Stefano Magnasco

Genova 1635 – 1672

Stefano Magnasco  residente a Genova nella parrocchia di Sant’Agnese presso l’Annunziata del Vastato era composta dal padre Lorenzo , dalla madre Pellegrina (di cui si ignora il cogno­me) e da  almeno quattro figli, Giuseppe Maria, Ambrogio, Nicoletta e Bartolomeo, oltre  a Stefano. Quest’ultimo si sposò con Livia Caterina, figlia del notaio Aurelio Musso, non si sa in che data, ma certamente prima del 4 febbraio 1667, quando nacque il figlio Alessandro.
Nell’a­prile del 1669 battezzarono la figlia Artemisia,
Non si conosce la data di nascita dell’altro figlio , Giuseppe (che nulla obbliga a ritenere il terzogenito).
Il 19 maggio 1670 Stefano era ancora in vita poiché riscuoteva in quel giorno una partita di de­nari ma era già morto quando Giovanni Nicolò Cavana, nipote del Soprani, si accinse a completare il volume  delle Vite, lavorando dai primi mesi del 1672 alla fine del 1673.
Questi, escludendo  poche altre notizie, peraltro infondate,  sono i pochi dati certi.
A essi si possono aggiungere le date di due soli dipinti della maturità (1663 e 1666) e le considerazioni che seguono.
È più che probabile, come già sostenuto dal Belloni, che la biogra­fia  del nostro si debba proprio al Cavana, che stilò la breve paginetta sulla scorta degli appunti del Soprani e delle notizie da lui stesso reperite.  
Come è noto, le Vite del Soprani si costituisco­ in due parti: la prima dedicata ai pittori genovesi, la seconda “de’ Foratieri, che in Genova operaroro”.  
Stefano Magnasco iniziò assai presti il proprio alunnato presso Valerio Castello morto nel 1659; e che pare essere stato assai precoce; tenuto conto che partì per Roma “con licenza de suoi maggiori”, e quindi che aveva meno di venticinque  anni quando lasciò Genova per Roma dove rimase cinque anni; che , tale partenza avvenne probabilmente prima della pestilenza genovese, che egli scampò, e quindi intorno al 1655 circa, lo possiamo immaginare circa ventenne in quell’anno e quindi nato intorno al 1635.
La sua  breve esistenza da collocarsi tra il 1635 e il 1672 circa, gli consentì un’attività pittorica da scandirsi in poco più di due decenni: lo possiamo immaginare molto giovane nella bottega  di Valerio Castello il 1650 e il 1655, a Roma tra il 1656 e il 1660, nuovamente a Genova attivo in proprio per ancora una decina di anni, tra il 1660 e il 1672.
Il catalogo che gli si può riferire  è abbastanza esiguo (si contano poco più di sessanta dipinti), e ciò potrebbe  essere conferma indiretta e, per così dire, al negativo, della sua breve carriera.

L’ Angelo custode


Soltanto undici dipinti sono firmati: Il miracolo di S. Ugo (Genova, oratorio dell’Immacolata Concezione) è firmato e datato per esteso (“Stephanus Ma [(] faciebat à 18 marzo 1663”); mentre gli altri dieci sono contrassegnati dalla tipica sigla dell’artista, una “S” e una “M” sovrapposte.
L’Angelo custode della chiesa genovese di S. Teodoro, la Madonna del Rosario già nell’omonimo oratorio presso la stessa chiesa (ora in collezione privata) e Il transito di s. Giuseppe già nell’ospedale genovese di Pammatone, ora nella chiesa dell’ospedale di S. Martino, quest’ultimo documentato dal pagamento all’artista nel 1666 , sono stati identificati come opere del Magnasco sulla base delle indicazioni delle Vite di Soprani.
La maggior parte delle 61 tele oggi assegnate è dunque frutto di un lavoro attributivo condotto sul confronto delle poche opere certe.

Nei suoi ultimi anni rielaborò le acquisizioni della grande pittura genovese della prima metà del Seicento.
Da Andrea Ansaldo, da Giovan Battista Carlone, da Giovanni Andrea e Orazio De Ferrari assunse soluzioni compositive e cromatiche; ma nella sua opera si legge anche l’attenzione al nuovo corso della pittura intrapreso da Domenico Piola.
Di ciò si dovrà tenere conto anche nel tentativo di tracciare un excursus stilistico, che, vista l’esigui­tà degli anni, e viceversa, la molteplicità di stimoli di segno opposto, dalla lezione di Valerio, alle novità . al nuovo barocco genovese di Casa Piola, risulterà quanto mai irregolare e non sempre facile porre in sequenza cronologica.

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