Genova 1817  –  1891

Giovanni Battista Cevasco scultore ligure

Giovanni Battista Cevasco  si formò frequentando presso l’Accademia ligustica  i corsi di G. B. Garaventa;  nel 1841,  grazie a un modello in creta raffigurante Agar ed Ismaele, fu nominato “accademico di merito” per la scultura.
Tra i suoi primi lavori, oltre al citato Agar ed Ismaele, sono un gruppo scultoreo in legno dipinto raffigurante la Pietà, ideato per la chiesa di S. Andrea a Novi Ligure dove ancor oggi si trova e una statua, Il Balilla.
Quindi “con eguale spontaneità dall’affettuoso passò al leggiadro e dalla creta sul marmo, come tosto il march. Pallavicini gli fece adito a cose maggiori; e per più anni poté addestrarsi all’inventare e al condurre in quelle favole e allegorie che fan grazioso ornamento alla Villa di Pegli” (Alizeri, 1866).

Villa Durazzo Pallavicini a Pegli (Genova)


Per la stessa villa eseguì la statua in marmo di Clelia Grimaldi Durazzo, della quale aveva presentato il modello nel 1857.
Collaborò con i più illustri artisti liguri dell’epoca (quali Barabini, Freccia, Gianfranchi, Svanascini, Franzoni, Revelli) alla definizione del monumento a Cristoforo Colombo in piazza Acquaverde, a Genova; scolpì i busti di parecchi illustri personaggi della Genova contemporanea, per lo più conservati a palazzo Tursi.
Per il cimitero genovese di Staglieno eseguì due statue raffiguranti la Speranza e la Carità, situate ai lati dell’ingresso alla cappella dei Suffragi, e inoltre numerosi monumenti funerari.

Artista provinciale, legato alla scuola naturalistica locale, trascorse tutta la vita a Genova dove aveva uno studio avviato ed era assai stimato.
Solo poche delle sue opere si trovano al di fuori della Liguria, e di una sola si sa per certo che varcò i confini del Regno di Sardegna, cioè “quel simbolo della Risurrezione ch’egli ideò in tre figure pel Pantheon di Lima” (Alizeri, 1866) che, terminato nel 1858, suscitò l’ammirazione dei visitatori del suo atélier .
Giovanni Battista Cevasco  eseguì inoltre un S. Sisto esposto al pubblico nel 1856, forse in occasione dei lavori che sembra egli abbia compiuto nell’omonima chiesa genovese, e un monumento sepolcrale per il Gambaro, il cui modello in bassorilievo era esposto nel 1858 assieme al “busto dello stesso Gambaro, eseguito con ammirabile accuratezza e di una parlante somiglianza” Artista “non mai contento della propria industria”,  si scagliò “contro il basso verismo i cui prodotti sono inquinati dalle crudità d’un vero che vuolsi a bella posta volgare anziché ingentilito dal soffio di quell’ideale onde sfolgora il bello…”, come scrisse al fratello in una lettera del 30 ott. 1881
Oltre che scultore apprezzato fu pubblicista impegnato e partecipò attivamente alle vicende politiche ed alla vita sociale del suo tempo.
Tra l’altro affermò che “quell’artista che non sente i doveri di cittadino, che si sta indifferente a tanta vita che oggi si agita intorno a noi, è un ente fuor della sua natura che tradisce il suo destino, che tradisce la sua missione…”, per continuare, dopo un elogio di Carlo Alberto, Pio IX e Leopoldo II, sostenendo che “noi artisti … dobbiamo per quanto è da noi cooperare ad erigere il grande edifizio della civiltà”.

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