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Domenico Fiasella

Sarzana (SP) 2589 – 1669
 

Domenico Fiasella nasce a Sarzana il 12 agosto 1589, da famiglia originaria del vicino borgo di Trebiano; il padre era Giovanni Fiasella, argentiere in Sarzana, del quale conservano alcune argenterie.
Mostra una particolare attitudine per la pittura, dapprima riproducendo nel migliore dei modi una tela di Andrea Del Sarto.
Si trova agevolato dall’amicizia personale con il vescovo di Sarzana, Monsignor Salvago, grazie alla raccomandazione del quale va a Genova a lavorare presso la bottega del Paggi, che era ben conosciuto dal prelato.
Domenico Fiasella intendeva andare a Roma, ma per il momento accettava di svolgere l’apprendistato presso il pittore genovese, pensando di spostarsi in seguito.
Qui riceve una solida formazione iniziale.
Il Paggi forma molti giovani pittori della prima metà del secolo; sui metodi faceva testo una sua opera teorica, andata perduta, la “Diffinizione o sia divisione della pittura”, alla cui perdita suppliscono in parte le lettere di Girolamo Paggi del 1551.
Dal Paggi l’artista impara l’arte, ma per le sue esigenze il decano dei pittori genovesi era rimasto troppo legato al Manierismo, mentre lui intendeva conoscere direttamente le ultime novità romane.
Queste novità non gli erano estranee, dato che a Genova il mercato delle incisioni era in Sottoripa, ed il giovane pittore poteva apprenderle in grandi linee: le innovazioni erano tutte riprodotte, ma il mezzo, tra l’altro in bianco e nero, non permetteva di conoscere le innovazioni rivoluzionarie in materia di colore.
Dopo questo iniziale studio della pittura si trasferì a Roma, ove soggiornò dal 1607  al 1616 eseguendo, fra l’altro, alcune tele per  Vincenzo Giustiniani.
A Roma vede direttamente l’opera di Raffaello, quella di Michelangelo, di Tiziano, di Sebastiano del Pimbo per quanto riguarda le precedenti generazioni del Rinascimento, e per le attuali quelle dei Carracci, dei Bolognesi, dei Fiorentini, del Caravaggio e tanti altri. Frequenta l’Accademia di Nudo nata nel 1577, aperta con Bolla papale di Gregorio XIII;  tra i suoi discepoli era Gerard Hontorst, detto Gherardo Delle Notti (1590-1656), presente a Roma nel 1616-1620, e coetaneo del Fiasella.
Per farsi notare il giovane pittore sarzanese ricorse ad un espediente: pose un suo quadro, la Natività del Signore, senza nome ma bene in vista in un’esposizione in santa Maria della Scala. Il quadro venne visto ed apprezzato da Guido Reni.
Per averne un’idea, si può far riferimento alla Natività del Fiasella esposta alla Finarte di Milano nel 1964: era un Notturno, genere più volte replicato dal pittore, e come tale mostra uno stretto legame con il caravaggismo, cui aderiva entusiasticamente il giovane Fiasella.
Domenico Fiasella a Roma entra in rapporto di stretta amicuzia con Orazio Gentileschi (1503-1647).
Il suo caravaggismo parte pertanto dalla preferenza per i valori cromatici gentileschiani anziché dalla crudezza polemica e dalla sciabolante vividezza luministica del Caravaggio (1573-1610).
Da Orazio Gentileschi Fiasella prende una raffinatezza, un racconto rapido e sereno, una pacata luminosità, da lui ricreati con la pennellata genovese, differente dalla idealizzante perfezione di Gentileschi.
Si tratta quindi di un caravaggismo attenuato dalla stilizzazione gentileschiana, dalla quale ricava anche l’aristocrazia dei modi, la naturalezza, l’eleganza, imodi dei panni e delle stoffe.
Tramite Orazio Gentileschi Fiasella diviene amico del marchese genovese Vincenzo Giustiniani, che era stato il protettore di Caravaggio.
Nel 1617 Fiasella rientra a Sarzana, dipinge la Madonna con San Lazzaro per la parrocchiale di San Lazzaro presso Sarzana, e l’Adoraziobne dei Pastori, un notturno, per la chiesa di San Francesco in Sarzana (la tela si trova sul primo altare a destra della chiesa), per la quale riprende l’idea presa riportata per lo stesso soggetto dal Caravaggio nella tela ora alla Pinacoteca di Dresda.
Differenze di stile nell’affresco tra i Carlone e Fiasella: Fiasella si misura con due artisti in auge nella Genova di allora, i due fratelli Giovanni e Giovanni Battista Carlone. Da loro differisce per disegno, colore, composizione.
Per dare maggiore vita alle figure Giovanni Carlone aveva maturato una tecnica personale fatta di rifiniture a tratteggio e velature, sistema basato sui modi appresi dai Bolognesi e dai Toscani.
Al contrario Domenico Fiasella parte da Gentileschi e da Caravaggio.
Nell’uso di quello che era il colore veneto del Rinascimento, i Carlone partivano dal Passignano e su di esso basavano la loro estetica, forti di una tecnica indovinata, tendendo ad una maggiore intensità e pulitezza trasparente del colore.
Al contrario Fiasella lascia la via veneto-passignanesca dei Carlone per puntare sugli effetti luce-ombra.
Agisce cioè per contrapposizione e densità dei colori, collocandosi nella corrente caravaggista.
Tuttavia, sono perduti i punti di riferimento per questo passaggio in Genova, gli affreschi di Gentileschi in Genova, a Sampierdarena.
In fatto di composizione i Carlone accettavano la composizione eclettica classicista ufficiale, mentre Fiasella focalizza la realtà del racconto con intemdimenti di equilibrato verismo, altra impostazione caravaggista. Lo fa ad esempio nel Banchetto di Assuero in palazzo Patrone, dove l’attenzione può sostare sui travasatori e gli assaggiatori del vino, il cane in primo piano a sinistra, spostandosi eventualmente e solo alla fine verso il re e i convitati, che sono posti con una apparente noncuranza in profondità nella scena.
Domenico Fiasella dal 1618 dimora a Genova, divenendo rapidamente uno dei pittori più in vista, soprattutto dopo aver eseguito, per il Palazzo Lomellini alla Zecca, un importante ciclo di affreschi con oggetto le Storie di Ester.

Storie di Ester

Si tratta della prima sua opera importante dopo il ritorno a Genova. La sede è il palazzo nella piazza della Zecca (palazzo Patrone oggi, sede attuale del Comando Militare Territoriale).
Il palazzo era stato da poco ristrutturato, nel 1620, e l’intervento pittorico risale alla fine del 1621.
L’artista esegue una serie di affreschi, con storie di Ester nelle stanze e sale principali del piano superiore e del piano inferiore.
Nel piano superiore dipinge Il Re che celebra il Convito, nel portico la Distruzione di Gerusalemme.
Vi dipinge anche fanciulli e statue a chiaroscuro, con freschezza di colorito.
Nel 1622 Fiasella dipinge il Martirio di Santa Barbara, per l’altare in capo alla navata sinistra di San Marco in Genova.
Qui sono poche le figure, un paio, distanziate dal paesaggio, ed ancora alcuni putti in alto. Sullo stesso tema si può rammentare il Martirio di Sant’Orsola dello stesso Fiasella in Sant’Anna.
L’opera in San Marco conferma gli assunti degli affreschi del palazzo Patrone, con l’entusiasmo per lo stile gentileschiano tradotto in raffinati effetti di colore e luce, e nell’aristocratoco taglio del panneggio della santa.
Il pittore mantenne stretti legami con la città natale, che conserva tuttora molte sue opere e lavorò a più riprese per i Cybo Malaspina di Massa. Inviò anche opere a Mantova, Piacenza e alle chiese della “nazione” genovese di Napoli e Palermo.
Nel 1626 per la cattedrale sarzanese, sempre committente Monsignor Salvago, dipinge una tela con i Santi Nicola, Lazzaro e Giorgio, ed un’altra con i Santi Lucia, Barbara, Apollonia.

San Lazzaro che implora le Vergine

La seconda fornirà la traccia dieci anni dopo per i due affreschi nelle pareti alte del transetto dell’Annunziata del Vastato; in essa ancora si stabilizza il tipo di donna raffigurato da Fiasella, elegante e delicato, forse ereditato dal Paggi.
Sempre questa tela ricorda quella tela di Rubens nella romana chiesa di Santa Maria in Vallicella, con Santa Domitilla fra i Santi Nereo e Achilleo.
In San Francesco di Sarzana, nel quarto altare a sinistra, è una pala di Fiasella del 1630, con i Santi Bernardino da Siena e Salvatore d’Orta ai piedi della Madonna col Bambino; intorno stanno putti che rallegrano la scena come nel Martirio di Santa Barbara in San Marco.
Nel quarto decennio del Seicento si sviluppa la fase della maturità pittorica del Fiasella: tra il 1630 e il 1640 esegue disegni e progetti per le statue ufficiali del culto in Genova, scolpite da vari scultori, dipinge la grande Assunzione di Nostra Signora del Monte, elabora l’iconografia ufficiale della Repubblica nelle raffigurazioni del Palazzo Ducale, dipinge nella SS. Annunziata del Vastato per Giacomo Lomellini detto il Moro.
Per il palazzo Ducale nel 1630 esegue il disegno dell’altar maggiore e quello della Madonna in bronzo da porvi sopra, opera scolpita da Giovanni Battista Bianco nel 1632.

Doveva qui elaborare una figura che rappresentasse Genova, l’iconografia ufficiale del potere politico della Repubblica, essendo la Madonna eletta Regina di Genova. Questa Madonna viene ad avere così gli attributi del Regno, lo scettro, la corona e le chiavi di Genova, e la sua immagine viene poi riprodotta nelle monete della città con la scritta “ex Rege Eos”.
Al Fiasella per questo fu attribuito un ruolo importante, nel 1637,  nella fastosa cerimonia durante la quale la Repubblica di Genova proclamò la Vergine sua Regina.

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