Bernardo Castello
Genova 1557 – 1629
Bernardo Castello nato a Genova, nel quartiere di Albaro, fu educato alla pittura nella bottega di Andrea Semino, poi seguì l’arte del Cambiaso, ai cui modi rimase fondamentalmente fedele nelle opere giovanili e, talvolta, anche nella maturità.
Dopo il 1575, a detta del Soprani, visitò le principali città italiane.
Fin dagli anni 1577-78, quando, chiamato come perito per una tela di G. B. Paggi, si comportò con quell’acredine concorrenziale verso i colleghi, che affiora fin dalle fonti più antiche e che forse condizionò il suo atteggiamento di scarsa apertura nella famosa querelle sulla nobiltà dell’arte, come si ricava da una lettera del Paggi stesso al fratello Girolamo, datata da Firenze 1591.
Le sue vicende biografiche e la sua complessa psicologia sono testimoniate dai due epistolari del Chiabrera (1591-1617) e del Marino (1604-1625).
La frequentazione dell’ artista con gli intellettuali del suo tempo ebbe inizio quando, nel 1586, si incontrò a Ferrara con il Tasso, presentato dal letterato A. Grillo, per l’illustrazione dell’ edizione genovese della Gerusalemme liberata del 1590, per la quale egli fornì ventidue disegni, incisi da Agostino Carracci e da Giacomo Franco.



La carriera di frescante ebbe inizio nel 1583 con gli affreschi della villa Lomellini Rostan a Multedo di Pegli: nell’Incontro di Coriolano e Veturia, tra le figure degli ufficiali romani, il Soprani identifica l’autoritratto (altre scene sono di collaboratori)
Databile al 1583 è una Lapidazione di S. Stefano nella chiesa di S. Giorgio dei Genovesi a Palermo, copia del dipinto genovese di Giulio Romano (un’altra versione, fornita per l’oratorio palermitano di S. Stefano, porta la data del 1619); mentre più puntualmente seminesca è la Madonna coi santi protettori della città, dalla cappella del palazzo Paride Doria in Genova (F. Alizeri, II, p. 621), attualmente nei depositi di Palazzo Bianco.
Il raffaellismo d’importazione e il manierisino locale sono quindi le due componenti della sua formazione stilistica.
Bernardo Castello viveva a Genova in dimestichezza con l’ambiente intellettuale (fece, per esempio, il ritratto del poeta Cebà, da cui si sforzava di trarre l’ispirazione e le idee per i temi da tradurre in affresco, ma tale frequentazione non gli giovò sul piano artistico, ché anzi ne condizionò la poetica sempre incerta tra mestiere e letteratura.
Tuttavia è fuori discussione il suo ruolo di mediazione tra la decorazione cinquencentesca e quella barocca, da cui rimase, comunque, escluso.
Nel 1588 venne nominato socio dell’Accademia fiorentina, la qual cosa, oltre che presupporre rinnovati contatti con
l’ ambiente artistico toscano, favorì la commissione, patrocinata dal Passignano e dal Cavalier d’Arpino, di una pala d’altare per S. Pietro (1604) e delle altre opere romane, tra cui un ciclo di affreschi a Bassano di Sutri (1605).
A Genova, naturalmente, il Castello ha lasciato la maggior parte delle sue opere ad affresco, sia come decorazione di palazzi privati, tra cui palazzo Spinola di via Garibaldi, sia di chiese cittadine, per le quali – oltre che per varie chiese delle riviere – svolse anche un’intensa produzione di pale d’altare, tuttora in situ.
Importante per l’impegno compositivo e per l’impianto chiaroscurale è un‘Ultima Cena nella chiesa di S. Antonino a Piacenza, per non citare le molte piccole tele con temi di sapore idilliaco come le Sacre Famiglie, spesso ripetute con aggraziate varianti.
Tra i suoi figli vi è il pittore Valerio Castello.
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