Parma 1838 – 1909
Guido Carmignani pittore che ha operato in Liguria
Guido Carmignani dimostra prestissimo il suo talento artistico come “pittore paesista” e gli ambienti letterari e artistici di Parma assistono meravigliati allo sviluppo del giovane prodigio.
Spinto e agevolato dal padre Giulio, tipografo e pittore, intraprende subito viaggi di studio per conoscere pittori e opere, ma anche per vedere paesi e cercare “motivi”, “perche il naturale non viene nella stanza del paesaggista” come egli scrive in una lettera.
A vent’anni è a Parigi dove incontra Pasini e De Tivoli e partecipa ai raduni di Barbizon, e verso la fine del soggiorno, quando sta per tornare scrive al padre: “non mi troverai infrancesito ma più parmigiano di prima”.
E’ stato un artista molto attivo, desideroso di novità, di rapporti, di onori, seguiva, e compiva le più varie esperienze, informato e attento, a volte si trovava entro la moda, a volte toccava l’avanguardia; ma poi amava dipingere i luoghi caratteristici, popolari e nascosti nella città, i borghi, lo “stallaggio di San Uldarico”, gli archi medievali di “via delle Scuderie”, amava andare fuori porta, seguire il corso dei Cinghie e del Baganza e trovare là l’ora giusta dei suoi paesaggi, amava riprodurre i paesi, le colline, i monti dell’Appennino.
Probabilmente era una persona introversa, difficile, ebbe amici, ma non moglie né una famiglia sua; e Ascanio Alessandri che scrisse un breve libro su di lui ad un anno appena dalla sua morte, e si rivela fonte attendibile anche se ingenuo commentatore, descrive molte sue stravaganze.
Insegnava a Brera e scriveva poesie in dialetto per gli almanacchi parmigiani.
La sua opera partecipa, nel complesso, pur con tutte le sue incongruenze, al grande movimento realista che attraversa l’arte italiana nella seconda metà del secolo, ma non risulta che egli condividesse né ideologicamente né con i fatti le posizioni democratiche e interventiste di molti protagonisti di quel movimento; era anzi un deciso conservatore.
Nel 1854 esordisce all’Esposizione della Società d’Incoraggiamento di Parma.
Dal 1862 è stato professore di paesaggio all’Accademia di Parma, vinse l’anno dopo una medaglia d’oro a Bologna con una Veduta di Cuneo; per i cinquant’anni che durò la sua attività dipinse moltissime opere, eseguì molte repliche; lungo è l’elenco dei quadri inviati alle Promotrici di Parma, Genova, Torino, Firenze, a mostre di Roma, di Milano, di Bologna, di Trieste.
Ha lavoravato intensamente per mostre in Italia e all’estero: a Vienna, nell’anno 1873, espose l’Agguato; Sulla Senna a Bougival, presentato alla Mostra nazionale di Parma del 1870, e riesposto nello stesso anno a Torino; mentre la Società di incoraggiamento parmigiana gli acquistò nel 1873 Cavalleria orientale che attraversa un deserto e l’anno dopo il Monte di pietà di Fiorenzuola riceveva in sorte Cavalleria.
Non sono documentati i suoi rapporti con artisti di altre regioni, ma era un pittore conosciuto; Cristiano Banti a Firenze acquistava sue opere, e l’insegnamento a Brera gli valse di essere maestro a Giovanni Segantini.
Con un simile retroterra psicologico e culturale la sua opera non è nel suo insieme unitaria, come quella del padre, anzi mostra delle varietà, dei movimenti, dei ritorni, delle divaricazioni, che a volte danno il senso di un eclettismo avventuroso, e che rendono difficile spesso leggerne la sequenza cronologica.
Resta però un carattere che corre ininterrotto sul fondo, come una interna vena, una naturale spinta in corrispondenza con i tempi, ed è la visione realistica, che si screzia, si altera, o si muta al richiamo di sensi romantici, di coinvolgimenti naturalistici, di attrazioni veristiche, di giochi bozzettistici, di modi orientaleggianti, di nostalgie troubadour, ma non si perde mai.
Al contrario di quanto succedeva sulle tele del padre, non c’è mai neppure una traccia di idealismo nella sua opera, mai aura né velo di astrattezza, mai fissazione nell’immobilità del tempo; molto moderno in questo, pittore nato al centro di un secolo di predominante materialismo.
Cose che appaiono chiare anche nei disegni dei taccuini usati da Guido durante i viaggi, o i suoi soggiorni, a La Spezia, il suo occhio si muove da seguire la descrizione minuta a segnar velocemente le forme, da abbracciare grande spazio a fermarsi sui corpi immobili; tra la precisione formicolante di rocce, anfratti ed alberi su per L’isola Palmaria che, realizzato in pittura, come era nell’intenzione dell’artista a giudicare dagli appunti sui colori, sarebbe riuscito a un parallelo molto stretto con Monti a Varese, il gioco felice dell’intreccio di alberi e vele in Barche pescherecce a Portovenere, lo sfondato di luce e distanza marina in La spiaggia del mare da Massa, ancor memore della prima Veduta di Parma, e, d’altro lato, il tentativo di essere meno preciso e più vero bloccando con la violenza del chiaroscuro le rocce e i corpi dei lavoratori in un piano ravvicinato.
L’esperienza del mare ligure si traduce, nell’inverno, in un gruppo di quadri che verranno esposti alla Mostra della Società di Incoraggiamento del 1857; vi figurava, e probabilmente spiccava, Nebbia di mare a Portovenere, pezzo di bravura di gran tono, per quell’atmosfera che abbraccia nuvole, monti e marina, ma con la verità “povera”, popolare, dei lavoratori sulla spiaggia
La scoperta del rapporto diretto con la natura, il disvelamento degli occhi, il concetto nuovo, reale e poetico della materia, che sono l’anima grande di quel secolo, trovano in lui una costante, anche se eterogenea e non sempre precisa cioè filosoficamente motivata, applicazione.
Per questo entra, tanto meglio del padre Giulio, in quell’idea e in quell’area dell’arte emiliano-lombarda, che tra la grande civiltà toscana della “macchia” con le sue pur notevoli propaggini liguri e piemontesi, le dissolvenze venete, e il realismo poetico e “nordico” di Napoli, ha la sua verità e, anche nella circoscrizione regionale in cui si svolgeva e si rafforzava l’arte italiana, le sue consonanze europee.