Carmagnola (TO) 1899 – 1979

Piero Solavaggione pittore che ha operato in Liguria

Piero Solavaggione era stato in gioventù allievo a Torino dell’Accademia Albertina ed aveva seguito le lezioni di Giacomo Grosso e di Cesare Ferro e con particolare attenzione aveva seguito i corsi di nudo e di ritratto ma poi, nei suoi lavori, aveva subito preso le distanze da quei suoi maestri illustri e, con frequenti lunghi soggiorni (che lui definiva “esilio”) a Parigi, era venuto esprimendosi sempre più in chiave post-impressionista ed in questa “chiave” soprattutto degli ultimi suoi anni.
Nel 1929 espone per la prima volta alla mostra annuale della Società Promotrice delle Belle Arti di Torino Natura in silenzio.

Nei primi anni della sua attività artistica, che lo occupava pienamente non appena libero dai suoi impegni di insegnante di storia dell’arte, aveva messo a frutto gli insegnamenti teorici appresi all’Accademia e i lavori da lui eseguiti tra il 1925 ed il 1934, soprattutto nei lavori di figura, a cominciare da Claretta del 1926, e dalla testimonianza di Piero Bargis sappiamo che apprezzava particolarmente l’esperienza di Enrico Reycend con il quale ha iniziato la frequentazione ligure.
Ben presto però la sua ricerca venne evolvendo sulla scia della pittura francese post-impressionista.
In relazione alla sua esperienza, sono stati richiamati i nomi di Eugène Antoine Durenne e Louis Valtat, che Solavaggione ha forse conosciuto a Parigi durante i suoi ripetuti soggiorni ma all’esperienza di Albert Marquet che egualmente avrebbe potuto incontrare sempre nella capitale francese ed è forse la lezione dei pittori nabis (più di quella dei fauves) ad averlo interessato ma sempre con risultati e soluzioni del tutto personali come è facile cogliere nelle sue opere che vanno dalla metà degli anni sessanta fino alla sua repentina scomparsa.
Piero Solavaggione ha utilizzato indifferentemente la pittura ad olio e l’acquerello, il disegno ed i pastelli, il guazzo, la tempera e la china e le sue tematiche, anche se il paesaggio era prevalente, non scordavano la composizione floreale, la natura morta e, più raramente, la figura.
Per la sua natura schiva e per la ritrosia che sempre lo tratteneva, ottenne successo ma avrebbe meritato di ottenere ben altri risultati rispetto a quelli ottenuti e che sono pure notevoli stante che gli furono assegnati: premi del Ministero Educazione Nazionale nel 1933 (e il re acquistò una sua opera), e Albarello nel 1934 mentre venne invitato alla Quadriennale di Roma nel 1935 (Cascina) e nel 1939 (Alberi e case), alla Triennale di Milano nel 1936 e poi ancora nel 1947 mentre alla Biennale di Venezia venne invitato nel 1936 (Via Umberto I e Strada di paese), nel 1948 (Paesaggio) e nel 1950 (Case baracconi) mentre non si contano le partecipazioni (dal 1929 al 1979) alle rassegne annuali della Società Promotrice delle Belle Arti di Torino e (nel dopoguerra) alle mostre promosse dal Piemonte Artistico e Culturale e dal Circolo degli Artisti di Torino.
Nel 1946 gli viene assegnato il prestigioso Premio Sambuy e nel 1951 alla Quadriennale torinese presenta Interno con figura.
Nel 1953 prima mostra personale alla Galleria la Bussola.
Nel 1965 a Ospedaletti prende parte alla Rassegna d’arti figurative d’Italia con Paesaggio ligure.

 “Paesaggista solitario” e “Messaggero di poesia” è stato in varie circostanze definito e mai epiteti sono stati più aderenti alla sua espressività artistica: era un paesaggista solitario e si tenne sempre distante da quel mondo artistico torinese che di volta in volta risultava egemone.
Sapeva cogliere nelle sue opere aspetti della campagna carmagnolese ma anche angoli di paese, viste di mare colte durante i frequenti soggiorni liguri e scorci parigini con una autentica “trepidaziane lirica, facendo vivere la luce e l’atmosfera” come ha sottolineato Miche Berrà  che ha affermato ” se fosse vissuto a Firenze, Venezia, Milano, anziché in provincia, avrebbe indubbiamente una fama non inferiore a quella dei più noti chiaristi lombardi”.
Perché la pittura degli ultimi anni della sua attività richiamano anche per certi versi l’esperienza chiarista, nella quale (se il suo operare consentisse un qualche intruppamento di scuola) egli potrebbe essere indicato come un portabandiera per quel suo modo solare e luminoso di costruire le sue tematiche.

Porto di Savona, 1949

La mostra che la “Saletta d’Arte Celeghini” con la collaborazione degli eredi dell’artista ha messo in atto nel 2006  a trent’anni dalla morte per celebrarne la memoria, consente di incontrare un bel gruppo di opere che non sono mai state viste o che da tanto tempo non sono più state presentate in mostra.
Nel 2013 è stata ordinata la sua più importante mostra postuma “Piero Solavaggione e le sue opere, testimonianza del mondo ideale dell’ Arte” nelle sale di Palazzo Lomellini a Carmagnola.

Piero Solavaggione, come tanti grandi artisti, si staccava a malincuore da quelle opere che giudicava più riuscite e non era raro il caso che, dopo molto tergiversare, facesse sapere a chi intendeva comprare una sua opera in particolare che la stessa non era disponibile per la vendita.
E’ stato anche in qualche rara occasione scultore, modellando le opere in creta e soltanto rarissimamente disponendo poi per la loro fusione in bronzo.
Piero Solavaggione ha esposto, inoltre, agli Amici dell’Arte, all’Interregionale di Firenze, ad Arezzo, Napoli, Londra ed è stato premiato all’Esposizione di Pittura Contemporanea di Zurigo, alla Mostra Nazionale della Grafica di Arezzo, alla Il Rassegna d’Arte Contemporanea di Varese, alla Mostra di Pittura in onore dello scrittore Beppe Fenoglio a Santo Stefano Belbo, al Circolo degli Artisti “Giovanni XXIII” di Roma, mentre a Montecarlo gli sono stati assegnati i premi al Gran Prix Internazionale de la Peinture et de la Gravure e ha vinto la Palme d’Honneur d’Or des Beaux Arts.

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