Castelleone (CR) 1890 – 1956

Francesco Arata pittore che ha operato in Liguria

Francesco Arata i cui ascendenti sono di origine ligure, poi trasferitisi a metà Ottocento nel piacentino e quindi a Montodine, frequenta gli studi superiori a Soresina, e poi nel 1908, con la fiducia dei familiari, di iscriversi alla “Scuola Superiore d’Arte Applicata all’Industria” di Milano presso il Castello Sforzesco, che lo vede allievo brillante, meritevole di medaglie e premi, in prospettiva, in ornato, in composizione, sino ad essere abilitato come professore all’insegnamento del disegno nelle Scuole Tecniche e Normali.
Nel 1913 è all’Accademia di Brera allievo di Cesare Tallone fino al 1915 e resterà anche come insegnante della “Scuola degli Artefici” fino al 1916.
La pittura dei primi decenni del Novecento italiano deve buona parte del suo rinnovamento a Cesare Tallone, geniale artista per essenzialità e modernità, per la sintesi post-impressionista dei suoi paesaggi che tanto hanno influenzato i suoi numerosi allievi, non certo inferiori per fama al Maestro, quali Pellizza da Volpedo, Carlo Carrà, Aldo Carpi, Ermenegildo Agazzi, Contardo Barbieri, Achille Funi, Alberto Salietti ed altri.

Vicolo alla spiaggia. Varigotti

Il suo bagaglio tecnico lo porta a disciplinare le sue molteplici propensioni come il disegno, l’incisione, l’acquarello e le scenografie.
Oggi che abbiamo dinanzi tutta l’opera di Francesco Arata, rileviamo quanto la disciplina accademica abbia contribuito a donagli quella saldezza formale che riscontriamo anche in quadri di minor contenuto artistico e poetico, ma sempre di piena dignità pittorica e di assoluta onestà nel mestiere lasciando un segno ben definito nel risvolto tecnico-estetico della sua carriera di pittore: impianto scenografico e saldezza nel vedutismo prospettico saranno sempre una caratteristica dei suoi paesaggi.
È con Greppi, già affermato architetto, ma anche squisito acquarellista ed acquafortista, che Arata affina queste tecniche che lo portano ad ottenere i primi successi con una mostra dell’Incisione Italiana al Palazzo della Permanente a Milano nel 1915, e con ancor più qualificante partecipazione alla Esposizione dell’”Associazione Italiana Acquerellisti ed Incisori alla “Royal Society of British Artists” di Londra nel 1916 con sei acqueforti .
È del 1921 infatti una prestigiosa mostra di architettura alla “Famiglia Artistica” di Milano a cui Arata partecipa con architetti poi divenuti famosi come Giovanni Greppi, Emilio Lancia, Alpago Novello, Cesare Fratino, Giò Ponti, Magistretti, Mezzanotte, Giovanni Muzio, De Finetti ed altri.
In questo periodo si dedica pienamente alla pittura e forse lo convincono i nuovi orientamenti dell’arte che dominano in Europa e in Italia.
È il “Novecento”, un nuovo modo di interpretare la natura,  che accomuna lo stile pittorico di Donghi, Oppi, Casorati, di un Morandi, e realismo intimista di Tosi e Arata, nei primi anni Venti vede, assimila, riflette sull’opera di questi maestri che a Milano conosce e in parte frequenta, si stacca dal suo retaggio accademico e inizia a produrre opere che lo portano a partecipare a mostre espositive di sempre maggior rilievo.
Si intensificano le partecipazioni alle “Mostre Nazionali” di Brera e alle “Mostre Sociali” della “Famiglia Artistica” alla “Permanente” di Milano occasioni per presentare le opere del periodo novecentista, nelle quali si manifesta la determinata coscienza di volere appartenere allo stile del tempo.

La madre, 1929

Sono anni di lavoro intenso, al cavalletto, in studio e all’aperto, nel suo continuo peregrinare in riviera a Varigotti, a Varazze, a Portovenere e sulle Dolomiti, in cerca di nuovi soggetti senza l’assillo di una committenza.
Si intensifica la partecipazione alle mostre nazionali, su invito o accettazione da parte di commissioni giudicatrici prestigiose, come alla “XVII Esposizione Biennale Internazionale di Venezia” del 1930, o alla prima “Quadriennale di Arte Nazionale di Roma” del 1931; Arata è al culmine della sua entratura mondana e artistica, anche per la frequentazione del circolo di “Bagutta”.

Santa Caterina di Varazze, 1926

In questi anni ha un grande studio a Milano, dove lavora in libertà a grandi nudi e ritratti e riceve facoltosi clienti che finalmente, con i loro acquisti li consentono la piena indipendenza economica.
Francesco Arata a Venezia e Burano compie la sua evoluzione paesistica che, se pur sempre legata al tronco lombardo, lo porta ad adottare le tonalità e le trasparenze del colore veneziano, toni e tinte più sfumate, i cieli dei suoi paesaggi sono più tersi e la luce si dilata come se tentasse di conciliare la sua matrice lombarda con lo spirito lagunare.
A Burano, sempre ospite di casa Moggioli, Arata tornerà assiduamente nei primi anni ’30 e anche negli anni a venire, sia per il bisogno di schiarire la sua pittura, sia per partecipare ad altre due Biennali di Venezia, nel ’36 e nel ’40, dove ottenne un lusinghiero successo.
Come architetto riceve dall’Amministrazione Comunale di progettare il nuovo Municipio di Castelleone, l’edificio, inaugurato nel 1935, resterà l’opera più importante e duratura di Arata architetto.
Durante il periodo bellico il pittore trasloca con i suoi cari in Val di Scalve, in Val Taleggio, a San Giovanni in Bianco, in Riviera Ligure alle Cinque Terre o a Sestri Levante, da cui tornava con una ventina di tele ogni volta, tutte eseguite di getto dal vero.

Erano vedute fresche di stesura chiara e leggera quasi acquerellata, post-impressionista, in cui risaltava tutta l’esperienza e la maturità tecnica accumulata, senza le contorsioni intellettuali degli anni precedenti, che tanto piacevano ai clienti, i quali non disdegnavano di portarsi a casa un pezzo di montagna o di mare del loro amato pittore.
È Arturo Tosi, il suo “ideale”, che in una lettera alla famiglia definirà “il più bel paesista italiano”. Tosi era per gli artisti lombardi un novello Cezanne e non sorprende che Arata trovi gli stessi spunti di ispirazione nei luoghi che il grande maestro frequentava, il Sebino, la Riviera Ligure, e le valli bergamasche.
Guardando Tosi, Arata rimane fedele anche nel dopoguerra di fronte agli incalzanti modernismi, alla sua pittura naturalistica, alle sue atmosfere terse, ai paesaggi puri e severi, ai cieli profondi e dilatati.
Molte retrospettive sono state allestite a Milano, Cremona, Crema, Piazzola sul Brenta, Venezia.
Nel 2016 presso la sede dell’A.D.A.F.A. a Cremona è stata inaugurata la mostra retrospettiva antologica dedicata al pittore Francesco Arata .
Nel 2018 per onorare la memoria di Francesco Arata attraverso il ricordo e il rafforzamento della sua immagine nel tempo, nelle molteplici attività di architetto e pittore è stata costituita a Castelleone la “Fondazione Francesco Arata”.
Nel 2020 a Palazzo Brunenghi di Castellone si è tenuta la mostra “I disegni di Francesco Arata”.

Nel 2021 a Palazzo Zurla De Poli di Crema è stata allestita una mostra tematica “Arata. Nature morte” .
“C’è molto della lezione del sommo Cézanne nella serie di composizioni pittoriche che qui si possono ammirare”, sostiene Nicoletta Colombo. “Innanzitutto la volontà di rendere leggibile il visibile, nel senso che non serve dipingere pedissequamente gli oggetti come repertori inanimati, perché ciò che l’artista consegue è l’apertura della visione al significato di vitalità e insieme di caducità che frutti e oggetti risvegliano, risuonando ai sensi di chi osserva fino a trasmettere sensazioni ed emozioni. Eppure qui troviamo anche il significato moderno della natura, intesa come possibilità dell’uomo di superare il vecchio naturalismo ottocentesco e costruire, ristrutturare la realtà secondo concetti di recupero di uno spazio della creazione in cui l’artista-artefice con le cose seziona e compone ritmi. In tal senso avviene il superamento del mero decorativismo in cui si era arenato il cubismo e si assimila per contro il concetto architettonico della forma che è anche gnoseologia, capacità di conoscenza e di comprensione”.

“A Carrà si volse il Nostro ma fu quando il novarese lasciala l’esperienza futurista del ’10 e quella metafisica del ’16 cariche di motivi inquietamente intellettualistici, trasferì la sua pittura, senza più diaframmi ed ermetismi verso una propria strada.
Arata sarà in questo frangente orientato a una scelta di soggetti (paesaggi. marine. barche…) rigorosamente costruiti in fermi volumi e austere essenziali prospettive, un poco sospese in una atmosfera sognante e stupefatta: quella di certi meriggi afosi in prossimità del mare.
Abbiamo una buona quantità di marine; Varigotti è stato un soggetto preferito da Arata, lo riprese in diverse epoche ma più efficacemente attorno al 1930 che pur denunciando qualche aggancio al movimento novecentista sono meglio riconducibili nelle matrici occasionali, tuttavia, e non creative a quelle di un Peluzzi o di un Carpi.

Entrambi amici di Arata, di Eso Peluzzi è però doveroso sottolineare il legame sincero e profondo e l’assidua frequentazione, ciò che verosimilmente permise alle rispettive pitture di sforarsi là dove esse denotano una più incisiva aderenza al paesaggio e un più rigoroso impianto classico”.
(C.Toscani, 1970)

Capo Noli
Autoritratto

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