ALBISOLA FUTURISTA
La grande stagione degli Anni Venti e Trenta
Albisola futurista
Dopo un momento di declino, collocabile nell’Ottocento, la straordinaria vicenda della ceramica artistica albisolese consente alle nuove manifatture del territorio di decollare attraverso preziose esperienze artistiche che si distaccano dagli stili del passato.
La tradizione delle manifatture savonesi e le innovative proposte di quelle di Albisola si esaltano in una spinta notevole al rinnovamento dell’oggetto ceramico che assurge a vera e propria testimonianza d’arte.
Albisola è un paese singolare, diviso per posizione in tre località: Marina, Capo e Superiore.
Ma amministrativamente sono due i comuni: Albissola Marina (con due ‘esse’) e Albisola Superiore (con una ‘esse’ soltanto).
Tante piccole, vivacissime fabbriche, per creare arte. Una passeggiata ‘lungomare’, unica, opera di tanti artisti famosi.
Un paese, dove “il battito del mare è stimolo all’agile giro della ruota del torniante e al lampeggiare dei fuochi”. Sono parole di Aligi Sassu.
Tra mito e storia, in un clima fervido di idee, legato alle magie inesauribili del gran fuoco, Albisola diventa crogiuolo di novità, di sperimentazioni d’avanguardia.
Terra d’artisti, perché luogo dove gli artisti si sono dedicati alla libera invenzione, attraverso la ceramica.
L’originale ‘texture’ delle manifatture albisolesi e le vicende dell’arte moderna del XX secolo trovano una vitale confluenza e motivazioni rilevanti di storicizzazione.
Si evidenzia una forte trasversalità di notizie, riguardanti il lavoro delle manifatture, le tecniche utilizzate, l’intrecciarsi degli operatori che si muovono tra una fornace e l’altra in una continua osmosi creativa, i rapporti ineguagliabili con gli artisti: l’area albisolese diventa così oggetto di studio e di riflessione linguistica, sia particolare e sia nella più generale considerazione delle arti applicate.
Lo snodo importante appare la transizione dai riferimenti del Déco alle svolte volute dal Secondo Futurismo.
Alla fine della Prima Guerra Mondiale, l’industria della ceramica artistica appare in netta ripresa nel solco di un generalizzato rinnovamento delle arti applicate, parallelo a un radicarsi delle piccole e medie imprese nel territorio di Albisola, la cui principale risorsa economica e occupazionale è comunque costituita dalla produzione delle stoviglie.
Le manifatture albisolesi sorte sul finire dell’Ottocento e gli esordi del Novecento, come Poggi, Piccone e Mazzotti, alternano i modelli di un liberty eclettico a una produzione utilitaristica nel settore degli oggetti di uso quotidiano.
Nel biennio 1919-21 sorgono ad Albisola nuovi ‘atelier’ di ceramica con vocazione più elitaria.
Su iniziativa di Adolfo Rossello, torniante presso la Poggi, prende avvio ad Albisola Marina l’ ‘Alba Docilia’, con interventi artistici (seppur di breve durata) di Mario Gambetta, pittore romano, ma albisolese di adozione.
Ad Albisola Capo, nasce la MAS (Maioliche Artistiche Savonesi), che lavorerà solo fino al 1922 con Dario Ravano, il maestro che più di ogni altro ha saputo cogliere la dimensione autentica della ceramica sei-settecentesca, interpretandola con vigorosa libera invenzione.
Nel 1921 inizia ad operare ‘La Casa d’Arte’ fondata dai fratelli Angelo e Giulio Barile con Giuseppe Agnino.
Dopo la sua costituzione, i proprietari richiamano da Parigi il pittore ceramista Manlio Trucco, che si dichiara pronto a rinnovare l’ormai usurata decorazione d’inizio secolo.
Una vita avventurosa per un straordinario protagonista d’arte.
Trucco, dopo una serie di lunghi viaggi e di soggiorni in Europa, Africa e America (in Messico, in particolare, si appassiona dell’arte precolombiana) si trasferisce a Parigi dove lavora nell’atelier del famoso sarto Paul Poiret, per cui disegna innovativi decori delle stoffe.
Accanto a lui, operano un pittore del calibro di Dufy e lo stilista Ertè. L’inesauribile fantasia di Trucco e la perfetta conoscenza delle tecniche ceramiche portano ad Albisola una ventata di novità: le sue originali decorazioni si inseriscono nello stile di moda, l’Art Déco, detto allora anche ‘stile moderno’ e oggi ‘stile Albisola’ o ‘stile 1925’.
Sono i decori ben presto ripresi da tutte le manifatture albisolesi, attente a creare oggetti che possano incontrare il consenso della borghesia lombarda e piemontese, che si sposta nel periodo estivo ad Albisola per i bagni. Trucco utilizza per primo i riflessi metallici al terzo fuoco, che tanto affascineranno, in seguito, artisti del calibro di Lucio Fontana.
Nel 1922 viene fondata ‘La Fenice’ da Manlio Trucco e Cornelio Geranzani.
Soprattutto ‘La Casa d’Arte’ e ‘La Fenice’ si distaccano dallo stile tradizionale della ceramica savonese, per attivare una produzione riconducibile in àmbito Déco, più precisamente al ‘trend’ peculiare dello “stile 1925”, particolare tendenza espressa dall’Esposizione delle Arti Decorative tenutasi a Parigi nel 1925 e donde deriva la denominazione.
Più propriamente con “stile 1925” viene intesa una formula che eredita certi canoni dell’Art Nouveau in antitesi allo stile tradizionale e all’insegna del modernismo.
L’Expo parigina segna il trionfo dell’Art Déco; introduce il discorso arte-industria, al fine di creare oggetti che abbiano vasta diffusione, assecondando il gusto borghese del tempo.
Trasferendo lo ‘stile 1925’ a un’attività come la ceramica, fino a quel tempo legata a strutture artigianali di fabbricazione, bisogna tener conto di un transito continuo tra il prodotto di tradizione a quello d’avanguardia.
Ed è proprio il Déco a offrire una lettura approfondita della produzione albisolese negli Anni Venti, per via di quelle innovazioni stilistiche che riscontrano immediatamente il favore del mercato.
Lo ‘stile Albisola’ risulta essere un fenomeno di gusto e di moda, che nel campo delle arti applicate riveste grande splendore con risultati di eleganza e raffinatezza.
Presenta le cadenze di un Déco locale, mediato in una grande varietà di colori e decori, per una interpretazione pittorica di sicuro effetto e realizzato attraverso una sapiente pratica artigianale da vari artisti e artigiani.
Il periodo post-bellico, comunque, vede inizialmente una fioritura di manifatture di ceramiche connesse in prevalenza a produzioni in stile “antico Savona”.
Quali esempi si possono portare gli oggetti di quel mago della ceramica che risponde al nome di Dario Ravano che dirige la MAS quando inizia a lavorare l’allora giovanissimo Ivos Pacetti, dinamico e geniale protagonista.
Ed è proprio questa manifattura l’interprete autorevole della esecuzione “antico Savona” con le citazioni eleganti dei decori bianco/blu dei secoli passati.
Anche Manlio Trucco e Cornelio Geranzani, agli inizi degli Anni Venti, nella appena costituita Fenice, rivolgono la loro attenzione alla produzione più tradizionale.
Una grande occasione di confronto arriva per Albisola nella già citata mostra dell’Expo di Parigi del 1925, dove sono presenti anche altre manifatture italiane come la Richard Ginori, Laveno e Cantagalli.
Per i partecipanti dell’Expo, l’impegno è di evitare ogni imitazione del passato, escludendo anche la riproduzione della classicità, per dare, invece, spazio all’originalità delle opere.
Sull’invito di ricreare l’atmosfera di una villa padronale, la Sala Ligure al Grand Palais viene progettata e realizzata, con materiale proveniente dalla Liguria, da Orlando Grosso, dall’architetto Crosa e da Pietro Dodero: si propongono due ambienti molto peculiari, perché carichi di suggestioni: ingresso e sala.
L’ingresso si impernia su un grande camino in pietra nera che riporta la sagoma di un antico portale ligure: al centro dell’alzata, una formella in ceramica è dello scultore Francesco Messina.
Le piastrelle alla base del camino portano la firma di Paolo Rodocanachi e quelle inserite nel pavimento, di Manlio Trucco: il tutto, realizzato presso la manifattura “La Fenice”.
Nella sala, sono ambientati mobili del genovese Issel; vengono, altresì, presentati piatti, vasi, boccali, oltre che eseguiti dal Trucco, prodotti anche da Tullio e Torido Mazzotti, asseieme a ceramiche realizzate su disegno di pittori genovesi.
Soprattutto nei lavori del Trucco si coglie in tutto il suo risalto lo ‘stile 1925’: egli dà vita a moderne decorazioni con tecniche antiche e decori innovatori catturati dalla sua esperienza internazionale .
Un legame particolare tra il mondo della ceramica e la scultura si avverte già nei primi lavori di Francesco Messina; l’esordio avviene all’Expo di Parigi del ’25 con il gà citato bassorilievo per il camino della Sala Ligure. L’opera intitolata ”La fiamma generatrice”, realizzata presso La Fenice di Manlio Trucco, appare emblematica dello stile dell’epoca con l’elegante danzatrice sulle punte di fiamma e configura anche l’orientamento che prenderà la successiva produzione messiniana.
Ancora un cenno particolare è dovuto a Manlio Trucco: geniale artista-artigiano, dall’appartenenza a ‘La Casa d’Arte’ ai primi anni de ‘La Fenice’, è bene indirizzato entro il clima esclusivo delle Arti Decorative, conosciute a fondo durante il soggiorno parigino.
Ad Albisola, egli contribuisce in modo efficace all’affermazione dell’ispirazione Déco: già alla prima Biennale d’Arti Decorative di Monza del 1923 Trucco si presenta con una tipologia di decoro molto originale, lo stile “mezzaro”, dai motivi orientaleggianti, per una produzione che ottiene notevole successo commerciale.
Nel 1926, Manlio Trucco, nell’intento di elevare maggiormente il livello artistico de ‘La Fenice’, assume quale collaboratore lo scultore Arturo Martini, presentatogli dall’architetto Mario Labò.
Trentasettenne, Martini giunge ad Albisola già famoso per la sua arte, affinata da profonde riflessioni sulla temperie creativa.
Straordinarie saranno le realizzazioni in quel tempo, essenziali e dense di suggestioni.
Vengono aperte altre manifatture: la Spica ad opera di Nicolò Ghersi (già fornaciante di Trucco), la C.A.S. (Ceramiche Artistiche Savonesi) di Bartolomeo Rossi, L’Artigiana, la Landa e La Fiamma di Ivos Pacetti.
Albisola futurista assiste all’articolarsi vivace del panorama ceramistico in variegate tendenze per tutti gli Anni Venti, con molti autori di rilevante interesse storico, porta a una svolta sperimentale unica, avviata sulle vicende del Futurismo agli inizi degli Anni Trenta.
Incomincia un periodo di sperimentazioni con un protagonista d’eccezione come Tullio Mazzotti, detto Tullio d’Albisola.
Quella che può considerarsi a buon diritto la ‘saga’ dei Mazzotti si avvia con il padre Giuseppe (1865-1944), in giovinezza ad Albisola torniante presso la ditta Poppi.
Egli fonda nel 1903 un’attività in proprio, la Casa Giuseppe Mazzotti, all’interno di un fabbricato nella piazzetta Pozzo Garitta.
La fortuna della Casa la si deve soprattutto ai due figli, Tullio e Torido, che mostrano interesse a un rinnovamento radicale del manufatto in ceramica.
E’ su sollecitazione di Tullio, il figlio minore, che dal 1928 in poi viene iniziata un’autonoma ricerca.
Le caratteristiche fondamentali si allontanano dal Déco locale (già nelle opere di Tullio dopo il ’25 emergono tensioni antidecorative in dimensioni di un certo primitivismo).
Dopo l’Esposizione Internazionale parigina del 1925, prendono il volo iniziative e stimoli inusuali, interpretati all’Expo dalle novità presentate dai Futuristi Balla, Depero, Prampolini.
La frequentazione della Fornace dei Mazzotti da parte di Nino Strada (Milano, 1904-1968), esponente del gruppo “Nuove Tendenze “ di Milano e allievo dell’ex-futurista Leonardo Dudreville, è sicuramente l’anello di giunzione di Albisola con le testimonianze futuriste.
I contatti con gli esponenti del gruppo futurista torinese fondato nel ’22 – Fillia, Diulgheroff, Farfa, Pippo Oriani, Mino Rosso e Alberto Sartoris – inducono Tullio a partecipare alle loro manifestazioni e a intessere serrate connessioni.
Ad Albisola, stimoli avanguardistici si concretizzano in nuove creatività, dove il fatto artigianale si esprime nelle proiezioni più elevate dell’arte. Nell’agosto del ’25, vengono realizzate le prime ceramiche artistiche, eccentriche e provocatorie, dalle decorazioni chiaramente ispirate al Futurismo.
Arriva il momento magico per la cittadina ligure.
La Casa Mazzotti si sente pronta ad avviare una rilevante sperimentazione inserita nell’attività futurista, attraverso l’intelligente sensibilità di Tullio con il sapiente supporto tecnico del fratello Torido: entrambi sono in grado di offrire un serio riferimento nazionale alla ceramica futurista.
Ed è Tullio a prendere sempre più coscienza, negli Anni ’27-’28, degli intenti del Secondo Futurismo.
Nella forte aspirazione al rinnovamento nata nell’esperienza parigina del 1925, si conferma una necessità interiore che tende a liberare la ceramica dalla dimensione descrittiva .
“Le mie prime ceramiche antimitative risalgono al 1925”, definisce Tullio nel libretto “La ceramica futurista” del 1932.
E quel boccale a due canali, biansato, è il punto di partenza per una produzione sostenuta solo dal dinamismo cromatico.
Nel 1927, Tullio conosce Bruno Munari, sperimentatore ricco di fantasia, con cui collaborerà ricercando forme e decori nuovi .
Già dal 1929 si conferma il consenso da parte di pubblico e critica per le ceramiche futuriste uscite dalla Fornace dei Mazzotti. Nel ‘29-’30 i protagonisti del gruppo ‘torinese’ Fillia, Diulgheroff, Mino Rosso, attivano su piatti e oggetti di ceramica un decoro che rivela una sintesi formale e coloristica organizzata in senso strettamente futurista.
Intanto, Tullio d’Albisola compare, assieme al faentino Riccardo Gatti, all’esposizione “Trentatrè Futuristi” allestita alla Galleria Pesaro di Milano nell’ottobre del 1929, quali unici ceramisti.
E’ il 1929, l’anno storico in cui viene sottoscritto il ‘Manifesto dell’Aeropittura’.
Dai tempi dell’Expo di Parigi del ‘25, da cui ha tratto il messaggio di un generale necessario radicale rinnovamento delle arti, Tullio Mazzotti prova ad allontanarsi dalla tradizione della ceramica: nel 1929, una figura emblematica dell’epoca, la ballerina Josephine Baker, la Venere nera, viene ‘scomposta’, per così dire, da Tullio sopra una brocca, la Brocca Baker, in una volontà precisa di trasgredire dal banale e dal ‘déjà vu’.
Tullio si riconosce capace di reinventare l’oggetto in un’accentuazione plastica dovuta al dinamismo dei profili e dei piani, assecondando l’invenzione formale dell’oggetto che ormai prescinde dalla tradizione ceramistica albisolese del passato, anche prossimo.
Inizia una corposa corrispondenza di Tullio con i maggiori protagonisti del Futurismo Italiano (corrispondenza raccolta da Esa Mazzotti in una serie di “Quaderni” a cura di Danilo Presotto, Ed. Liguria, Savona, 1981).
Tra la fine del ’30 e il 1932, assieme a Gambetti, Gaudenzi, Giacomo Picollo e altri, Tullio forma il “Gruppo Artisti Genovesi Sintesi” in una condizione linguistica di eclettismo, soprattutto nella ceramica.
Seguono gli anni di maggior fortuna e originalità della produzione albisolese con Tullio, personalità creativa originale e insieme provocatoria e con Torido, il fratello maggiore, razionale e tecnico realizzatore di una geniale operatività.
Se in primo tempo il rapporto d’elezione è con il raggruppamento lombardo e con quello torinese di Fillia e Diulgheroff, presenze vivaci ad Albisola sono da annoverare tra i componenti del nucleo romano, con Prampolini e l’emiliano Tato.
Diulgheroff è l’architetto bulgaro, proveniente dalla Bauhaus di Weimar, impegnato per molti anni nella progettazione e nella realizzazione della nuova sede della Manifattura Mazzotti.
Egli porta in Italia, sviluppandola in modo personale, la lezione del purismo costruttivista.
Progetta, tra l’altro, nel ’28, il famoso negozio Galtrucco in via Roma, a Torino; sempre a Torino nel ’31, inventa, in una dominante di alluminio, la “Taverna del Santopalato”.
La modernissima casa-atelier-negozio dei Mazzotti, operante dal 1934-’35, costruita alle foci del Sansobbia, è testimonianza preziosa di architettura futurista in Liguria.
Intanto Torido Mazzotti, dal 1925 e per pochi anni, apre ad Albisola Superiore una succursale per una produzione più commerciale.
Negli Anni Venti e Trenta la Casa Mazzotti attiva una differente sperimentazione tecnica che sostituisce il ‘biscotto’ colorato sottovernice, caratteristica del Déco albisolese: si utilizza la terracotta smaltata ‘mat’, spesso colorata all’aerografo.
Si fa pure uso della tecnica ‘riflessata’ che molti artisti apprezzano e in cui è maestro Mariano Baldantoni.
Vasta la gamma degli oggetti prodotti dai Mazzotti, che alternano una produzione di carattere ancora di ispirazione Déco a quella futurista, non disdegnando comunque la tradizionale oggettistica ‘in stile’.
Si continua a dissertare sul grande progetto utopistico del “Movimento per la ricostruzione futurista dell’universo”, attraverso un nuovo gusto estetico, su progetti totalizzanti per cui tutti i mezzi possono essere utilizzati.
Tullio comprende come ai ceramisti sia affidato il compito di inserirsi nei tempi moderni con una produzione dalle proposizioni sperimentali e avanguardistiche.
Così nel 1930, la Casa Mazzotti attiva una produzione di ceramiche artistiche, le “Edizioni Ceramiche Futuriste” nella supervisione esecutiva di Tullio e su progetti di noti artisti.
Fillia prepara bozzetti per Tullio, il quale scrive: ”Il pittore Fillia oggi mi ha spinto verso nuovi equilibri di forme”.
Marinetti scende a visitare i forni di Albisola.
Nel ’32 Diulgheroff crea un servizio da tè, dai manici singolarissimi e Munari, un portapenne da ufficio.
Legata alle richieste dell’epoca è la produzione di soggetti umoristici o esotici. Molto ampia, a questo proposito, è l’oggettistica attivata da Lino Berzoini, autore proveniente dalla pratica industriale della Lenci di Torino. Viene lanciata sul mercato con successo l’oggettistica commissionata da ditte e associazioni per la loro propaganda.
Gli ordinativi provengono da aziende come Unica, Star, Rinascente, Pirelli, Nestlè, Cora, Martini, Perugina (con il boccale “Bevi se puoi”).
Famosi gli oggetti per Campari (Diulgheroff e Munari), per Motta (boccali e la serie “Piatti del pane” di Berzoini del ’35).
La grande espansione della Manifattura Mazzotti, che ha il simbolo grafico M.G.A. (sigla della dizione ‘Mazzotti Giuseppe Albisola’) porta ad ampliamenti notevoli di organico: oltre cento gli addetti alla manodopera che include nomi conosciuti nel settore, come Mario Anselmo e Giuseppe Gioacchino quali tornianti e pittori come Romeo Bevilacqua o Eliseo Salino. Ceramisti d’eccezione sono presenti ad Albisola: tra costoro, Paolo Rodocanachi , Nino Strada, Alf Gaudenzi, oltre a un consistente numero di artisti del Secondo Futurismo.
Nel 1932 Tullio, inseguendo le suggestioni di Farfa per i materiali nuovi, realizza nella fabbrica di Nosenzo di Zinola (Savona), un volume dai fogli di metallo litografati, un libro in ‘lito-latta’, “vero monumento nella storia innovativa del libro”.
E nel ’33 Tullio ripubblica in lito-latta “L’anguria lirica”, con undici illustrazioni di Bruno Munari.
La polarizzazione della creatività futurista sulla ceramica viene, per così dire, ufficializzata nel Manifesto “Ceramica e Aeroceramica”, pubblicato con la sola firma di Marinetti sulla “Gazzetta del Popolo” a Torino, il 7 settembre 1938, ma redatto in collaborazione con Tullio d’Albisola, come viene detto nel testo e pubblicato poi con le firme di entrambi nell’edizione definitiva.
Il Manifesto, pubblicato tanto in ritardo rispetto all’evolversi del Secondo Futurismo, pare più la celebrazione di un tempo ormai acquisito, che la proposizione di un nuovo programma.
Nella ceramica, Tullio è la connessione costante tra Albisola e i Futuristi. Recupera Depero come pittore, sollecitandolo “ad eseguire ceramiche futuriste decorative o pubblicitarie”.
E Tullio realizza in ceramica nel 1932-33 il bozzetto “Bitter Campari” analogo ad un noto dipinto di Depero, presentato alla Biennale di Venezia nel 1926.
Ed è sempre Tullio a mantenere rapporti con Tato, con l’area ‘lombarda’ di Munari, a ribadire il profondo sodalizio con i ‘liguri’ Farfa, Gaudenzi, Gambetti e con altri appartenenti al Gruppo Artisti Genovesi Sintesi, nonché con i ‘piemontesi‘ Fillia, Diulgheroff, Oriani, Pozzo.
Nel ’37, dopo alcuni incontri in Albisola, Lucio Fontana prende a creare opere in ceramica, conducendo ricerche sugli smalti al gran fuoco: sono sculture dense di tensioni che vanno già oltre il dato figurativo, negli impasti magmatici che si innesteranno nella vicenda artistica non-formale.
Alla morte, nel ’36, di Fillia, artista che ha avuto nei confronti della ceramica albisolese una funzione di teorico, diviene più viva la presenza autorevole di Enrico Prampolini, il quale sta svolgendo ricerche e progetti per un’architettura futurista. Tullio, da parte sua, si dedica da tempo alla grande decorazione in ceramica.
Già nel 1934, si presenta con successo alla “Prima Mostra nazionale di Plastica Murale” a Genova.
Con Nino Strada, realizza, nel ’36, per la VI Triennale milanese, un importante pannello celebrativo “Le forze fasciste” di 40 metri quadrati e nel ’37 crea “Le 22 Corporazioni”, grandioso fregio per il Padiglione Italiano dell’Esposizione Internazionale di Parigi.
E sta pensando a una grande opera, concepita da Prampolini per l’esterno del Teatro della Triennale d’Oltremare a Napoli.
Nella pubblicazione “La ceramica futurista” del 1939, Tullio scrive con orgoglio: “ In Albisola, l’arte della ceramica, oscurando i fastigi del suo grande passato, superandosi e ponendosi all’avanguardia di tutte le fornaci ceramiche d’Italia, ha raggiunto elevatissime calorie artistiche…. Le nostre manifatture, che conservano lo spirito, il carattere e l’ambiente stesso delle tipiche botteghe del rinascimento, sono padrone e maestre d’ogni tecnica ceramica….. Il privilegio raggiunto dalla NUOVA ALBISOLA è dovuto in gran parte al FUTURISMO ITALIANO, allenatore insuperabile dell’ingegno…”.
Albisola futurista rimane, quindi, con Faenza il polo importante della ceramica futurista italiana, in quel quadro di rinnovamento, come dirà Tullio vent’anni dopo, del tutto “antimitativo”.
Se Giacomo Balla dà il parametro “della ricostruzione futurista dell’universo” aprendo alla ceramica, così la progettazione futurista albisolese, trasgredendo alle limitazioni imposte dalle arti maggiori, si dilata a opera d’arte totale, attraverso l’oggettistica dell’arredo fino alla proposizione ambientale.
A conclusione, si può affermare che la vicenda della ceramica futurista in Albisola (e ovunque essa sia stata eseguita) diventa un capitolo importante non soltanto per il Futurismo, ma in termini più ampi nella storia della scultura del XX secolo.
In tal modo, si può intendere l’attualità del fenomeno artistico, sia sotto il profilo territoriale. sia per una valenza progettuale di dimensioni europee. E oggi, si tende a valorizzare sempre più un’esperienza così cospicua, attualizzandone proposte e realizzazioni in un allargato contesto di personalità artistiche presenti in vari settori dell’arte.