Vado Ligure (SV) 1920 – 1962

Achille Cabiati pittore e ceramista ligure

Achille Cabiati “Un giovane alto e snello, con gli occhi profondi sottolineati dal contrasto dei baffi e da una chioma mossa e abbondante”: così si presentava il commissario ‘Michelangelo’ agli uomini del Distaccamento Nino Bori durante i duri anni della lotta di Resistenza.
Già, perché Cabiati, prima di essere partigiano era soprattutto un uomo d’arte e già all’età di quindici anni aveva sentito l’inclinazione per il disegno e la scultura, iniziò a lavorare come tecnico disegnatore e disegnatore meccanico nella fabbrica Servettaz di Savona, nella Fornicoke di Vado e nella S.A.M.R., ex Michallet.
Ebbe una formazione significativa a Roma, nei primi anni del dopoguerra, frequentando autori come Guttuso, Turcato, Consagra, dai quali venne tenuto in grande considerazione, ma la sua personalità era di certo già ben delineata, e certo coinvolta, come è stato messo in rilievo, da esperienze locali e particolarmente dal realismo e dal “verismo” di un Peluzzi, o da un senso della realtà più sfumato ed introspettivo, proprio di Gambetta o di Caldanzano.
Achille Cabiati nel 1947 fonda, con Andrea Pollero, Mario Bonilauri, e Luigi Caldenzano il gruppo sperimentale “Cavallino Rosso” con cui espone in due collettive.
E’ comunque sorprendente come, da un ambiente artistico che non sarebbe corretto definire ristretto, come quello sopra delineato, ma che pure gravitava non propriamente vicino alle grandi correnti dell’arte del Novecento, Cabiati rispecchi i modi di vedere e gli aneliti di queste e come possiamo considerarlo esponente dell’espressionismo e dell’astrattismo non sottraendolo, in ogni caso, ad una volontà di comunicare un messaggio di veristica immediatezza, che sicuramente è nota basilare della sua personalità.
I suoi ormeggatori, demolitori, operai, giovani con bandiera, di guttusiana corposità ed atteggiamento sono contesi dai “Tre costruttori della settembrata” che richiamano le figure di un Max Beckmann, con meno tragicità forse, con più di quel senso della tipicità quasi caricaturale presente già nella pittura fiamminga, per quanto la drammatica scena della tortura della partigiana Corradini ci riporti all’espressionista tedesco, specie da parte del personaggio seduto al tavolo, per non dire di una “Pescatrice” del 1959, che sembra fondersi od emergere dal contesto in cui è raffigurata, un’immagine per un certo verso ibrida, con atteggiamenti da mantide, che le danno così un risvolto quasi sacrale, mitologico, per altro verso enigmatica, fantasmatica, preludio a certe figure antropomorfe di anni appena successivi, quando non è invece una sorta di “nave fantasma” al centro della scena, inquietanti, quasi spettrali sagome di luce, apparizioni allucinanti in “paesaggi industriali” mentali!
In tali momenti la pittura di Cabiati riesce a rendere un’idea di incubo ancor più del pur penetrante espressionismo dell’età di Weimar, molto diversa da ciò che si può cogliere nei ritratti della madre, di tenerezza intensa, pur se una accentuazione di caratterizzazione, lascia pur sempre spazio ad un vedere introspettivo che obbedisce solo ai dettami artistici!
Ed anche i paesaggi, che possono sembrare la nota significatica, o una delle più cospicue, del lavoro di Cabiati, sorprendono per la diversità dei vari periodi e se abbiamo accennato a quelli da incubo, notiamo un vivo contrasto con certe marine e certe vedute di campagna iniziali, che ricordano momenti del varazzino Gugliemo Bozzano , se non rammentano panorami di Hodler, riportati su di un mare che può essere in parte nostrano; c’è poi una fase di bellissimi paesaggi astratti, raffiguranti immagini di spiaggia, prossimi all’idea di paesaggio di un Afro Basaldella, seppure con una maggiore impressione di “veduta dal vivo”, per poi approdare ad una Vado Ligure idealizzata, il cui panorama connotato dalle presenza dei fabbricati industriali, richiamante le periferie di Sironi, esprime un senso di osservazione realistica ma poetica, forse impietosa ma affettuosa, provocante ma sognante.
L’arte di Cabiati vuole essere di “impegno”, come messo in rilevo pure da Mario De Micheli, che gli fu amico personale, Cabiati sfugge in modo intrigante alle catalogazioni, pur essendo, nella vita, dichiaratamente schierato; i suoi paesaggi astratti mantengono una certa “ligusticità”, le sue figure di operai e di portuali ricordano la monumentalità dei personaggi del belga Permeke, la volontà di denuncia si mescola con l’estro rappresentativo, con la tendenza “estetica”; il quadro “Demolizione navi”, l’immagine dell’operaio, che si estrinseca e si realizza quasi solo nella gestualità, con le pennellate decise, quasi brutali, che evocano il mare, i fumi dell’officina, le lamiere, le macchine, in una fantasmagoria, comunque, che potrebbe sembrare pura espressività cromatica.
Achille Cabiati ceramista esordisce alla fine degli anni quaranta, le sue prime opere vengono cotte nei forni della “Manifattura Ceramiche Italia” di Ugo Michielotto ad Albissola Marina.
Nel 1951 ha conseguito il II premio alla Prima Mostra nazionale di pittura e scultura “Premio Vado Ligure”
Nel 1956, insieme all’amico ed esperto formatore Rivo Barsotti, fonda la manifattura la “Bottega” specializzata nella creazione e realizzazione di ceramiche d’arredo e complementi d’architettura.

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