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Sinibaldo Scorza

 Voltaggio (AL) 1589 – Genova 1631

Sinibaldo Scorza nato il16 luglio del 1589, l’artista venne affidato dal padre Giovanni Scorza allo sconosciuto pittore Giovanni Battista Carosio, «sotto la cui direzione cominciò ad impiegar le ore oziose del giorno in maneggiare il pennello, e schiccherar qualche cosa» (Ratti 1768).
Dal 1604, grazie alle raccomandazioni del padre francescano Scaglioso, il giova­ne Sinibaldo venne successivamente introdotto presso la bottega genovese di Giovan Battista Paggi, dove nel 1608 conobbe il Cavalier Marino, che nel 1619 celebrerà lo Scor­za nella sua Galleria, giunto a Genova durante il suo viag­gio verso la corte sabauda.
Il 23 giugno del 1612 il pittore ferì Valentino Casanova; in seguito a questo incidente il 22 novembre deposero a suo favore vari testimoni, tra i quali lo stesso Paggi.
Al 6 gennaio 1613 risalgono le nozze con Nicolosina De Ferrari, mentre quattro anni dopo l’artista eseguì la tela raffigurante l’Immacolata, in origine conser­vata nel convento francescano di Voltaggio, poi trasferita nell’oratorio dedicato a San Giovanni Battista dello stesso centro.
Nel 1619 Sinibaldo si trasferì a Torino presso la cor­te dei Savoia, dove operò assiduamente fino al 1625.
Sinibaldo Scorza ritor­nato a Genova, in seguito all’accusa di tradimento, il pitto­re venne esiliato a Massa, per poi ottenere il permesso, tra­mite il principe Alberico Cybo-Malaspina, di trasferirsi a Roma, dove dimorò tra il 1625 e il 1627, periodo al quale risale la realizzazione della Piazza del Pasquino (Roma, Galleria di Palazzo Barberini).
Grazie all’intercessione del cardinale Scaglia, il 6 febbraio del 1627 venne revocato il bando e lo Scorza poté rientrare prima nel paese natale e successivamente a Genova.
Citato come procuratore in un atto datato 8 giugno 1630, nello stesso anno Sinibaldo ver­sò la tassa di 30 lire per la costruzione della nuova cinta mu­raria e realizzò l’ Entrata degli animali nell’arca (Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola), firmata e datata.
Il pittore morì a Genova il 5 aprile del 1631 e il suo corpo venne tumulato nella cappella di famiglia ubicata nella di­strutta chiesa di San Francesco di Castelletto.
Se in opere come l’Immacolata (Voltaggio, oratorio di San Giovanni Battista) appare assimilata in profondità, nell’im­postazione delle figure e nella definizione dei volti e delle ve­sti, la lezione tardomanierista del Paggi, è soprattutto nei di­pinti di piccolo formato che si colgono gli innumerevoli contatti instaurati dallo Scorza con la cultura pittorica nor­dica, peculiarità riscontrabile in tutto il percorso artistico del maestro genovese, dai tempi del suo alunnato presso il Paggi, dove ebbe modo di studiare la grafica del Durer, fino alla sua produzione matura.
Nonostante risulti ardua una puntuale scansione cronologica dei dipinti oggi attribuiti al pittore, si può constatare come sin dalle opere più precoci, quale ad esempio l’Orfeo che incanta gli animali, eseguito nel 1612 si riveli ampiamente medita­ta la lezione dei pittori fiamminghi e tedeschi, conosciuta non solo attraverso gli esiti delle varie personalità attive in quegli anni a Genova, ma anche in seguito alla vasta diffu­sione in città di incisioni, analizzando la Veduta della Villa Centuriona nei pressi di Gavi (Genova, Gabinetto Dise­gni e Stampe di Palazzo Rosso), data bile intorno al 1619.

Orfeo che incanta gli animali

Gli ampi e luminosi paesaggi di matrice nordica, resi attra­verso un tratto lenticolare che indaga meticolosamente ogni elemento vegetale, diventano il luogo dove il pittore am­bienta episodi biblici, come il Paesaggio con la separazione di Abramo da Lot (Genova, Galleria di Palazzo Rosso) o il Paesaggio con il sacrificio di Noè conservato nella stessa collezione, oppure ricercati temi mitologici, più volte ricordati dalle fonti.
A dare un puntuale riscontro al profondo legame che legò l’attività dello Scorza al lin­guaggio “naturalistico” d’Oltralpe sono inoltre gli innume­revoli disegni, raffiguranti principalmente animali Due pappagalli e una gazza appollaiati su un ciliegio, Genova, Gabinetto Disegni e Stampe di Palazzo Rosso), piccole figure o paesaggi, delineati attraverso un tratto accurato ed incisivo, di solito a penna, talvolta con tratti a matita nera e rossa oppure acquerellati, che in vari casi, come riscontrato dall’Ostrowski (1992) per la serie delle Allegorie dei Mesi del Museo Czartoryski di Cra­covia, sono dirette derivazioni da opere di artisti fiammin­ghi, in questo caso da quelle di Jan Wildens.
Secondo le fon­ti il pittore genovese negli ultimi anni si dedicò anche alla tecnica dell’acquaforte, la cui «prima fatica in tal genere fu l’intaglio d’un rame, in cui figurò un pastorello, che, seduto all’ombra d’un albero, suona il piffero mentre la sua greg­gia si sta pascendo» (Ratti 1768), foglio apparte­nuto a Raffaele Soprani, che può essere forse ipoteticamen­te identificato con quello raffigurante un identico soggetto oggi conservato nel Gabinetto Disegni e Stampe di Palazzo Rosso.

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