Alessandria 1835 – Firenze 1925
Augusto Rivalta scultore ligure
Augusto Rivalta si trasferì abbastanza presto a Genova, dove nel 1851 era studente all’Accademia ligustica.
Nel 1857 fu, con Giuseppe Benetti, tra i “prescelti dall’Accademia a studiare in Firenze” (Alizeri, 1866), e l’anno figurava tra gli allievi di Aristodemo Costoli all’Accademia di belle arti di Firenze.
Nel 1859, allo scoppio della seconda guerra d’indipendenza, tornò in Liguria per arruolarsi nei Carabinieri genovesi assieme al fratello Francesco (poi tra i Mille di Giuseppe Garibaldi).
Tornò a Firenze per continuare lo studio nella bottega di Giovanni Duprè.
Il primo monumento importante affidato a Rivalta fu comunque dedicato a Cavour e destinato all’atrio della sede fiorentina della Banca d’Italia, progettata proprio da Antonio Cipolla.
Il marmo, realizzato tra il 1869 e il 1870, rappresenta lo statista seduto in poltrona, pensoso ma sereno, secondo un’immagine diffusa grazie a una fotografia e presa a modello qualche anno prima anche da Vincenzo Vela per la statua della Borsa merci di Genova.
Nel 1867 Rivalta fu nominato socio dell’Accademia di belle arti di Firenze, dove, dal 1874 fino alla morte, tenne la cattedra di disegno e scultura formando numerosi artisti attivi a cavallo dei due secoli come Antonio Garella, Giuseppe Graziosi, Raffaello Romanelli, Pietro Guerri ed Ercole Drei. Sempre più svincolato dall’ideale artistico di Duprè, approdò negli anni della maturità a una sorta di realismo ‘macchiaiolo’ influenzato da Adriano Cecioni, che interpretò al meglio nei numerosi monumenti funebri e nelle sculture pubbliche, mentre le opere di più modeste dimensioni e di soggetto più ‘leggero’ come Il ritorno dalla posta (Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti, 1860-70) o le numerose composizioni di ninfe, fauni e centauri, incarnano una “scultura episodica, dove la sua bravura gli consentiva esiti di eleganza e perfezione formale, ma col rischio di perdere in qualità espressiva” (De Micheli, 1992).
La scultura funeraria ebbe come principale destinazione il cimitero di Staglieno di Genova, per il quale Rivalta progettò numerose opere improntate al realismo borghese, in cui la morte non è più restituita attraverso forme simboliche e allegorie di derivazione classica o cristiana, ma diviene un fatto di cronaca.
I protagonisti , nei loro abiti contemporanei, sono i defunti stessi, attorniati dai loro congiunti colti nel vivo di un dolore composto e pieno di dignità, come emerge nell’archetipico monumento per Carlo Raggio del 1872.
Tra gli altri gruppi marmorei di Staglieno si ricordano almeno quelli per le tombe Bianchi Ricchini (1880), Drago (1884), Pallavicino (1892), mentre nel cimitero della Certosa di Bologna si trova la tomba di Marco Minghetti (1871 circa).
L’opera di Rivalta fu di frequente richiesta per monumenti pubblici che intendevano onorare l’epopea risorgimentale e i suoi maggiori protagonisti, probabilmente perché alla maestria tecnica lo scultore seppe unire uno stile senza dubbio celebrativo e non privo di retorica, ma quasi sempre controllato e sobrio.
I massimi raggiungimenti in questo campo sono considerati il monumento a Raffaele Rubattino a Genova (1889), con l’effigiato ritratto in piedi nel gesto naturale di tenere la mano nella tasca dei calzoni, quello – sempre a Genova – a Garibaldi (1893), e la statua equestre in bronzo di Vittorio Emanuele II nella piazza Grande di Livorno (1892).
Ancora, tra i pubblici monumenti, si ricordano quelli a Garibaldi di Livorno, Chiavari e Sampierdarena (rispettivamente 1889, 1890, 1895), quello a Giuseppe Mazzini per Chiavari (1888) e quello a Bettino Ricasoli per Firenze del 1897.
Per il complesso monumentale del Vittoriano a Roma, infine, Rivalta modellò il grande gruppo allegorico La forza, portato a termine attorno al 1910, anno in cui realizzò in bronzo il busto di Cristoforo Colombo per Detroit (Randolph street), su commissione della comunità italiana del Michigan (Nawrocki, 2008).
Augusto Rivalta lungo tutto il corso della carriera partecipò a numerose esposizioni italiane e internazionali: alla Quadriennale di Torino del 1902 propone San Giovannino e alla Biennale di Venezia del 1903 espone In Arcadia.
Nel 1915 espone Satiro e Ninfa all’Internazionale di San Francisco.
Nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma sono conservate le opere G. B. Niccolini, del 1864, orientata verso il gusto realista di Adriano Cecioni, Giocatore di trottola, più volte riprodotto, Bimbo che scherza con la capra, Ritorno dalla posta e Fauno danzante.
Nella Galleria d’Arte Moderna di Milano è conservato il bronzo Anteo, mentre nel museo di Lima Baccanale (1904). Altre sue opere sono anche nella Galleria d’Arte Moderna di Firenze.
Soltanto dopo la morte gli fu dedicata una retrospettiva allestita alla Società delle belle arti di Firenze nel 1931.