Giovanni Maria Delle Piane
il Mulinaretto

Genova 1660-1745

Autoritratto

Giovanni Maria Delle Piane non ha una bibliografia sufficientemente vasta: essa si riduce praticamente alla “vi­ta” in Soprani-Ratti (insolitamente circostanziata), ad una serie di scritti riguardanti inediti pubblicati da Mario Bonzi e poi riuniti nel volumetto monografico Il Mulinaretto, Ge­nova 1962, ed allo scritto di Giovanni Felice Rossi, Il Cardi­nale Alberoni ed il Mulinaretto, Piacenza 1988.
Resta pertanto difficile districarsi fra le numerosissime ope­re, la cui identificazione è complicata dai passaggi di pro­prietà e dalla «copertura» sotto l’indicazione di “Collezione privata”.
Giovanni Maria Delle Piane, detto il Mulinaretto dal soprannome del nonno che appunto esercitava il mestiere di mugnaio, nacque a Genova nel 1660.
All’età di dieci anni fu posto alla scuola di Giovanni Battista Merano per imparare la pittura, e vi rimase fino al 1676, quando intraprese un viaggio a Roma per sviluppare i propri studi sotto l’insegna­mento del Gaulli.
Qui rimase fino al 1684, quando fece ritorno a Genova, un anno dopo la morte di G B. Carbone, erede della tradizione ritrattistica genovese della prima metà del XVII secolo.
Subito l’aristocrazia locale riconobbe in lui un ritrattista sensibile alle necessità celebrative del tempo, capace di adeguarsi alle nuove mode, vestendo “quelle sue figure con drappi maestosi ed eleganti”, cogliendole in “certe nuove, e spiritose movenze” (Ratti)
Nella città natale mise a frutto l’abilità dimostrata già durante il soggiorno romano come ritrattista: “Perocché, oltre al franco possesso di trasportare esattamente in tela le più delicate, e difficili fisionomie, vestiva quelle sue figure con drappi maestosi, ed eleganti; e dava ad esse certe nuove e spiritose movenze; onde faceva conoscere, che egli era, non solo un egregio Ritrattista, ma eziandio un valente pittore d’invenzione, e di fecondità”. (Soprani-Ratti).
Questo suo atteggiamento nei confronti del ritratto era del resto coincidente col mutare del gusto ormai abituatosi ai modi francesi di un Rigaud, di un Largillière, ecc., le cui opere si diffondevano rapidamente presso le famiglie genovesi, pressoché in parallelo con i costumi e la cultura dei nuovi dominatori.
Durante questo periodo genovese il Mulinaretto dipinse nu­merosi ritratti, alcuni dei quali tuttora identificabili.  In par­ticolare quei ritratti di personaggi di Casa Doria a cui accenna il Soprani-Ratti.
Ritratto di gentiluomo vestito alla turca. Genova, Collezio­ne Durazzo Pallavicini, verosimilmente da identificarsi in quello descritto dall’antica fonte quale “il Signor Gio Ago­stino vestito alla turchesca”,
Il diffondersi della fama del pittore lo fece richiedere dal du­ca di Parma in questa città nel 1695: qui eseguì alcuni ritrat­ti fra cui quelli dei sovrani.
Tornato a Genova attese ad un gruppo di opere di soggetto religioso per alcune chiese (Soprani-Ratti, II).
Il successo riscosso a Parma fece sì che ve lo si richiamasse nel 1698.
Nel 1705 eseguì il ritratto del duca di Vendome al campo di Rivolta e nello stesso anno pochi mesi dopo si trasferì a Pia­cenza.
Fatto ritorno per un breve soggiorno a Genova, ne ri­partì nel 1706 per Parma: eseguì in quell’occasione il Ritrat­to di Elisabetta Farnese (forse da identificarsi con il ritratto della futura sposa di Filippo V, giovinetta, conservato a Par­ma presso l’Ordine Costantiniano di San Giorgio).

Ritrat­to di Elisabetta Farnese

Si recò nel 1708 a Milano e nel 1709 fu nuovamente a Par­ma per eseguirvi fra l’altro il «ritratto del Principe Antonio Farnese a cavallo» (si conserva un Ritratto equestre del Mu­linaretto presso la Galleria Nazionale di Parma: potrebbe trattarsi di questo dipinto, o forse di quello anteriore, del Duca Francesco, eseguito a Piacenza, «che volle esser da lui un’altra volta ritratto; ma in figura grande al naturale, vesti­to d’armatura, e a cavallo. Il ritratto riuscì vivissimo» (Soprani-Ratti).

Ritratto di Francesco Farnese a cavallo

Nel 1714 eseguì il Ritratto di Elisabetta Farnese, firmato e datato, conservato a Piacenza, presso la Galleria Alberoni: probabilmente allo stesso momento va fatto risalire il Ri­tratto di Filippo V, Napoli, Museo di San Martino, marito di quella.
Più tardo dovrebbe essere il Ritratto di Elisabetta Farnese regina, Caserta, Palazzo Reale.
Dopo un breve soggiorno a Genova, fece ritorno a Piacen­za nel 1715 (il Mulinaretto era stato nominato pittore di corte dei Farnese): a questo periodo maturo dell’artista do­vrebbero assegnarsi il Ritratto del Conte Felice Gazzola, Piacenza, Museo Civico, il Ritratto di dama in azzurro, Genova, Collezione privata, contemporaneo al Ritratto di Annetta Scotti (1718) e quello di Annetta Tassi (Genova, Collezione privata, circa 1720), insieme al Ritratto di gentiluomo, Genova, Galleria di Palazzo Bianco, tutti pervasi di una certa ironia, provocatori, per così dire, che molto ri­sentono del modo di ritrarre del Ghislandi. Invitato nel 1719 a recarsi in Spagna, il pittore rifiutò sembra a motivo dell’età: questa non gli impedì però di trasferirsi a Napoli nel 1737, ove rimase sino al 1741, ricoprendo la carica di pittore di corte.  
Ritornato a Genova nel 1741, si trasferì presto a Monticelli d’Ongina nel Piacentino ove viveva il figlio: qui trascorse gli ultimi anni della sua vita quasi cieco e vi si spense nel 1745.
Numerose delle sue opere sono largamente distri­buite in collezioni private e pubbliche.

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