Genova 1920 -1995

Umberto Piombino ceramista ligure

Umberto Piombino inizia ad occuparsi di ceramica intorno agli inizi degli anni Sessanta lavorando, spronato dall’amico Emanuele Luzzati, presso i laboratori di “Pozzo Garitta” di Bartolomeo Tortarolo, detto Bianco d’Albisola.
Fin dalle prime opere lo stile di figulinaio appreso da Beatrice Schiappapietra è già nettamente delineato, e col tempo non cambierà sostanzialmente.
Soprattutto i suoi personaggi acquisiscono immediatamente una fisionomia ben identificabile, perché hanno tutti lo stesso volto, arrotondato e dal profilo “greco”, con il naso che prolunga la linea della fronte, e negli occhi, due forellini ben distanziati, un identico sguardo, sempre un po’ attonito e trasognato.
Le storie che li coinvolgono, fatti del Vangelo o scene di vita quotidiana, vengono narrate sempre coi toni affabili e distesi di una conversazione  amichevole.
Il periodo in cui Piombino inizia la sua attività è fra i più ricchi di fermenti nella storia della ceramica italiana, anni in cui si verificano un po’ dappertutto cambiamenti epocali.
Ad Albisola la sperimentazione e il gusto della rottura con la tradizione risalivano agli anni Venti, ai tempi delle “aeroceramiche” e degli “aerovasi” di Tullio e dei suoi amici futuristi, ma quelli facevano ormai parte della storia quando, nel 1954 arrivò ad Albisola il Gruppo Cobra con  Corbeille, Asger Jorn e Karel Appel, portando con sé un nuovo linguaggio, “barbaro” e brutalmente espressivo.
Nella spaccatura netta che contrappose gli informali e i concettuali ai realisti, furono i primi ad avere miglior stampa e a guadagnarsi il consenso della critica.
Negli anni Settanta opera come indipendente, nello studio di Lino Grosso in Albisola Capo.
Ci voleva un gran coraggio, in quegli anni, e parecchio ottimismo, a scegliere non solo la strada del figurativo ma a dedicarsi addirittura all’arte sacra.

In tempi così agitati e ricchi di provocazioni culturali, impressiona, da parte di Piombino, questa capacità di scegliere immediatamente la propria strada, e di percorrerla senza pentimenti e senza farsi deviare da influssi esterni.
Se non l’unico, ad esempio, fu certo uno dei pochissimi in Italia a non farsi impressionare dalla ceramica di  Picasso.
Umberto Piombino mostra una tale sciolta naturalezza che forse si potrebbe dire di lui quello che Bontempelli diceva di Arturo Martini, e cioè che “pensa in ceramica”.
Colpisce in lui questo rispetto per il mestiere che si manifesta nella esecuzione accurata di ogni particolare e che gli impedisce di essere ripetitivo.

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