Verona 1905 – Milano 1959
Renato Birolli pittore che ha operato in Liguria
Renato Birolli frequentò l’Accademia Cignaroli a Verona, dipingendo nei modi ancora tradizionali, alla Segantini.
Trasferitosi a Milano nel 1928 ebbe modo di conoscere Carlo Carrà, allora critico d’arte di quel giornale, e di unirsi in amicizia con Manzù e Sassu, cui lo accomunava il medesimo impulso di ribellione al dominante ordine artistico-culturale e di conseguenza al “Novecento” e all’arcaismo metafisico.
Nel 1936 annotò “[…] Abolita così ogni razionalità nella costruzione plastica, tentavamo, quasi ai margini della nostra responsabilità di pittori, di impostare in un procedimento e con mezzi diversi una nuova visione del mondo”.
Artisti ispiratori furono in questi anni Van Gogh, Ensor, Cézanne e i protagonisti di quella che era allora considerata “arte degenerata” come Kokoschka, Nolde e Grosz.
L’interesse per questi artisti si identificava con la ricerca di un orizzonte culturale-artistico non grettamente nazionalistico, ma “europeo”, e con la ricerca di un’arte non arcaizzante e acritica, ma ben radicata nel presente e socialmente e moralmente “impegnata”.
Tale ricerca coincideva con quella che si andava attuando a Milano attorno al critico Edoardo Persico e alla galleria del Milione, proprio allora apertasi in via Brera. In questa galleria espose, nel 1932, in una mostra collettiva con Manzù, Sassu, Grosso e Tomea.
In moti suoi dipinti di questo periodo sono evidenti il ricordo di Van Gogh e un interesse coloristico acutissimo.
Sono del 1937 i quarantasei disegni per le Metamorfosi in cui si può riconoscere, sia pure alla lontana, il ricordo di Goya.
Il 1º gennaio 1938 Ernesto Treccani fonda un giornale dal titolo Vita giovanile, mutato pochi mesi dopo in Corrente di vita giovanile. Si forma così il gruppo di “Corrente”, di cui Birolli fa parte fin dal principio: artisti, critici e letterati di diverse tendenze e origini accomunati da una tendenza espressionista e neo-romantica contro il conformismo e l’ufficialità dominanti. La prima mostra della galleria che il gruppo di “Corrente” apre in via Spiga 9 a Milano, il 12 dicembre 1940
Durante il 1944 dipinse pochi quadri, ma preparò ottantasei Disegni della Resistenza, concepiti perché “non tramuti in generica leggenda quanto fu dramma vero”.
Forse in nessun altro artista contemporaneo lo squallore, la tragedia, l’orrore di quel momento di storia sono diventati con tanta immediatezza linguaggio e sono stati denunciati con un sentimento più violento di umanità offesa. un’antica nobiltà di linguaggio e a sottolinearne il calore emotivo.
Finita la guerra, costituisce nel 1946, a Venezia, la “Nuova secessione artistica italiana” chiamata poi “Fronte Nuovo delle arti“, al quale partecipano artisti come Guttuso, Morlotti e Vedova.
Soggiorni a Parigi (1946-47) e in Bretagna (1947-49) fanno maturare il suo distacco definitivo dalla tematica e dalla forma espressionistica. Gradualmente, da un espressionismo cubisteggiante dai colori accesi e luminosissimi, stravolto e astratto, simbolico, metafisico.
Renato Birolli con la Biennale di Venezia del 1950 entra a far parte del gruppo degli “Otto” (con Afro Basaldella, Corpora, Moreni, Morlotti, Santomaso, Turcato e Vedova), sotto l’egida di Lionello Venturi, che lo definisce “astratto-concreto”.
Comincia così il periodo del suo maggiore successo, sancito tra l’altro da due personali a New York (1951 e 1958), con presentazione di Lionello Venturi. Ma si accentua contemporaneamente il suo tormento di uomo, il suo desiderio di “evadere” dall’atmosfera milanese, il suo bisogno di “fuga”. Ripetuti sono i suoi soggiorni a Bocca di Magra (1952), e alle Cinque Terre (1955, ’57, ’58).
È del 1957 un lungo soggiorno ad Anversa.
I suoi dipinti tra il 1950 e la morte si possono raggruppare all’ingrosso in quattro serie che sono state così denominate: “serie delle presenze simultanee”; “serie delle grandi diffrazioni” (da Verde e blu per la Liguria del 1952 alla Vendemmia nelle Cinque Terre del 1956; “serie dei meccanici furori e degli scontri angolari e tra il 1957 e il 1958, in quella che si può chiamare “serie delle illuminazioni interiori”.
Ma la tavolozza è ancora sempre “tonale e l’interiorità degli accordi è sorprendente, ma il colore-luce che essi esprimono è umano e “naturale”, certi quadri vengono rielaborati e perfezionati in modo da escludere totalmente i valori tattili per risolversi attraverso una pittura tutta di “macchia” (tocchi, zone a spatola, spruzzi, gocce) in una fantasmagoria di luce-colore, che tuttavia non vuol perdere il legame e il rapporto con la sua matrice oggettiva.
La morte colse all’improvviso prematuramente, in Milano il 3 maggio 1959, quando sognava un ritorno alla sua Verona. Egli stesso ha lasciato scritto: “Voglio che di me si ricordi soltanto la pittura che faccio e farò”.