Antonio Maria Vassallo
Genova 1620 circa – Milano 1664/1672
Antonio Maria Vassallo intorno alla metà del secolo uscito dalla «stanza» di quel Vincenzo Malò che, trasferitosi da Anversa a Genova nel ’34, per una decina d’anni continuò a riecheggiare i modi trionfanti del Rubens divulgandoli non inutilmente.
Del Vassallo non si ha traccia cronologica fuorché la data 1648 segnata sul suo quadro superstite nella Chiesa di San Gerolamo a Quarto.
Invano sperammo che un’altra data, sul Martirio (più precisamente Visione) del beato Marcello Mastrilli in Collezione privata genovese, anticipasse di undici anni la conoscenza di questo pittore; ma essa fa parte di una lunga iscrizione riferentesi, a lettere capitali ma in latino, non al quadro (che parrebbe di poco precedente del ’48) ma alla santa fine del povero Mastrilli.
Nella pala con il Miracolo del beato Andrea da Spello, già nella Chiesa di San Francesco a Chiavari ora nei depositi di Palazzo Bianco, si coglie certa diversità tra la parte superiore, rigogliosa di figure e di colori, di riflesso rubensiano, e quella inferiore e principale, ove la figura del frate, massiccia, elementare come il suo gesto e l’azione che ne consegue, sembra straniarsi dal gusto del tempo.
Qualcosa di analogo può osservarsi a proposito della citata tela del 1648 a Quarto con i Santi Francesco, Chiara, Teresa e Caterina da Siena in contemplazione di … , che ad evidenza – per quanto non sia mai statonotato – è soltanto la parte inferiore di una più grande pala: quale che fosse la visione di quei Santi, nulla d’essa turba la semplicità delle quattro figure inginocchiate, tutte pari, cioè senza alcuna gerarchia compositiva con la quale un assunto da polittico poteva aver adattamento al gusto moderno; invece quasi «oggetti da ferma» questi personaggi, come il gran libro e il teschio ch’è loro innanzi, come gli animali e le cose che troviamo nelle favole boscherecce e nelle nature morte e vive care al pittore.
Sembra così di individuare già i due poli entro i quali si muove la fantasia del Vassallo, di quadro in quadro o addirittura nella stessa opera: da una parte il fare esuberante del Rubens, il cui fascino chiaramente è subito così da vedersi decrescere in un pur breve percorso, e l’efficace resa delle cose – certo stimolata dalla frequentazione dell’ambiente dei Fiamminghi – ad evidenza tanto più consona alla sua natura e più adeguata alle sue possibilità.
Ovviamente le tracce del Rubens perdurano più sensibili, oltre che nei quadri d’altare, in quelli di «storie»: si veda, per esempio, il Giudizio di Salomone della Collezione Oliva, ove è chiaro il precedente del Rubens di Copenaghen, o quel Soggetto mitologico (che è poi la Morte di Argo).
Nelle due lunette con Storie della Madonna del Carmine nella Chiesa di Sant’Anna, che rappresentano le ultime cose del pittore, la composizione si svolge come sempre piana, per successione di figure e di gruppi, che qui assecondano l’andamento della tela; ma i colori sembrano più trasparenti e luminosi, e qualche putto più lieve e sciolto confida certa attenzione che anche il Vassallo, ove più libero da impegni naturalistici, come in fine Orazio de Ferrari, pose a Valerio Castello.
Il Vassallo trova però la propria taglia nei quadri da cavalletto con bestie e cose domestiche o quasi, cui sovente la presenza di qualche figura dà titolo di mitologia.
In questo genere è indubbiamente un avvicinamento al Castiglione, ma determinato dai temi e dagli ingredienti (comprese erme e rilievi, pittoreschi residui dell’antichità classica) assai più che dalla poetica. Questa è nel Vassallo, per cultura e aspirazioni, tanto più semplice e limitata; a paragone della varietà del mondo del Grechetto, egli preferisce l’ambiente bucolico; nel comporre è timido quanto il Castiglione fa sfoggio d’estro e di abilità: mai si assiste alle cascate rutilanti di bacili, vasellami, drappi e tappeti, opimo trofeo di fantastica verità del tutto barocco; i vari elementi invece sono «esposti», talvolta quasi schierati, tanto più pienamente e, sempre lungi da ogni trasfigurante composizione, conservano l’emozione di una domestica realtà, come gli sfondi boscosi quella di una fresca natura, tutt’altro che artificiosa com’è nel Grechetto.