Torino 1907 – 1978

Dario Treves pittore che ha operato in Liguria

Dario Treves primi passi nel mondo della pittura li ha fatti con gli occhi e lo spirito affascinati dall’abilità e dalla freschezza di effetti con cui un vecchio pittore piemontese, Giovanni Guarlotti, riportava sulla tela tutto ciò che gli occhi potevano percepire della realtà esteriore, del corpo fisico, del vero: luce, quantità, dimensione.
Il successo dell’opera di Lorenzo Delleani, che aveva dominato la pittura piemontese per un quarto di secolo, aveva confermato la linea della visione realistica negli anni a cavallo del secolo.
Era, del resto, la linea che meglio esprimeva l’ethos di una terra fatta di figure concrete, fiumi, colline, valli e tutta lavorata, abitata, impegnata a darsi una struttura realistica, per questo poteva essere privilegiata, sia nei confronti della linea romantica degli Avondo e dei Fontanesi, che nei confronti dell’interesse nascente per certi aspetti della cultura mitteleuropea, che avrebbero trovato la loro esaltazione nel clima della Secessione.
Il realismo pittorico di Guarlotti, maestro di Treves, era un realismo vigoroso, schietto, quasi sfrontato, non conosceva le delicatezze di tocco, le gentilezze cromatiche, le toccate del pennello suggerisce la vibrazione della luce sulla materia, sugli scivoli, le impennate, i riccioli della materia pittorica e mantiene viva la suggestione dell’attrito dell’oggetto nell’atmosfera, i suoi valori più autentici sono affidati alla vitalità dell’immagine pittorica, che si presenta come uno strappo dal vero o come un’immissione di attualità nello spazio pittorico, che è pur sempre uno spazio inventivo; sono affidati alla veridicità dell’immagine.
Torino, la città dove è nato, dove egli ha percorso l’iter di studi lunghi e severi; dove ha lavorato sino a quando l’atmosfera abnorme ed allarmante dell’Europa degli ultimi anni ’30 non lo costrinse all’ amara decisione di lasciare l’Italia e di cercare un rifugio negli Stati uniti, ha conosciuto anch’essa direttamente i traumi dei nuovi orientamenti della ricerca estetica.
La presenza sulla scena torinese di un artista eccentrico e diverso quale Felice Casorati apriva un solco profondo tra l’insegnamento accademico, i suoi riti ufficiali ed il senso della modernità delle espressioni, poi la seconda ondata dei futuristi tentava un’apertura europea, soprattutto attraverso la vivace ripresa di interessi per la nuova architettura, ereditati dalla lezione eroica ed utopistica di Sant’Elia.
Un gruppo di pittori definiti “I Sei di Torino” puntano sugli aspetti umili della vita domestica, sui ritratti degli amici e su una pittura di passaggio intensamente lirica e i rapporti di Paulucci portano Treves a frequentare la costa ligure, proprio in quegli anni  Treves è nella fase delicata e sensibile della formazione, della ricognizione dei suoi caratteri distintivi, riflette ovviamente le agitazioni dell’ambiente, resta estraneo ai rivolgimenti, ai cambiamenti di direzione, alle avventure sperimentali aveva amato soprattutto la pittura di Vuillard, di Bonnard, di Marquet e di Vlaminck.
Dario Treves aveva amato cioè la pittura in cui la natura degli impressionisti si trasformava in scena per la vita dell’uomo, i colori erano un riflesso dei sensi e dello spirito e creavano un’atmosfera sospesa, e il segno suggeriva un’espressione.
Il rapporto tra Treves ed il suo mondo è un rapporto immediato e caldo, si potrebbe dire carnale, la scala cromatica di Treves riflette tale rapporto con una specie di esaltazione o ebbrezza fisica, verdi, cobalti, blu oltremare per fissare ampie distese marine e spazi umidi tra cielo e mare, cielo e terra dopo un temporale, sotto il libeccio o lo scirocco che riducono ogni cosa ad un paesaggio livido, una toccata larga che definisce e descrive la veduta a grandi linee, ne individua le prospettive e le scale verso l’orizzonte ultimo con un ritmo che è semplificato in un modo perfetto da Spiaggia a Savona del 1966, tutta una successione di definizioni spaziali e cromatiche: la spiaggia in primo piano, poi la fascia del mare, poi il cielo, che non è un fondale ma una nuova dimensione, il proscenio e al di qua del proscenio verso gli occhi dello spettatore.

Spiaggia di Savona, 1966

Dentro questa misura larga, realizzata a grandi falcate, intuita come una struttura di sintesi, il gesto diventa fitto, insistente, quasi sismico per definire figure e figurine, piccoli grumi di cose che stanno e si muovono nella luce del giorno, e notazioni di colore nei particolari che sono essenziali per la lettura immediata dell’immagine e prima ancora per la rispondenza della immagine pittorica con quella che l’occhio afferra nella successione reale: il disfarsi di una nube, l’orientamento di un raggio di luce o di un ombra, lo staccarsi dei piani, il carattere distintivo di una chioma d’albero, di un cespuglio, di un mannello di sterpi; il casuale disporsi delle cose da niente nello spazio, le macchie bianche nell’azzurro fondo del mare davanti a Savona.
Tra la realtà e lo sguardo del pittore si stabilisce un rapporto di fiducia che niente può distrarre, turbare o incrinare, si stabilisce anche un dialogo che corre sul filo della necessarietà ed essenzialità delle parole, cioè dei segni e dei colori.
Al di là dell’abile ed onesto vecchio maestro, il Guarlotti, la concretezza realistica della pittura di Delleani si deve citare De Pisis per indicare un artista in cui l’occhio rivela al massimo della loro tensione le facoltà prensili dell’occhio, le stesse facoltà dell’occhio di Treves, e la capacità di trascinare nella sua presa il profilo vivo delle cose, di dare una consistenza pittorica alla loro felice fragranza.
Dario Treves nel 1931 espone il dipinto Natura mostra alla Mostra del Sindacato Fascista di Belle Arti di Torino, nel 1963 un’impostante antologica al Musée de L’Athénée Geève e ancora a Torino nel 1998 la più importante mostra postuma a Palazzo Mazzetti con catalogo ragionato a cura di Marisa Vescovo.

Autoritratto, 1945

Galleria

Il libeccio a Bordighera, 1967