conoscenza dell’opera di Pellizza da Volpedo.
Proprio per l’alternarsi di istanze diverse nell’opera dell’artista, risulta estremamente difficoltoso stabilire una datazione delle poche interessanti opere divisionistiche come Nervi e il Monte di Portofino degli inizi del secolo, opera in cui le risultanze tonali sono superate in un divisionismo composito, dove la scabra materia si combina con il policromismo ispirato a Nomellini e Merello.
Le soluzioni del mare, sono trattate secondo un modulo divisionista-liberty per andamenti concatenati “a occhi”, con accensioni di rossi e violetti, riportano ai due maestri.

Stefano Baghino, Nervi e Il Monte di Portofino, 1905 circa

Del resto anche nel momento divisionistico Baghino rivela la contraddizione, che costituisce certamente un carattere interno alla poetica del movimento, ma in che in lui si accentua, tra l’utilizzazione della tecnica divisionistica come uno strumento interpretativo del soggetto realistico, e la versione fantastica in chiave floreale e simbolistica.
Probabilmente ancora al primo decennio del secolo data Il porto di Genova, che rivela un adeguamento della tecnica divisionistica al soggetto trattato in modo verista.

Stefano Baghino, Porto di Genova, 1908 circa

Al decennio successivo appartiene il dipinto Fauna e ninfa, in cui la nuova tecnica appare usata con sapienza, sino a condurre i filamenti di colore ad un’unità tonale che assorbe in un suggestivo tessuto materico le figure.

Stefano Baghino, Fauno e Ninfa, 1915 circa

Testo più prezioso della sua adesione al divisionismo è Verso sera, probabilmente eseguito tra il 1914 e il 1917: l’impianto robusto dell’immagine, con un primo piano che accampa la plastica mole del casolare, di tono cupo, appieno esprimente il senso dell’ora sulla campagna, s’illumina di chiarori vespertini nel controluce del cielo come nei più bei dipinti di Grubicy.
È una prova unica, di sottile maestria nell’uso variato del tratto divisionistico, non assunto come pura tecnica, ma come strumento interpretativo che ben restituisce l’agreste poesia del tema.

Stefano Baghino, Verso sera, 1917 circa

LAZZARO LUXARDO

Singolare è l’interpretazione del linguaggio divisionistico data da Lazzaro Luxardo.
Pittore di solida formazione accademica, esordì con dipinti di soggetto storico e letterario per dedicarsi in seguito al paesaggio e al ritratto.
Nel secondo decennio del secolo si accostò al divisionismo, attingendo alle fonti comuni per tutti i pittori liguri, Nomellini e Previati.

Lazzaro Luxardo, San Fruttuoso di Portofino, 1915 circa

Luxardo innestò la tecnica divisionistica su di un’impianto tradizionale del quadro, che ricorda il paesaggismo del Costa, del Sacheri, del Figari.
Del tutto particolare fu tuttavia la sua versione della divisione del tono e del tratteggio divisionistico: usò il colore in pennellate accostate sull’orizzontale, forse influenzato dalla grafia impressionistica, ma riportando lo splendore cromatico di quella pittura ad effetti di contrasto nella riduzione a pochi toni dominanti. Ne risulta un effetto di luminismo intenso, che in alcune delle opere migliori assume una vivezza sfolgorante, di bagliori di luci, riflessi iridati culminanti nei vi bianchi delle sue suggestive marine.

Lazzaro Luxardo, Barca a Portofino, 1920 circa
Lazzaro Luxardo, Mattino sul mare, 1920 circa

GUIDO MEINERI

Più raffinata ed ortodossa è l’interpretazione del divisionismo diede Guido Meineri, di cui ben poche opere di quel periodo è stato possibile ritrovare, mentre è copiosa la sua produzione posteriore.
Certo Il giardino del 1906, non può essere opera isolata, se si considera il notevole grado di acquisizione tecnica divisionistica e l’impegno che il dipinto rivela.

Guido Meineri, Il giradino (Primavera), 1906

Nel giardino l’ispirazione da Previati è chiaramente leggibile, con una flessione realistica coerente con le origini dell’artista e in un disegno risentito, analitico, che rifugge dalle fusioni atmosferiche del divisionismo ortodosso. Ma l’opera è pregevole, per ciò che in essa contraddice i postulati stessi del divisionismo: il suo mantenere la secchezza disegnativa tipica dell’artista all’interno di un tessuto cromatico eseguito con una regolarità forse accademica, ma certamente sapiente.

Guido Meineri, Crepuscolo, 1907
Guido Meineri, Paesaggio lacustre, 1907 circa

ALBERTO BENISCELLI

Alberto Beniscelli, Alba, 1908 circa

GARGANI ALFREDO UBALDO

Alfredo Ubaldo Gargani, Autoritratto, 1922

Significativo, nell”ambito delle adesioni alla tecnica divisionistica è il caso di Alfredo Ubaldo Gargani.
Tra il 1919 e il 1922 Gargani dipinge una serie di opere nelle quali un sintetismo compositivo sorretto da un notevole senso cromatico, volge l’immagine a significati “nabi”.
[Degli anni venti sono i notevoli dipinti divisionisti mutuati dalla lezione merelliana tra i quali Pini a san Fruttuoso del 1919].

Alfredo Ubaldo Gargani, Alberi a San Fruttuoso, 1919

Il bell’ Autoritratto, del ’22, e la serie dei piccoli paesaggi e figure
degli stessi anni , inaugurano la stagione di fragrante naturalismo cui l’artista accederà negli anni a venire, e insieme risultano testi singolari di quell’infiltrazione “sintetista” che già dalle prime prove di Eugenio Olivari s’affacciava sul divisionismo-simbolistico ligure.

Alfredo Ubaldo Gargani, Pini a San Fruttuoso, 1922

ESO PELUZZI

Eso Peluzzi

Nel testo introduttivo al catalogo della mostra antologica di Eso Peluzzi, tenuta a Torino nel 1979, De Micheli scriveva che “…non è difficile cogliere in talune tele più vecchie le ultime suggestive luci del divisionismo settentrionale o, specie nei disegni, le sottili estreme propaggini della linea liberty”; e aggiungeva subito “…ma indubbiamente il filtro espressivo di Peluzzi, sin d’allora era già in grado di elaborare una propria ‘scrittura’, la cui autenticità nasceva da un’adesione senza residui ai valori umanissimi delle immagini proposte”.

Eso Peluzzi, Ponte San Bernardo, 1920 circa
Eso Peluzzi, Paesaggio, 1920 circa

In realtà Peluzzi, artista come pochi padrone di un mondo espressivo che ha condotto in unità mirabile nel suo annoso percorso, nei primi anni di soggiorno al Santuario di Savona, tra il 1919 e il 1924, dipinge un gruppo di opere di grande intensità poetica, il cui significato va inteso in rapporto ad un’eco rivissuta in modo assolutamente personale dell’esperienza del divisionismo italiano.

Eso Peluzzi, Case a Santuario, 1920 circa
Eso Peluzzi, Varigotti, 1920 circa
Eso Peluzzi, Pergolato, 1920

Tale è la pregnanza umorale cromatica che Peluzzi distilla dal diamante divisionistico di Pellizza, di Morbelli, fors’anche di Fornara, e condotta a tale liquescenza di luci in un’organicità di materia che s’accende di trattenuti splendori, che vien di fare il nome, grandiosa memoria dei giardini splendenti nelle vespertine luci di mitico eldorado, di Pierre Bonnard.
La misura di Peluzzi è intima, sfolgora nell’ombra raccolta di pergolati la fioritura della trionfante estate; in sanguigni umori, come d’autunno consumato, esprime la terra greve le sue alberature d’orto prone sull’intrico dei viticci spenti.

Eppure in questa fascia di terra tra Liguria e Piemonte, provincia d’Europa, luogo raccolto dove l’artista prepara in solitudine attiva la sua lunga storia di appassionato interprete dell’uomo e della natura, egli ci consegna grumi di grande pittura, un’eco non spenta di fervori che hanno illuminato di splendente cromia le contrade di Francia, trapassando impietriti nelle alpine chiarità del divisionismo italiano, nelle acque specchianti di Pellizza e nelle luci tenui di Morbelli.
I disegni, dove il tratto lega in pensosa unità le dorsali addormentare dei monti, la piana, gli alberi aperti alla luce come mani d’angeli trascorrenti la luce vespertina, hanno una patina antica, quali memorie, risorte sul paesaggio nella stupefazione dell’ora, dell’andata tremula dei greggi di Volpiano, del soave incedere delle esili creature di Segantini.

Eso Peluzzi, Mungitura, 1929

È forse, questa di Peluzzi, la più riflessiva memoria della grande stagione del divisionismo e simbolismo italiano, accolta e meditata più nell’intimo sentimento del mondo che essa esprimeva, che nella significazione tecnica e formale che tanto piacque ai futuristi.
Ed era naturale che ciò accadesse in un artista che si distingue per l’intensità che sa infondere alle cose più semplici, come i profili di una terra nella quale sembra per lui rivivere la profonda suggestione dell’antica pittura di paesaggio.

Eso Peluzzi, Piazzetta. Santuario di Savona, 1924

SPERIMENTATORI DEL DIVISIONISMO

ANDREA FIGARI

Andrea Figari, Santa Margherita, 1905 circa

GIUSEPPE SACHERI

Giuseppe Sacheri, I girasoli e la luna, 1914

EUGENIO OLIVARI

A quali risultati sia giunto Eugenio Olivari nell’innesto del divisionismo sulla matrice tonale ligustica è documentato dal dipinto La casa del pittore Nomellini.
Esso si presenta come un omaggio al pittore livornese, che più volte aveva dipinto quel soggetto in un’impostazione divisionistica ortodossa ma non priva di delicatezze tonali che si ritrovano anche nel dipinto di Olivari.
Il divisionismo appare ricondotto in Olivari ad un lirico sentimento della luce-ambiente, che sfalda le pennellate accostate diffondendosi in tonalità grigio argentee. E il delicato ductus del segno-colore accompagna il distendersi dei tralci nel pergolato d’inverno, contro la luce chiara: immagine di sereno abbandono
all’emozione, esempio di quel naturalismo lirico che distingue la produzione più intensa dell’artista.
Olivari conserva nel dipinto quell’aria rarefatta, come di immagine trapassata da un filtro della mente: ma più solerte è l’attenzione al tono di luce, all”effetto dell’ombra diafana sul distendersi del dif-
fuso chiarore.

EDOARDO DE ALBERTIS

Edoardo De Albertis, Profilo, 1907 circa

GIOVANNI ARDY

Giovanni Ardy, Ritratto di giovane donna, 1910 circa

PIETRO ALBINO

Pietro Albino, Autoritratto, 1908 circa

GIUSEPPE CASELLI

EMANUELE RAMBALDI

Fra il 1919 e il 1923 Emanuele Rambaldi dipinse una serie di opere che rientravano a pieno titolo in quella fase oscillando, come avvertiva Podestà, fra una sua personale interpretazione dell ‘espressionismo con qualche avvicinamento a Roualt (Vecchia villa, 1919, Entrata al tabarin, 1920) e la ricerca di un equilibrio fra la torbida sensualità di ascendenza marinettiana (Bal tabarin, L’antro dei vizi, 1922) e il ripensamento futurista in chiave fauves, attraverso decisi assetti geometrici, densi dinamismi cromatici, improvvisi contrasti luministici come in Paesaggio in controluce del 1922, con una risolto in un panorama di schegge.

Emanuele Rambaldi, Paesaggio in controluce, 1922

Di questo periodo straordinario è una serie di pini sul mare debitrice ai tagli compositivi di Merello e all’elegante raffinatezza divisionista e alla luministica marina di Discovolo.
Per il giovane Rambaldi la maniera divisionista doveva apparire una tecnica congeniale per un’idea di pittura moderna in cui la luce, la vibrazione atmosferica, la purezza del colore, superavano il naturalismo e il gesto romantico attraverso la scientificità del processo artistico.
Non a caso i grandi futuristi provenivano dalla scuola divisionista e Boccioni considerava Previati il suo maestro.
Rambaldi ribaltava quelle coordinate tornando momentaneamente indietro rispetto alla fase sperimentale.

MIMINA GHERSI

Mimina Ghresi, Bosco d’autunno, 1922 circa

ROMEO DRAGO

Romeo Drago, Primavera ad Albaro, 1918 circa

In Liguria il divisionismo resisterà più a lungo che in altre regioni.
Secondo Gianfranco Bruno “il movimento mantenne vitalità nelle aree di riflusso culturale” ed in Liguria esso persisterà almeno fino al 1926, anno della grande mostra retrospettiva postuma su Rubaldo Merello, allestita a Palazzo Bianco.
La prima guerra mondiale costituisce il discrimine tra il primo divisionismo ligure e la sua seconda fase caratterizzata da una sempre maggiore digressione nel simbolismo, facendo proprie anche le prime avvisaglie moderniste e futuriste, non senza accogliere le istanze del grande realismo espressionistico europeo.
La varietà di intenti con cui il divisionismo si manifestò in Liguria, il sostrato artistico e culturale che accomunava tutte quante le esperienze, la commistione di istanze di natura diversa e lo stimolo fornito agli ulteriori sviluppi, ne fanno un episodio non trascurabile della storia dell’arte italiana.
Come affermava Vitaliano Rocchiero nel 1971: “anche in questo movimento, il movimento del Divisionismo, gli artisti liguri non furono secondi ad altri. Nella vivacità, nei propositi, nelle affinità, nelle influenze, nelle realizzazioni, determinarono una corrente artistico culturale spiccata, che, per molti versi, richiama ai non troppo lontani fasti liguri dei paesisti e dei figuristi della nota Scuola Grigia ed a quelli più vicini dei pittori e dei ceramisti dell’ancor troppo poco noto Gruppo Futurista Genovese, e della sua appendice Gruppo d’Avanguardia e Futurismo Sintesi”.

Testi: Gianfranco Bruno, Franco Dioli
Redazione articolo e apparati: Franco Dioli
Contributi: Iole Murruni

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