Giovanni Andrea De Ferrari

Genova 1598 – 1669

Giovanni Andrea De Ferrari nacque circa il 1598 dicendolo il Soprani morto il Natale del 1669 “d’anni 70 in più”, Belloni (1974) riporta il testamento del pittore steso l’8 febbraio 1669. Il giorno di Natale dello stesso anno morì e fu sepolto, secondo il suo desiderio, nella Chiesa di Santa Brigida.
Fu allievo dapprima di Bernardo Castello; «da esso havuto qualche principij, non s’inoltrò però molto seco».
Assai più lungo e proficuo fu il discipulato presso lo Strozzi, che lasciò solo quando le commissione per lui divennero tali da non poter più soddisfare la “stanza” del Cappuccino.
Dopo breve tempo passò agli insegnamenti dello Strozzi: il primo fondamento manieristico si arricchisce così con l’apporto di un colore ricco e corposo che sulla tela si concretizza in materia.
Le prime opere risentono dell’influsso del maestro anche nella scelta dei tipi iconografici e nel modo di trattare l’incarnato dei volti, tanto da essere i suoi quadri, spesso ritenuti opera del maestro.
Ma, mentre il colore dello Strozzi esalta la luce, quello del De Ferrari. diventa sempre più trasparente: risente delle opere di A. Van Dyck, presente a Genova, lo copia, ne studia a lungo i ritratti e nella moltitudine dei personaggi che il genovese affolla nei suoi quadri, isola i volti, sapientemente colti dal vero.

Non sono da trascurare infine gli influssi della pittura veneta, specialmente i dipinti del Bassano, e la presenza di artisti stranieri a Genova nella prima metà del Seicento, come Rubens e Velásquez, dal quale apprese una morbidezza di impasti di tipo spagnolo.
Nel ’34 il De Ferrari risulta elencato tra gli accademici di San Luca a Roma, ma tale titolo non implicava la presenza dell’artista in quella città.
Nella sua bottega si formarono molti artisti come il Grechetto, Valerio Castello, Bernardo Carbone, Giovan Battista Merano, Giovan Battista Croce.
In queste tele si rivelano l’interesse per la natura morta, per gli oggetti della vita quotidiana, espressi con una spontaneità che andrà via via esaurendosi nelle grandi tele.
Nel 1624 firmava e datava la tela con la Predica di s. Tommaso davanti al re delle Indie, eseguita per l’oratorio intitolato al santo, probabilmente contemporanea di quella raffigurante S. Tommaso condannato alla prova del fuoco, sempre nella stessa chiesa.
Di questi anni è pure il Martirio di s. Andrea per la chiesa dello Spirito Santo (Soprani, 1674, p. 257) ora in S. Maria dei servi, e le tele raffiguranti la Morte del giusto e la Morte del peccatore all’Albergo dei poveri. Inizia con queste opere il periodo delle grandi pale d’altare che si protrarrà fino al 1635 circa.

È il momento di maggiore fortuna dell’artista, anche se la ricca produzione va talvolta a scapito della qualità. Spesso sono gli aiuti a compiere gran parte dell’opera e le esigenze della committenza impongono schemi che tolgono al pittore parte della sua freschezza e spontaneità
Scrive il Soprani (1674): “intesa la virtù del novello pittore tutti furono avidi di recargli da operare… ebbe commissioni di gran tavole, e di smisurata grandezza e furono in tanta copia che io stesso stupisco dirlo”.
Nel 1630 firmò e datò l’Angelo custode per la parrocchiale di Santa Margherita Ligure e la Natività di Maria per S. Ambrogio a Voltri: il distacco dallo Strozzi è ormai completo.

L’artista si rivela padrone dei propri mezzi espressivi ed incline al naturalismo popolare di tipo spagnolo.
Di poco posteriore è la tela con l’Elemosina di s. Antonio, dipinta per la chiesa di S. Domenico ed ora nella parrocchiale di Montoggio, e il Transito di s. Giuseppe, per S. Francesco a Castelletto ed ora nella chiesa di S. Rocco; mentre l’anno seguente eseguirà la Madonna col Bambino e santi della parrocchia di Alassio (firmata e datata).
Del 1635 è un’altra opera di Alassio firmata e datata: la Madonna del Carmine.
Dopo il 1635 non abbiamo più opere datate, ma parallelamente e nel periodo successivo alle grandi pale d’altare, eseguiva per la committenza privata quadri di più modeste proporzioni dove, meno soggetto a rigidi schemi, esprimeva il meglio della propria produzione.
Giovanni Andrea De Ferrari
nei gesti appena abbozzati, nell’incrociarsi degli sguardi si stabilisce un rapporto psicologico intimo ed affettuoso tra i personaggi che emergono per effetto di luci ed ombre; e nella semplificazione del tema scompaiono molti particolari descrittivi ridotti ad alcuni brani di natura morta.

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