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Antonio Travi detto “Il Sestri”

Genova Sestri 1608-1665

Antonio Travi nasce a Sestri Ponente presso Genova nel 1608 e da natio borgo vien detto “il Sestri» o “il sordo di Sestri”.
Di umilissime condizioni è avviato a macinar colori (1623) nella bottega dello Strozzi che, intuendo il vivace ingegno del ragazzo, lo vuole suo discepolo.
Gli impasti vigorosi del Cappuccino, ma certo anche di tutti i più grandi pittori genovesi contemporanei, rimarranno di guida per l’attività pittorica del giovane artista, anche se i suoi primi lavori sono da confinarsi in quel modesto sottobosco pittorico alimentato da quegli innumerevoli artisti so­lo partecipi in  senso imitativo e con scarsa fantasia e qualità alla gloriosa vicenda pittorica che Genova andava in quel momento svolgendo.
La pala con lo Sposalizio di Santa Ca­terina  per l’omonima chiesa sestrese, è un tipico esempio di quel che il Travi riuscirà a creare durante tale giovanile attività, all’ombra dello Strozzi: un dipinto decisa­mente modesto, senza vita, composto cioè meccanicamente sulla falsariga di composizioni dei più illustri pittori dell’epoca, genovesi e non.
Fortuna volle, come narra il Soprani, che il Travi, verso il 1630, alla partenza dello Strozzi per Venezia, incontrasse e proprio nella bottega del Cappuccino, il fiammingo Goffre­do Wals, pittore di genere, all’incontro con Goffredo Wals segue dunque il vero inizio dell’arte pittorica del Travi che scegliendo liberamente quel genere di pittura che più a lui si confaceva, superando compassate ed accademiche pastoie, entra d’un balzo nel clan dei maggiori artisti genovesi contemporanei.

Come giustamente dice il De Logu nel saggio che, pur del 1931, resta oggi di gran lunga lo scritto migliore intorno all’artista di Sestri, “ Il colore (del Travi) tende a passare da una scala apparentemen­te più vasta ad una più limitata; ma in realtà il fenomeno è questo: abbandonando i quadri di figura per dedicarsi com­pletamente al paese, sfuggono i pretesti per gli accostamenti arrischiati del colore come può suggerirIi il panneggio; e il pit­tore si affina nello studio dei toni, dei rapporti dei passaggi prospetti ci che formano appunto una delle sue chiare doti; ciò che abbandona come quantità, ritrova e raffina come qualità”  (De Logu 1931, p. 46).
Qui veramente sta la bellezza delle opere più genuine del Travi e di cui abbiamo fatto cenno nel testo; l’immensa produzione più che corrente della botte­ga non ci interessa ed in fondo poco danneggia ]a figura vera dell’artista attivissimo ormai in questo genere di pittura sino alla morte avvenuta in Sestri Ponente il 10 febbraio 1665.
La critica tende oggi giustamente a rivalutare l’arte pittorica del Travi tentando (ma talvolta purtroppo ricadendo negli stessi errori) di scindere la produzione del maestro da quella della scuola.
Le notizie sulla vita dell’artista tramandateci dal Soprani, sono in gran parte pienamente accettabili.
Il miglior saggio, l’abbiam detto, resta quello del De Logu scritto nell’ormai lontano 1931.
Opere più o meno autenti­che sono state fatte conoscere da numerosi studi sulla pittu­ra genovese.
Nel 1970 il breve saggio di G. Bruno proponeva alcuni mo­tivi di riflessione, soprattutto in relazione alle tappe formati­ve del linguaggio dell’artista, in rapporto allo Strozzi e al Waals, ma anche allo Scorza, alle opere lasciate a Genova dal Tassi e poi, attraverso il Castiglione, alla produzione dei pittori neo-veneziani, mentre A. Dellepiane (1971) ne offri­va una panoramica dell’attività.
Spetta a G. Biavati (1976) la riproposizione dell’argomento con un allargamento dell’ottica critica; la stu­diosa, sorvolando sul rapporto, tutto da dimostrare ma al momento indimostrabile, col Wals, collega il Travi alla cultura espressa dai cosiddetti “artisti del dissenso”, al Tassi ma in particolare a Filippo Napoletano, i cui paesaggi, alter­nativi alle visioni classiche dei Carracci, erano presenti nelle quadrerie genovesi.

La data di nascita del pittore, non riportata nelle fonti antiche, è collocabile sicuramente intorno al 1608, in base a quanto si ricava dall’atto di morte, registrato il 10 febbraio del 1665 e rinvenuto dal Delogu nell’archivio della par­rocchia di Santa Maria Assunta a Sestri Ponente.
Dalla lettura del documento, «Antonius Travi D. Hieronimi [ … ] pictor insignissimus» risultava infatti avere nel giorno del decesso circa cinquantasette an­ni, affermazione che contrasta quindi con quanto asserito da Raffaele Soprani nella biografia dedicata all’artista, in cui è detto che l’artista “assalito da mortal  febbre, terminò miseramente la vita nel 1668, in età d’anni 55”
La fonte archivistica, oltreché correggere le inesattezze dello storico seicentesco, costituisce ancora oggi l’unica attestazione utile per circoscrivere gli estremi biografici dell’artista sestre­se, nato nel sobborgo genovese «da bassi Genitori, che pari al loro stato lo allevarono»; a tal fine appaiono infatti abbastanza secondarie le notizie rela­tive al primo matrimonio con Angela Caterina Cele­sia, risalente al 1649, e anche alle seconde nozze del maestro genovese con Antonia Briani, celebrate sem­pre nella chiesa di Sestri Ponente il 23 settembre del 1658 in seguito alla scomparsa della prima moglie, probabilmente morta durante l’epidemia di peste dell’anno precedente; nel 1661 il Travi rimase nuo­vamente vedovo, come comprova il testamento dell’ultima consorte, redatto l’11 marzo, dal quale si apprende ancora che Antonio aveva una figlia di no­me Anna Maria nata dalla sua prima unione”.
Un’attestazione di notevole importanza è inoltre contenuta negli atti del processo intentato nel 1625 contro Bernardo Strozzi: in data 10 marzo 1625 «Antonius Travi patroni Hieronimi» compare infat­ti, assieme al pittore Giovanni Battista Croce, come testimone alla deposizione rilasciata da Giovanni Domenico Cappellino presso la propria bottega genovese sita nella zona di Ponticello.
Tale notizia, che ci mostra Travi giovanissimo già inserito nell’ambiente pittorico cittadino, ha dato modo a Migliorini di ipotizzare un primo apprendista­to svolto dal pittore sestrese tra il 1620 e il 1625 presso la bottega del Cappellino, seguito da un suc­cessivo tirocinio presso lo Strozzi.
Questa riflessio­ne, che contrasta con quanto narrato dal Soprani, essendo fondata unicamente sulla lettura di questo atto deve considerarsi una proposta possibile anche se non certa, sebbene, l’ipotetico rapporto con il Cappellino per­metterebbe di attribuire con più  sicurezza al Travi la problematica pala con il Matrimonio mistico di San­ta Caterina di Sestri Ponente.
L’estrema povertà di dati riguardanti la vita di Anto­nio Travi, unitamente all’attuale mancanza di altri elementi, quali ad esempio opere datate o contratti per commissioni, rendono quindi assai arduo poter determinare con attendibile successione i momenti fondamentali dell’iter pittorico di questa sfuggente personalità, per i quali bisogna ancora fare riferi­mento agli scritti sei-settecenteschi, ricchi di com­menti e segnalazioni, seppur quasi totalmente privi di precisi riferimenti cronologici e non immuni da forvianti errori.
Una significativa aggiunta agli esigui dati finora cono­sciuti inerenti alla vita dell’artista devono considerarsi alcuni pagamenti, rintracciati da Dino Puncuh nell’ar­chivio Durazzo, relativi all’acquisto da parte di Giacomo Filippo I di «un quadro de paesaggi comprato da Antonio Travi», di «un quadro di paesaggi da me pa­gato fatto da Antonio da Sestri» e un ulteriore «qua­dro di paesaggi comprato da Antonio Travi», spese rispettivamente registrate, le prime due il 30 dicembre 1642, mentre la terza nello stesso giorno dell’anno successivo”.
Questi nuovi da­ti risalenti ai primi anni Quaranta del Seicento,  nel momento in cui la produzione del pittore raggiunse il suo apice qualitativo, permettono oltre ad attestare la presenza a Genova del mae­stro, anche di confermare l’ampio e radicato con­senso ottenuto dall’artista nell’ambiente artistico cit­tadino, attraverso « mol­tissime commissioni di primari Cavalieri di questa, e d’altre città», come può indirettamente provare del resto anche la copiosa presenza di sue opere o della bottega nelle quadrerie delle più im­portanti famiglie aristo­cratiche della città”.
Del tutto oscura risulta ancora l’identità dei nu­merosi anonimi collaboratori, figli e nipoti, che affiancarono il Travi, la cui presenza viene più volte evidenziata dalle fonti unicamente per denunciare la qualità seriale e meno raffinata che ne contraddistin­gue gli esiti rispetto a quelli del maestro.
Tra gli arti­sti che collaboravano a stretto contatto con il Travi deve essere collocato quel Gerolamo Travi, proba­bilmente figlio del pittore al quale venne dato il nome del nonno paterno, indicato come autore di quattro Paesaggi elencati assieme ad un “paese ‘Antonio Travi, con vari ritratti” nell’inventario della quadreria di Dome­nico Mari redatto il 26 luglio del 1680, dipinti di cui oggi si sono perse le tracce, andati probabil­mente confusi nella vasta produzione ascrivibile agli allievi.
Questo è per ora l’unico elemento che permette di fornire una prima individuazione del­le varie personalità attive nella complessa bottega del Sestri, vera e propria “catena di montaggio” attraverso la quale veni­vano diffuse copie e repli­che, più o meno fedeli, delle opere dell’artista, a fronte delle numerose «com­missioni d’indispensabile impegno; per le quali era co­stretto ad occuparsi dì, e notte in violenti lavori, che gli stemperarono il cervello, e gli debilitarono la complessione».

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