Verona 1827 – Roma 1902
Vincenzo Cabianca pittore che ha operto in Liguria
Vincenzo Cabianca intraprende i propri studi in arte nel 1842, presso l’Accademia di Belle Arti, sotto la guida di Giovanni Caligari.
Nel 1846 passa all’Accademia di Venezia dove segue, con poca convinzione, i corsi del Clementini.
La città lagunare non lascia conseguenze visibili nella sua pittura, se non un certo interesse per le espressioni del Settecento veneziano e l’avviarsi della predilezione per il soggetto di genere, precisatosi negli anni successivi.
Nel 1848 è coinvolto dai moti di liberazione; nel 1849 partecipa alla difesa di Bologna.
Nel 1853, sempre per motivi politici, si trasferisce a Firenze dove, con Severini e Borrani, inizia a frequentare il nascente gruppo macchiaiolo presso il famoso Caffè Michelangiolo.
I primi esperimenti di pittura dal vero non hanno immediata rispondenza nella sua pittura, che rimane legata inizialmente legata agli schemi formali della pittura accademica di genere, esemplificata dalle opere che presenta regolarmente alle promotrici fiorentine.
Vincenzo Cabianca approfondisce l’interesse per la costruzione dell’immagine tramite i valori cromatici e luministici, prima adattato a quadri di genere, come Abbandonata, del 1857, e Goldoni giovinetto; poi, durante l’estate 1858 trascorsa a La Spezia con Signorini, ad opere eseguite “en plein air”.
Tra Vincenzo Cabianca 1859 e 1860, insieme a Banti, s’impegna in vere e proprie “spedizioni pittoriche” nella campagna tra Montemurlo e Piantavigne, riflettendo a fondo e applicando le nuove teorie “della macchia”.
Quadri come Rovine di San Pietro a Portovenere e Le monachine, esposto a Torino nel 1861, sono tra i suoi capolavori, e ne fanno uno dei pittori emblematici della fase iniziale della vicenda macchiaiola.
Tra i dipinti più significativi di questi anni, Liguria e Lo stalletto (GAM di Roma e Firenze).
Nel 1861 Cabianca visita Parigi insieme a Telemaco Signorini, senza restarne particolarmente impressionato; l’anno seguente torna in Toscana e dipinge a Montemurlo; non abbandona tuttavia il soggetto storico-accademico, se all’esposizione di Firenze del 1861 presenta i “Novellieri fiorentini del secolo XIV”.
La componente accademica si fa più evidente durante il soggiorno a Parma protrattosi per circa sette anni, dal 1863, con frequenti visite a Firenze e a Roma, dove si trasferisce nel 1870, stringendo amicizia con Nino Costa e ricominciando a dipingere dal vero piccoli quadri condotti secondo la tecnica macchiaiola.
Nel 1873 è a Castiglioncello con Federico Zandomeneghi, al 1875 e 1876 risalgono le visite ad Amalfi e a Capri con Nino Costa.
Nel 1886 su invito di Giuseppe Cellini, collabora all’illustrazione della edictio picta di Isaotta Guttadauro di Gabriele D’Annunzio.
Frequentando l’ambiente artistico capitolino nel 1887 è tra i fondatori dell’associazione In Arte Libertas insieme a Alessandro Morani, Alfredo Ricci, Alessandro Castelli, Nino Costa, Enrico Coleman, Mario de Maria, Norberto Pazzini, Lemmo Rossi Scotti e Gaetano Vannicola.
Nel 1873 è a Castiglioncello con Federico Zandomeneghi, al 1875 e 1876 risalgono le visite ad Amalfi e a Capri con Nino Costa.
Nel 1886 su invito di Giuseppe Cellini, collabora all’illustrazione della edictio picta di Isaotta Guttadauro di Gabriele D’Annunzio.
In questo periodo partecipa a mostre presso le maggiori europee e negli Stati Uniti ma, a causa di gravi problemi di salute, dal 1893 la sua produzione cessa, nonostante i suoi dipinti continuino a comparire nelle esposizioni, come l’ultima personale del 1902 presso la Società degli amatori e cultori di Belle Arti di Roma.
Nel 1860 [Cabianca] andò col Banti a raggiungere il Signorini alla Spezia, e là questi tre artisti si sfogarono a trattare gli effetti di sole, dipingendo delle donne portanti delle brocche d’acqua in capo, quando di tono sul mare, quando sotto l’ombra di un arco col sole in fondo e sul davanti del quadro; e a forza di studi, lavori e tentativi arditissimi fecero, in tutto il tempo passato alla Spezia, un vero progresso. […]
Nel 1859 (se non prima) Cabianca era sicuramente stato a La Spezia, poiché in autunno esponeva a Brera L’interno di un castello alla Spezia, “dipinto di paesaggio ad olio”.
Signorini del resto lavorava in Liguria sin dal 1858, avendovi realizzato il noto Merciaio di La Spezia che figurava alla promotrice di Firenze nella primavera del 1859.
Relativamente a Cabianca, i cataloghi delle promotrici restituiscono numerosi titoli, solo in piccola parte identificabili: Avanzi della Chiesa di San Pietro in Porto Venere (Firenze, 1860), Costume della Spezia (Torino, 1861), Costumi dei dintorni della Spezia (Torino, 1864), Rovine del tempio di San Pietro in Portovenere (Napoli, 1864), Porto Venere, Golfo della Spezia (Firenze, Accademia, 1865), Costumi nei dintorni della Spezia, acquarello, Porto Venere olio (Venezia, 1868), Lerici e Donne della Spezia (Torino, 1868).
Di questa importante stagione creativa Cecioni parla diffusamente sia nel profilo biografico dedicato a Cabianca sia in quello di Signorini, ragion per cui, incrociando i dati, è possibile farsi un’idea di quelli che furono gli obbiettivi comuni, a parziale integrazione di quanto ravvisabile dai documenti pittorici, esigui nel numero, e perciò tanto più preziosi.
“Signorini andò a Milano, quindi alla Spezia, dove trovò gli amici Banti e Cabianca. Alla Spezia, fecero tutti e tre degli studi, poco men che primitivi, sull’arte della macchia; nonostante, il chiaroscuro, in special modo, fece un buon passo”, scrive ancora il Cecioni che poco oltre, mentre ricordava il successo di critica e di pubblico ottenuto dai dipinti militari di Telemaco esposti nel 1860, rievocava il “silenzio glaciale” che accolse appena un anno più tardi i due quadri studiati alla Spezia, rappresentanti delle donne con delle brocche d’acqua sul capo”. […]
Permane, soprattutto nelle figure femminili sedute sulla destra, un certo manierismo alla Induno, come dire che Vincenzo non avesse ancora completamente trovato nel motivo di luce la ragione più intima per adire l’applicazione metodologica della macchia.
Una tal “riserva” doveva sciogliersi di lì a poco per generare in un afflato poetico due straordinari capolavori, Lungomare, e Avanzi della Chiesa di San Pietro di Portovenere. […]
Non si potrebbe definire altrimenti, se non per il sentimento di sorpresa in cui l’artista la fa consistere, la minuscola figura del pescatore di spalle in camicia bianca raffigurato dinnanzi alla sottile tarsia blu cobalto che chiude in profon- dità la visuale degli Avanzi della Chiesa di San Pietro in Portovenere; anche qui il motivo poetico è solo un effetto di luce: essa irrompe dall’alto, lasciando il primissimo piano in penombra, investe il gruppo di individui pigramente accovacciati nei pressi dell’archivolto, poi s’insinua rischiarando la semioscurità dell’andito […]