Giovan Battista Langetti

Genova 1635 – Venezia 1776

 

Giovan Battista Langettia la cui biografia si presenta particolarmente povera di certezze documentarie.
Un nodo problematico che solo da poco si direbbe risolto in modo persuasivo è quello relativo alla data di nascita.
In effetti, pur non essendo riemerso negli archivi genovesi alcun atto relativo alla nascita del Langetti, possono essere stimati sostanzialmente dirimenti intorno a tale questione due documenti rinvenuti a Venezia: l’atto di morte e il registro dei defunti della parrocchia di S. Maria Maddalena, entrambi datati 22 ottobre 1676, che dicono deceduto all’età di circa quarantuno anni, collocandone così la nascita intorno al 1635.
Tale datazione ha imposto un significativo riassestamento della biografia del pittore, a cominciare dalla ricostruzione del suo iter formativo, della successione delle sue esperienze professionali e della cronologia del suo catalogo, facendone risaltare la maturazione artistica particolarmente rapida, nonché la speciale coerenza e omogeneità stilistica del corpus delle opere.
Non permangono tracce concrete di una fase di apprendistato genovese, né di una sua produzione giovanile realizzata nella e per la città ligure.
Tale dato di fatto sembra confermare le indicazioni della principale fonte seicentesca sul pittore, il veneziano Marco Boschini (1660), il quale riferisce di un viaggio di formazione a Roma, che avrebbe potuto, forse, essere intrapreso intorno alla metà del secolo proprio al seguito di Carlone,  grazie al quale si sarebbe introdotto assai giovane nella prestigiosa bottega di Pietro Berrettini da Cortona.
Nel pittore si staglia in primo luogo il punto di riferimento caravaggesco, tanto forte quanto chiaramente mediato dall’opera di pittori “naturalisti”, per così dire, di seconda generazione: a cominciare da quelli attivi in ambito genovese, ove soprattutto le produzioni di Giovanni Andrea De Ferrari, di Gioacchino Assereto e di Orazio De Ferrari si direbbero essere state attentamente studiate dal giovane pittore, il gusto del quale dovette essere particolarmente attratto anche dalle opere di Antoon Van Dyck.

Isacco benedisce Giacobbe

Nel contesto romano, il magistero compositivo e l’efficacia comunicativa della maniera cortonesca furono presto scavalcati dall’esempio travolgente di Jusepe de Ribera, recepito nella sua declinazione più scura e severa, satura di pathos e tragicità.
A partire dal trasferimento a Venezia (1660), i dati disponibili divengono un po’ più consistenti.
Con ogni probabilità, al suo arrivo in laguna stette per un certo periodo a bottega da Giovan Francesco Cassana (allievo e seguace genovese di Bernardo Strozzi).
La pastosità, ricchezza e intensità cromatica che caratterizzano la pittura mostrano, in effetti, interessanti connessioni col colorismo brillante e luminoso di Strozzi, che fece scuola sia a Genova sia a Venezia.
Già nel primo periodo compaiono molti dei soggetti ricorrenti nella sua produzione – esplicitandosi la predilezione per scene di sofferenza e morte e per la rappresentazione di santi martiri o penitenti, filosofi classici ed eroi biblici o mitologici – e si manifestano con flagranza le sue prerogative stilistiche salienti, a cominciare dall’energia narrativa, che talora rasenta la brutalità, ma anche la ferrea ed eloquente calibratura di pose, gestualità, caratteri, fisionomie, in funzione dell’efficacia comunicativa ed espressiva dell’immagine.

Archimede
Archimede con le allegorie della pace e della guerra

Esistono solo altri quattro dipinti firmati, tutti di altissimo livello e databili fra la metà del settimo e il principio dell’ottavo decennio, a costituire il nucleo dei punti fermi del corpus del Langetti: si tratta dell’Archimede di Brunswick, Herzog Anton Ulrich Museum (del quale si conserva un’altra versione a Filadelfia, Museum of art); del Mercurio e Argo di Genova, Galleria di Palazzo Bianco; del S. Girolamo, oggi a Cleveland, Museum of art; e della Scena di morte in collezione privata a Padova.

Mercurio e Argo
Uccisione di Archimede

Giovan Battista Langetti il 19 ottobre 1676  fece testamento, disponendo la restituzione di un anticipo di 100 scudi, ricevuti dalla Fabbrica di Carignano per una pala d’altare che avrebbe rappresentato il primo impegno del pittore per la sua città natale, ma che non venne mai neppure cominciata.

Galleria