Roma  1897 – 1963

Antonio Donghi pittore che ha operato in Liguria

Antonio Donghi frequenta il Regio istituto di Belle Arti di Roma e subito dopo il diploma, nel 1916, viene chiamati: alle armi e inviato in Francia.
Al termine del conflitto torna in Italia e per alcuni anni si dedica allo studio dei capolavori della storia dell’ arte conservati nel musei di Roma, Firenze e Venezia.
Nel 1922, partecipando all’Esposizione della Società Amatori e Cultori di Belle Arti di Roma, fa il suo esordio sulla scena espositiva nazionale; l’anno successivo è presente alla II Biennale romana, nella stessa sala dove sono esposte le opere d’ispirazione purista di Carlo Socrate e Francesco Trombadori.
Nel 1924 ordina due personali a Roma, una alla Galleria Stuard e l’altra alla Casa d’Arte Bragaglia.
Prende inoltre parte, invitato da Ugo Ojetti, alla Mostra di Venti artisti italiani alla Galleria Pesaro di Milano.

Carnevale, 1923

Le sue opere raffigurano soprattutto saltimbanco, giocolieri, cantanti e attricette di avanspettacolo immersi in atmosfere sospese e malinconiche.
La critica di quegli anni sottolinea spesso la mancanza di intellettualismo e l’atteggiamento candido e naif, ma la grande accuratezza formale, il disegno analitico dai contorni precisi, l colori smaltati e levigati, la luce chiara costruiscono una scelta poetica consapevole che, nella riscoperta di Piero della Francesca, Paolo Uccello e Masaccio, si inserisce a pieno titolo nel clima del cosiddetto ritorno all’ordine.
Antonio Donghi, infatti, nonostante lo scarso interesse a far parte di movimenti organizzati, si dimostra perfettamente aggiornato sul dibattito culturale promossi dal gruppo di Valori Plastici e dal circolo di intellettuali della “terza saletta” del Caffe Aragno.

Donna al caffè, 1931


Il suo lavoro suscita l’attenzione anche della critica tedesca: Franz Ron, nel 1925, lo inserisce tra i rappresentanti italiani del Realismo magico e nello stesso anno viene invitato a partecipare alla mostra Neue Sachlichkeit a Mannheim.
Nel 1926 vengono presentate dieci sue opere alla Exhibition of Modern Italian Art, mostra itinerante negli Stati Uniti, e l’anno successivo ottiene una personale a New York.
Nonostante il successo internazionale Donghi si sposta poco da Roma e un soggiorno di due settimane a Parigi nel 1928 gli provoca una certa delusione.
Pur rimanendo al margini del movimento, entra in contatto con il gruppo di Novecento italiano: nel 1929 partecipa alla seconda mostra organizzata da Margherita Sarfatti al Palazzo della Permanente di Milano e l’anno successivo è presente, seppur con un esiguo numero di opere, alla grande esposizione di Buenos Aires.
Gli anni trenta, caratterizzati da intenso impegno artistico e da un importante attività espositiva, consacrano la carriera di Donghi: dal 1926 partecipa con regolarità alla Biennale veneziana, nel 1931 espone con Francesco Di Cocco, Gisberto CeracchiniMario Mafai e Scipione alla I Quadriennale romana, tornando l’edizione successiva con un nutrito nucleo di opere.

Ritratto, XVIII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte di Venezia (1932)
Giocoliere, 1936

Nel 1932 presenta una mostra individuale alla galleria romana di Dario Sabatello.
L’Accademia di Belle Arti gli affida nel 1936 la cattedra di figura.
Dalla seconda metà degli anni trenta si dedica soprattutto al genere del paesaggio, presentando i risultati dei suoi studi dal vero alle principali esposizioni nazionali affianco ai più caratteristici quadri di Figura.
Nel  1935 espone alla II Quadriennale un gruppo di opere, presentandole anche con un proprio testo.
Nel 1940 è alla galleria Gian Ferrari di Milano. In questi anni s’interessa anche all’arte sacra e l’anno seguente l’Accademia d’Italia gli conferisce un premio per la sua attività di artista. 
Nel 1942 viene pubblicata da Hoepli la prima monografia a lui dedicata con un testo di Leonardo Sinisgalli.
L’isolamento in cui progressivamente si chiude nel dopoguerra, che lo tiene lontano dai più aggiornati dibattiti artistici, porta Donghi a una sorta di ripiegamento interiore anche nell’attività pittorica, in cui si nota un’esasperazione dei tratti più caratteristici della sua opera, come l’attenzione minuziosa per i dettagli e la propensione a creare scene rarefatte e bloccate.
Oramai  dipinge soprattutto paesaggi che esegue in occasione dei suoi consueti soggiorni soprattutto nell’alto Lazio, in Toscana (Lucchesia) e Liguria, soprattutto nei dintorni di La Spezia; continua anche a partecipare alle Biennali di Venezia (1952 e 1954) e alle Quadriennali romane (1951, 1955 e 1959).
In questi ultimi anni la sua arte si rivolge ad una rappresentazione quasi naïve della realtà.

Golfo della Spezia. Le Grazie, 1946
Autoritratto

Galleria