Genova 1882 – 1917
Eugenio Olivari pittore ligure
Eugenio Olivari figlio di un ricco armatore, si dedicò all’arte senza aver maestri e senza perseguire scopi di lucro. Dipinse marine e paesaggi animati, nei quali rispecchiò il suo delicato sentimento e la sua aristocratica personalità.
Nel 1899 si iscrive all’Accademia ligustica di Genova, studiando, nel frattempo, col pittore Giovanni Quinzio.
Il suo esordio avviene nel 1903 quando espone Mattino di marzo in Liguria, ( la sua prima opera presentata al pubblico), alla Promotrice genovese, (dove continuerà ad essere presente dal 1906 al 1916.
Mattino di marzo in Liguria, 1906
Nella sua pittura, inizialmente legata al tonalismo dei Grigi, avviene una svolta dopo l’incontro con i fratelli Cominetti e con Plinio Nomellini conosciuto nel 1902. Inizia così l’ esperienza divisionista che lascerà segni profondi nella sua pittura; frequenta assiduamente il Gruppo di Albaro.
Verso il 1905 Olivari prese uno studio in via Montaldo e nel 1906 si iscrisse alla “Società di letture e conversazioni scientifiche“, luogo d’incontro di pittori e letterati.
Approfondisce la sua cultura artistica attratto, particolarmente, dalla pittura dell’800 (Corot e Fontanesi).
Nel 1906 partecipa all’importante Mostra per l’Inaugurazione del traforo del Sempione.
Nel 1907 partecipa per la prima volta alla VII Biennale di Venezia (poi nel 1909, 1910, 1912), in questa occasione il re acquista il dipinto “Paese”.
Nel 1908 espone, tra l’altro, alla II Quadriennale d’arte di Torino e sempre nello stesso anno conosce Rubaldo Merello.
Nel 1911 prende parte all’ Esposizione della Promotrice di Torino (nuovamente nel 1913 e 1914).
Nel 1913 e 1915 partecipa alla Mostra della Secessione romana e all’esposizione di Monaco di Baviera.
Il 1914 è, per Olivari, un anno di profonda crisi artistica; rinuncia alle Esposizioni di Venezia e Roma partecipando, però, alle Promotrici di Genova e Torino.
Già dalle opere esposte si fa notare.
In Olivari, l’intenzione di percorrere una nuova strada che lo porta a prediligere i toni chiari (forse memore delle opere di Monet) ed una maggiore ricchezza di colori.
E ciò distingueva queste sue ultime opere dalle precedenti dove prevalevano, invece, toni più scuri (grigi argentei).
Eugenio Olivari dipinge paesaggi, marine, interni con figure e nature morte.
Numerosi i suoi studi dal vero sulla collina d’Albaro e nelle pinete di Arenzano e Varazze.
La sua pittura, nel paesaggio, risentedell’ amore per il francese Corot: l’amore per la pittura dal vero, lo studio delle nuvole e della natura tutta.
Dalla sua pittura traspare una grande poesia unita ad un certa vena malinconica; l’Olivari, amando vivere all’aria aperta (anche per esigenze di salute), frequentò e raffigurò i giardini di numerose ville: Villa Gavotti ad Albisola, Villa Hanbury a Ventimiglia, Villa D’Oria a Principe ed alcune ville ad Albaro.
Eugenio Olivari, causa la sua precoce scomparsa, eseguì un numero di opere limitato, specie bozzetti, che dimostrano il suo desiderio di studiare e di elaborare in modo organico la sua opera.
Egli si dimostra artista di grande sensibilità, di qualità assai elevata che s’inserisce a pieno titolo tra i maggiori pittori liguri dell’800.
Nel 1916 partecipa, a Milano, all’Esposizione Nazionale e alla Biennale di Brera.
Le sue ultime opere rivelano una ulteriore accentuazione dei toni e della luce.
Dipinse marine e paesaggi animati, nei quali rispecchiò il suo delicato sentimento e la sua aristocratica personalità. Non produsse molto, perchè ogni suo quadro era preceduto da lunghi studi, intesi a comporre armonicamente le masse, a dar un ritmo decorativo ai colori.
Sue opere figurano presso la Galleria d’Arte Moderna di Genova Nervi, al Palazzo del Quirinale a Roma, alla Galleria d’Arte Moderna di Torino.
Altre sue opere: Crepuscolo a Viareggio; Regate a Portofino, proprietà reale; Pioggia a Genova; Villa Grassi a Sampierdarena; Il terrazzo; Piazzetta e via San Lorenzo; Presso la fattoria, nella collezione del comm. Vittorio Della Grazia di Milano.
Altri due quadri sono nella Galleria d’Arte Moderna di Genova; e numerosi presso collezionisti privati specialmente della Liguria.
La pittura divisionistica lascia una traccia indelebile nel linguaggio di Eugenio Olivari: ne deriva un sostanziale arricchimento del tono, una capacità di dilatare la risonanza dell’immagine e il suo spazio in quelle accensioni improvvise di colore che, in modo particolare nelle ultime opere dell’artista, richiameranno quasi l’esperienza “fauve”.
Olivari, al di là del tirocinio artistico d’obbligo sulla tradizione ligustica, si formò del resto una cultura tutta sua.
È probabile che, oltre la frequentazione di Plinio Nomellini, il quale importava a Genova una cultura ricca di riferimenti simbolisti e attenta alla grande avanguardia europea dell’impressionismo, le assidue visite di Olivari al cenacolo genovese delle “Letture Scientifiche”, abbiano dato modo al pittore di prendere visione, attraverso le riproduzioni degli albums d’arte e delle riviste, sia delle opere dei paesisti inglesi dell’Ottocento, sia dell’esperienza del postimpressionismo francese. I piccoli interni dipinti da Olivari in quegli anni rivelano si l’assimilazione del delicato linguaggio tonale “grigio”, ma presentano una semplificazione e un ribaltamento dei piani tonali accostati in un’intimità di ordito pittorico che ricorda Vuillard, e più generalmente certe soluzioni “nabi”.
Fondamentale in questa prima fase è l”amicizia con Angelo Balbi e Federico Maragliano.
La delicatezza di temperamento di Balbi, per molti versi analoga a quella di Olivari, cementò un’amicizia che non venne mai meno.
Maragliano influenzò certamente Olivari, se ancora in anni più tardi questi conservò, nelle opere di maggior dimensione, un rigore d’impianto e un’attitudine descrittiva che gli derivano da un’assimilazione dei modi stilistici dell’amico.
Certamente Olivari guardò con ammirazione a Plinio Nomellini, che intorno al 1900 era ormai uscito dalla pura esperienza divisionistica e andava impostando una sua immagine visionaria, nutrita dalle suggestioni dei preraffaelliti, dei simbolisti, di Von Stuck, Klimt, Hodler. Non altrimenti si spiegherebbero il silenzio “metafisico” di certi angoli di giardino di Olivari, l’aria sospesa in cui le presenze immote sembrano vivere nella misteriosa e silente ora di natura.
Olivari si formava in un ampio cerchio di suggestioni; a questi anni è probabilmente riferibile un Autoritratto forte d’impianto e vivo in quella formulazione tonale dell’immagine che già aveva dato stupende prove per mano di Tullio Salvatore Quinzio: ma quanto più assorto, ritirato nell’ombra dello sguardo che s’indaga, costruito sulle sghembe del profilo angoloso, immagine degna della ritrattistica europea d’inizio secolo. Il dipinto non ha eguali se non nelle opere di Dante Conte e nei ritratti psicologici di Dario Bardinero.
Nemmeno Domenico Guerello, il più raffinato ritrattista del Novecento in Liguria, è giunto ad immagini di tale risentita espressività.
L’Autoritratto è tuttavia un’eccezione nell’opera di Eugenio Olivari: l’artista persegue infatti solitamente una «stante più sua, di riflessione e di pacata emozione sui dati del paesaggio e raramente affronta la figura.
A quali risultati sia giunto Olivari nell’innesto del divisionismo sulla matrice tonale grigia è documentato dal dipinto La casa di Plinio Nomellini.
Esso si presenta come un omaggio al pittore livornese, che più volte aveva dipinto quel soggetto in un’impostazione divisionistica ortodossa, ma non priva di quelle delicatezze tonali che si ritrovano anche nel dipinto di Olivari.
Il divisionismo appare ricondotto in Olivari ad un lirico sentimento della luce-ambiente: le pennellate si sfaldano diffondendosi in tonalità grigio e argentee. E il delicato ductus del segno-colore accompagna il distendersi dei tralci nel pergolato d’inverno contro la luce chiara: immagine di sereno abbandono all’emozione, esempio di quel naturalismo lirico che distingue la produzione più intensa dell’artista.
(Gianfranco Bruno, 1987)