Milano 1885 – 1957

Raffaele De Grada pittore che ha oparato in Liguria

Raffaele De Grada  proviene da una famiglia nella quale si coltivava la pittura da generazioni.
Il padre Antonio che faceva il decoratore di carattere tiepolesco era amico di Eugenio Gignous e di Giovanni Segantini.
Per tentare la fortuna emigrò in Argentina nel 1890, poi in Svizzera (1899) a Zurigo dove quattordicenne, cominciò a dipingere i suoi primi paesaggi.
I primi acquerelli, datati 1899, sono piccoli studi dai toni verdi e grigi, fatti sui bordi del fiume.
Nel 1903 si iscrisse all’Accademia di Dresda, trasferendosi dopo due anni a Karlsruhe, dove restò sino al 1908, i suoi primi termini di riferimento furono Hans Thoma e il naturalismo tedesco.
Lo studio degli impressionisti francesi, già entrati a far parte delle collezioni tedesche, e la conoscenza di Cézanne, che poté direttamente osservare nelle collezioni di Reinhardt e Hahnlöser a Winterthur, influenzarono in modo fondamentale la sua pittura.
Nel 1912 era ad Anzio, nel 1913 in un paese nelle vicinanze di Orvieto, il 1919 segna il definitivo abbandono della Svizzera per San Gimignano, dove nel 1915 aveva sposato Magda Ceccarelli.

San Giminiano, 1925

È da questo momento che si può iniziare a parlare di uno stile personale nella sua pittura.
I suoi interessi principali si focalizzarono intorno allo studio della natura, della luce e del colore e in Italia l’artista iniziò nuove ricerche che, sulla base della lezione di Cézanne e della conoscenza dei primitivi toscani, lo portarono a una ricostruzione del paesaggio “moderna, quasi geometrica, ma sempre legata alla natura e allo stato d’animo”.

la sua prima personale a Firenze a palazzo Antinori è del 1921 e la partecipazione alla “Fiorentina primaverile” del 1922 gli procurarono un certo consenso tra la critica e gli artisti e determinarono il suo trasferimento, nel 1922, a Firenze.
La vita culturale a Firenze tra il 1920 e il 1930 era piuttosto vivace; vi abitavano letterati come Montale e artisti come, Soffici, Rosai e lo scultore Libero Andreotti.
Raffaele De Grada  frequentava la casa di quest’ultimo e ruotava intorno al gruppo “Giubbe Rosse” e ai letterati della rivista Solaria.
La sua pittura, che gradualmente si liberava dagli schemi primitivi, assumeva un tono di più ampio respiro, e venne notata dalla Sarfatti, da Sironi e da Carrà, con i quali strinse amicizia.
Nel 1922 era sorto a Milano intorno alla Sarfatti il “gruppo Novecento” e nel 1925 una commissione presieduta da Alberto Salietti, con il quale divenne amico e fu spesso ospite nella sua casa di Chiavari dove i due lavorano assieme sulla costa e nell’entroterra ligure talvolta assieme a Marussig, Tosi, Dudreville e Vellani Marchi.

Mare di Sori, 1935 circa

Lo stesso Salietti lo incaricò di organizzare la partecipazione degli artisti toscani alla prima mostra del Novecento che si tenne alla Permanente nella primavera del 1926 (Ponte degli Scopeti, Capraia e Paese).

Ponte degli Scopeti

Da questo momento in poi partecipò a tutte le mostre di “Novecento” in Italia e all’estero, anche se non si può parlare di una sua vera e propria adesione al movimento dal quale, pur condividendo le idee di costruzione e il ritorno alla primitiva purezza, si differenziava, come afferma Guttuso, per “la sua purezza, per il suo sentimento della natura, per la sua onestà nel guardare, nel capire, nel trasporre. Senza sovrapporsi alla natura, senza preconcetti linguistici”
Nel 1928 la Biennale di Venezia (alla quale aveva partecipato già dal 1920) ospitò per la prima volta una sua personale e nel 1930, dopo alcune mostre fortunate decise di stabilirsi a Milano.

Sono di questo periodo alcune nature morte dai toni caldi, vasi di fiori e cesti di frutta, e alcune vedute del Lambro (Paesaggio a Vedano sul Lambro, 1936, Carate Brianza, La Valle del Lambro alla Casa Rossa, 1937) e della periferia di Milano, quella stessa raffigurata da Boccioni agli inizi del secolo.
Ottenne la cattedra di disegno e figura all’Istituto superiore d’arte di Monza, dove ebbe come colleghi Arturo Martini, Marino Marini, Pio Semeghini, Achille Funi; ma, a causa del suo rifiuto di prendere la tessera del partito fascista, fu costretto a lasciare l’insegnamento allo scoppio del conflitto.
Attraverso il figlio Raffaele, che si dedicava alla critica d’arte, il suo studio iniziò ad essere frequentato dagli artisti più giovani, come Guttuso, Birolli, Manzù; negli ultimi anni della sua vita divise il suo soggiorno tra Milano e la Toscana da lui tanto amata.
Tra le mostre postume ricordiamo quella organizzata dalla Biennale di Venezia un anno dopo la sua scomparsa, quella della Quadriennale romana nel 1959 e la vasta rassegna del 1976 alla Rotonda della Besana (Milano).
Ora se l’immagine di Raffaele De Grada, consegnataci dalle testimonianze dei suoi con­temporanei, è sicuramente quella di un uomo appartato e di un artista interamente de­dito alla pittura, “mite e schivo il De Grada, lavora con raccolta umiltà”, secondo il giu­dizio di Carlo Carrà nel 1928, si dovranno esaminare le ragioni anche culturali che vi si posero alla base e che furono specifiche dell’esperienza del fare pittura come ascolto, ma anche come osservazione critica rigorosa di quella realtà che andava a cer­care ventenne sulle Alpi svizzere e nella maturità nella pineta di Forte dei Marmi e Vit­toria Apuana, sotto gli occhi di Eugenio Montale “arrancante su una vecchia bicicletta, armato di tavolozza, treppiedi e pennelli, sempre in moto alla scoperta del motivo”.

Immagini che hanno certamente il sapore caldo di tutta la pittura tra otto e novecen­to, dei macchiaioli e degli impressionisti; ma sono immagini ricordi che possiamo at­tribuire a Cézanne, l’artista più amato e studiato da De Grada, e con esso vedere rifon­data la pittura, oltre la liricità e l’intimismo del naturalismo verso l’essenza strutturale della natura.

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