Vasto (CH) 1883 – Torino 1969

Nicola Galante pittore che ha operato in Liguria

Nicola Galante nel 1907 si trasferisce a Torino, come lui stesso ammette “principalmente per perfezionarmi nella mia professione, piuttosto che in cerca di lavoro, poiché a Vasto io e mio padre avevamo una buona bottega artigiana”. e da allora è vissuto qui, salvo le parentesi della guerra 1915-18 e le brevi sortite verso la terra natale verso la terra dell’anima: Firenze, dove aveva trascorso due mesi, quelli di immediatamente prima del richiamo alle armi, per conoscere di persona gli uomini che aveva amato da lontano: Soffici, Papini, Prezzolini, de Robertis, Vallecchi; il gruppo degli scrittori e degli artisti di Lacerba che per primi avevano accolto le sue xilografie.
Il pittore e scenografo Enrico Prampolini, negli anni ’20, a proposito dell’artista si esprimeva in questi termini: “Nicola Galante è un rude animatore di paesaggi silenti, fatti da lui viventi e plasticamente lirici nel legno, suo elemento di genesi e di trasfusione spirituale”, e aggiungeva, “Egli è indubbiamente il più forte xilografo d’Italia”
A Torino il giovane artigiano diplomato alla scuola industriale di Chieti si trasformava lentamente in artista e il lavoro quotidiano da ebanista si trasformava la sera e nei giorni di festa in quello dell’incisore.
A ciò lo incoraggiava un altro forestiero, un certo Curt Seidel; un tedesco, morto tragicamente, che preparava disegni per pizzi e collaborava a qualche giornale o piccola rivista.
Insieme diedero forma e vita ad un volumetto: “Torino mia” che conteneva le “Impressioni d’uno straniero” e undici xilografie di Galante.
Era il 1911, la preistoria dell’arte moderna a Torino; quando Casorati non era ancora di scena e i compagni che Galante avrebbe avuto poi nel gruppo dei “Sei pittori di Torino” erano appena ragazzi, sicché la sua presenza nel gruppo, più tardi, fu per forza la meno polemica ma anche la meno occasionale.
Nel 1914 presenta alla Secessione romana alcune xilografie e sempre in quell’anno ne invia. due (Pese del Lingotto e Paese con i tre camini) alla mostra internazionale dell’ incisione di Stoccolma.
Dal 1915 inizia un rapporto epistolare e collaborativo con Ardengo Soffici (nel solo archivio Soffici sono conservate 75 lettere e 22 cartoline postali), tramutata anche in collaborazione artistica con la pubblicazione di alcune xilografie apparse sulla rivista letteraria fiorentina Lacerba, fondata nel 1913 proprio dal Soffici e da Giovanni Papini. 
Dal 1922 Galante comincia a dipingere seguendo il proprio istinto, prediligendo le nature morte e i paesaggi.
Nicola Galante nel 1923 esordisce come pittore alla Quadriennale torinese dove espone acconto a De Chirico, Carrà, Tosi e Casorati  e l’anno successivo alla Biennale di Venezia e alla mostra “20 artisti italiani” ordinata alla galleria Pesaro di Milano.
Seguiranno anni di intensa attività con tante mostre personali e collettive, sia in Italia che all’estero, con consensi crescenti di pubblico e critica.
Nicola Galante nel 1929 entra a far parte del gruppo de “I Sei di Torino”, insieme a Jessie Boswell, Gigi Chessa, Carlo Levi, Francesco Menzio, Enrico Paulucci, ed è prorio in compagnia di quest’ultimo che inizia la frequentazione della Liguria.
Il critico e scrittore Mario Soldati, in occasione della prima mostra dei “Sei”, scrive: “Galante-artigiano è una falsa carta di identità- Galante è invece molto fine, molto signorile. Egli fa delle cose piccole… perché sa che è più di buon gusto, e ci sono maggiori probabilità di riuscita, a limitare la propria ispirazione e ad approfondirla”.
Qualche anno più tardi, nel 1937, il grande pittore e critico Carlo Carrà, scriverà su L’Ambrosiano: “Conosco Nicola Galante da vent’anni e posso dire che sempre egli è stato un raro esempio di rettitudine artistica. La sua arte non ammette lenocini di sorta, il suo realismo è di quello di buona
lega.
Nessuna vanità e nessun interesse materialistico ha mai spinto il nostro artista a sgarrare della sua linea. Serve la sua passione e nulla chiede. È questo il solo modo per arrivare all’arte che dura”.
Un sentimento lirico e meditativo della natura era già nello spirito di Galante, e la ricerca formale come discorso piano di segni e di colori, come conquista immediata dello spazio mentale, era già stata assimilata da lui sul vivo delle prime edizioni: Cézanne e gli impressionisti erano allora per lui soltanto delle idee che gli giungevano di rimbalzo dagli amici fiorentini; ma idee che si radicava nella sua mente e lo guidavano nel suo cammino così poco conformista.
Del resto, a dispetto della prima sensazione, l’opera di Galante ha sempre avuto questo carattere preminente di lavoro della memoria, di frutto della meditazione, raccolti in una zona astratta-astratta rispetto all’impressione-dove il ricordo dell’oggetto, la memoria della natura diventava già preveggenza e già calma contemplazione della sua forma inedita.
Sono gli anni in cui intensifica l’attività espositiva partecipando tra l’altro alle due mostre milanesi del Novecento Italiano e a quelle fiorentine del Gruppo del “Selvaggio”, alle collettive degli artisti italiani organizzate in Svizzera (Ginevra e Zurigo) e a Barcellona, alle Biennali veneziane del ’28 e del ’30.
E non meno rilevanti sono naturalmente le sue presenze alle storiche mostre a Genova, Milano e Torino.
Egli sarà però il primo ad allontanarsi dagli intenti artistici del Gruppo, proponendosi verso la metà degli anni Trenta pittore di nuovo attento alla compostezza del colore e al ruolo fondamentale del disegno.
La svolta definitiva, la più caratterizzante, la compirà poi sorprendentemente alla soglia dei settant’anni quando la sua pittura diverrà disponibile a semplificazioni formali sempre più accentuate e a tessiture cromatiche irreali, vivide e compatte, ponendo in poetico connubio dato reale e simbolo, spazi schematizzati e avvolgenti atmosfere.
Nel corso degli anni Cinquanta partecipa con rinnovato successo a tutte le Biennali veneziane e, sino alla scomparsa, alle Promotrici di Torino.
Negli anni sessanta è spesso in Liguria per villeggiatura dove ritrova amici ed intesse suove amicizie tanto che nel 1961 e 1962 è presente al prestigioso Premio Golfo di Spezia che è stato culla del miglior Futurismo.

Lerici 1961, (Premio Golfo della Spezia)

Tiene inoltre personali alla galleria Galatea e alla galleria La Bussola, dove nel maggio del ’70 gli verrà dedicata la prima retrospettiva postuma comprendente quaranta opere dell’ultimo periodo.
Tra le altre mostre che hanno ricordato l’artista restano importanti l’antologica del ’77 al Foyer del Piccolo Regio voluta dalla Città di Torino e, costanti negli anni, le collettive dedicate ai “Sei”.

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