Monza 1898 – Milano 1987
Guido Pajetta pittore che ha operato in Liguria
Guido Pajetta nel 1915 si iscrive al primo “corso artistico di pittura” della Regia Accademia di Belle Ari di Brera a Milano, corso tenuto dal pittore Cesare Tallone.
Insieme a Pajetta si iscrivono altri giovani allievi che in seguito diventeranno artisti affermati: Contardo Barbieri, Angelo Del Bon, Virginio Ghiringhelli, Arnaldo Carpanetti, Umberto Lilloni.
E’ il 1920 quando si iscrive al corso di nudo sempre insieme ai giovani compagni d’Accademia.
In questi anni Pajetta frequenta anche alcuni allievi di altri corsi di pittura (Cristoforo De Amicis, Francesco De Rocchi, Giuseppe Novello, Iras Baldessari ecc., iscritti al primo corso nel 1920), di scultura (Fausto Melotti e Arturo Carrera) e di architettura (Pietro Lingeri, Bruno Fontana) e nel 1922 termina gli studi all’Accademia di Brera con menzione onorevole.
Terminato il percorso accademico con la partecipazione all’ Esposizione d’arte nazionale della Regia Accademia di Brera e Società per le Belle Arti, il giovane Guido conosce Anselmo Bucci e Mario Sironi, rimanendo affascinato dal clima internazionale che si respira in Novecento Italiano.
Nel 1928 vi è la sua prima partecipazione alla Biennale di Venezia, dove conosce Lucio Fontana, con il quale stringe uno strettissimo rapporto di amicizia e stima reciproca.
Durante la prima Biennale veneziana incontra anche Massimo Cassani, noto gallerista milanese operante su scala internazionale.
Quest’ultimo gli darà il sostegno principale nella sua milanese Galleria del Lauro.
Il giovane Pajetta nel 1929 viene invitato alla Seconda Mostra di Novecento Italiano, ma unitamente ad altri artisti, tra cui l’amico Bucci e Dudreville, rinuncia a esporre i propri dipinti.
Con Anselmo Bucci manterrà da allora un rapporto di amicizia e di stima.
Guido Pajetta nel 1930 espone alla XVII Biennale di Venezia; Mostra d’Arte Italiana, Barcellona.1931 e Prima Quadriennale d’Arte Nazionale a Roma; nel 1932 è presente in modo più consistente alla XVIII Biennale di Venezia e poi ancora viene invitato alla XIV Biennale di Venezia (1934) ma il dipinto inviato, Piazza Venezia, viene escluso dal catalogo e dall’esposizione.
Nel 1931 e poi nel 1939 partecipa alla Quadriennale nazionale d’arte di Roma.
Influenzato da Sironi e dal clima di Novecento, partecipa nel 1933 al grande ciclo di affreschi della V Triennale di Milano, inizia a guardare con interesse crescente verso un panorama più internazionale, intanto sono documentate le prime frequentazioni della Liguria di Levante e in particolare modo Sestri Levante.
Nel 1934 si trasferisce a Parigi ove vi è dapprima un’adesione al movimento surrealista e un crescente avvicinamento al Cubismo e alle opere di Picasso e Braque, e poi un crescente interesse per i Fauves francesi. In questi anni si avvicina a Dufy e Othon Friesz. La fine degli anni ’30 lo vede vicino ai chiaristi, anche se con caratteri suoi personali. Alla fine degli anni ’40 la sua arte incontra un nuovo mutamento stilistico avvicinandosi alle influenze di Picasso, conosciuto durante i suoi soggiorni parigini, del postcubismo, all’espressionismo con un ripiegamento verso una maggiore sofferta interiorità.
Nel 1952 soggiorna per la prima volta a Londra, volgendo nuovamente il suo sguardo verso un clima internazionale, espone al fianco di Amedeo Modigliani nella mostra “Modigliani drawings – Pajetta paintings” alla galleria Roland, Browse & Delbanco.
Nel 1963 l’artista decide di allestire un secondo studio nel vecchio centro ligure di Sestri Levante, da lui già frequentato negli anni Trenta; nello stesso anno Pajetta considera chiuse le sue esperienze europee e decide di esporre in permanenza alla Galleria del Lauro a Milano.
Dal 1963 al ’72 risiederà stabilmente nei mesi primaverili ed estivi a Sestri Levante, in un piccolo appartamento-studio affacciato sulla “Baia del silenzio” di questo periodo ci ha lasciato impareggiabili lavori atmosferici carichi di lirismo di carica introspettiva.
Di questo periodo è documentata anche la frequentazione con la pittrice Dina Bellotti anche lei in soggiorno a Sestri Levante nel periodo estivo.
Il 4 luglio 2019 viene inaugurata “Guido Pajetta. Miti e figure tra forma e colore”, importante mostra antologica curata da Paolo Biscottini che ripercorre la poetica e la produzione complessiva dell’artista, presso Palazzo Reale di Milano.
Guidi Pajetta nella sua lunga carriera ha attraversato quasi interamente il secolo scorso, incontrandone gli stili e i personaggi più importanti ma, nonostante i numerosi sodalizi artistici e le innegabili influenze, rimane una figura anomala all’interno di questo contesto.
Non gli interessa infatti legarsi e identificarsi con uno stile, tanto che si allontana da qualunque movimento artistico riconosciuto per non essere limitato nel proprio fare arte. È piuttosto un artista che dipinge spinto dal proprio inconscio, dalle proprie inquietudini, dal proprio istinto e dai propri demoni.
Nella vasta fortuna espositiva di Pajetta, questa mostra risponde all’esigenza di riscoprirne la storia dalle origini alla morte. L’attenzione si pone tanto ai rapporti di Pajetta con il panorama artistico milanese legato a Novecento e soprattutto a Sironi, quanto al suo successivo desiderio di entrare in rapporto con la produzione europea, e in particolar modo francese, con uno specifico interesse per il Cubismo e il Surrealismo. È proprio in questo ambito che Pajetta sviluppa una precisa attenzione per un realismo di marca introspettiva che lo accompagnerà nel tempo, facilitato da uno stile corsivo e antimimetico, a cui certamente giova l’adozione del colore acrilico a partire dal 1967.
Nel suo lavoro – afferma Paolo Biscottini – Pajetta pare sempre più impegnato nella ricerca di una verità recondita e forse anche di una nuova coscienza di sé.
Affiora il senso di un’angosciosa solitudine a cui non pongono rimedio né il successo di critica e di mercato, né la tenacia nel lavoro o la vasta cultura letteraria.
Tormentato dalle proprie ossessioni, l’artista si affida all’immagine come a una sorta di travestimento o di alter ego.
Nel suo percorso Pajetta è attento a tutto e a tutti: nulla dei linguaggi artistici gli sfugge, tanto che spesso nella sua pittura si notano affinità con i numerosi autori con cui viene in contatto.
È consapevole che l’arte si nutre di un continuo confronto ma anche che non esistono uno stile e un linguaggio unici capaci di esprimere il suo vagabondaggio psicologico, in cui fantasia e ossessioni si mescolano al senso tragico della vita e all’incessante e tormentata ricerca della propria verità.
Il gesto pittorico di Pajetta, a volte leggero e veloce, altre volte graffiante e marcato, muta in continuazione.
Ma se nel corso della sua carriera l’artista cambia la forma della sua pittura e si mantiene sempre in bilico tra figurativo e astratto, non è così per i contenuti, tutti riconducibili alla ricerca di sé e di sé nella storia.
Guido Pajetta ha saputo adoperare tanti linguaggi in funzione di quello che era il suo obiettivo di analisi interiore.
È stato, fino alla fine, un artista spinto da impulsi che l’hanno portato a trattare motivi, a voltelirici a volte drammatici, generati da emozioni e da esperienze autentiche perché frutto delle sue passioni e delle sue ansie.