“Oggi ho lavorato ancora di più: cinque tele, e domani conto di iniziarne una sesta; andiamo abbastanza bene, dunque, sebbene tutto mi sia assai difficile da fare.
Queste palme mi fanno dannare, e poi i motivi sono estremamente difficili da riprodurre, da trasferire sulla tela; è tanto folto dappertutto; è delizioso da vedere; si può passeggiare indefinitamente sotto le palme, gli aranci, i limoni e anche sotto gli splendidi ulivi, ma quando si cercano soggetti è molto difficile. Vorrei fare certi aranci e limoni che si stagliano contro il mare azzurro, non riesco a trovarli come voglio.
Quanto all’azzurro del mare e del cielo, è impossibile.
Comunque, ogni giorno aggiungo e scopro qualcosa che prima non avevo saputo vedere.
Questi luoghi sembrano fatti apposta per la pittura en plein air.
Mi sento particolarmente eccitato da quest’esperienza e, dunque, penso di tornare a Giverny più tardi del previsto, anche se la vostra assenza disturba la mia serenità”
(Bordighera, 26 gennaio 1884)
Monet a Bordighera “la luce fantastica”
Claude Monet passò da Bordighera la prima volta nel Dicembre del 1883, con l’amico Renoir, un po’ turisti un po’ artisti, e fu folgorato dalla fuggevole visione di una natura e di una luce completamente nuove ai suoi occhi amici della bruma, delle rocce e marine atlantiche, dei paesaggi spogli, dell’acqua, della neve, fiumi ponti campi e stazioni; e della frenesia cittadina della belle époque.
Bordighera come laboratorio sperimentale per il capofila dell’impressionismo, che in quel dicembre intuì il carattere unico, straordinario, potente di quell’intreccio inestricabile di palme, ulivi, agrumi, mandorli, mimose, agavi e fichi d’India, rivelati da una luce mai vista prima.
“Lavoro come un forsennato su sei tele al giorno.
Faccio molta fatica, poiché non riesco ancora a cogliere il tono di questo paese; a volte sono spaventato dai colori che devo adoperare, ho paura di essere terribile, eppure sono ancora ben al disotto; è atroce la luce”
(Bordighera, 29 gennaio 1884)
Bordighera diventa così la prima meta artistica ed il primo confronto di Monet, uomo e artista, con il Mediterraneo, la prima sfida.
Tornerà altre due volte, nel 1888 ad Antibes e nel 1908 a Venezia in compagnia di Alice, l’ultimo viaggio lontano da casa, sempre e solo per dipingere, dipingere la luce, la missione di tutta una lunga vita.
In quel Dicembre non dice nulla all’amico Renoir delle sue impressioni.
Ma tornato a Parigi, nel giro di pochi giorni comunica a Paul Durand-Ruel, il mercante d’arte che ha fatto conoscere l’impressionismo nel mondo, la sua intenzione di intraprendere immediatamente un nuovo viaggio “en solitaire” a Bordighera, per lavorare e sfidare con la sua arte i motivi appena intravisti.
Chiede soprattutto di mantenere il segreto sulle sue intenzioni, teme che Renoir voglia unirsi a lui poiché, come Monet spiega al suo mercante, “Ho sempre lavorato meglio da solo e seguendo le mie sole impressioni”. In procinto di partire dalla stazione di Parigi, il 17 Gennaio 1884, sempre a Durand-Ruel: “Parto pieno di ardore, ho l’impressione che farò cose meravigliose”.
Per questa fuga visionaria a Bordighera, Claude Monet lascia Alice Hoschedé, la sua seconda compagna di vita, a Giverny, sola con otto figli da accudire, in quella casa di sogno, dove si erano trasferiti da pochi mesi, circondata da un terreno che allora solo preludeva a quel paradiso in terra che diverrà negli anni successivi, per trasformarsi in fonte unica di continua ispirazione per l’artista, fino alla sua morte, sopraggiunta a 86 anni, il 5 Dicembre del 1926.
Era affascinato, quasi ipnotizzato da questi paesaggi, dalla ricca varietà di verdi della rigogliosa vegetazione, dai colori accesi degli agrumi, dalle tonalità di azzurro che il mare e il cielo offrivano alla vista e che molto spesso mutavano di giorno in giorno, e soprattutto dalla luce che rischiarava e si rifletteva su ogni elemento della natura.
Il suo “spavento” determinato dai colori si affievoliva un poco alla volta e il 3 febbraio 1884 Claude scriveva alla sua Alice: “Adesso sento bene il paese, oso mettere i toni terra e rosa e blu; è magia, è delizioso, e spero che vi piacerà”
e un mese dopo, il 5 marzo 1884, le raccontava:
“Ora dipingo con colori italiani che ho dovuto far venire da Torino”.
Dal 17 gennaio, a dispetto della previsione di restare “circa due settimane”, riparte per Parigi, dopoaver trascorso ancora una settimana a Mentone, solo ai primi di aprile, dopo 79 giorni di lavoro accanito e frenetico.
Nonostante l’instancabile lavoro, arrivando a eseguire contemporaneamente fino a sei tele, Monet aveva compiuto a Bordighera e dintorni circa una cinquantina di quadri.
Nel borgo ligure aveva avuto la possibilità di ammirare e di visitare il giardino Moreno, voluto nel 1830 circa da Vincenzo Moreno, ricco commerciante di olio di Bordighera, che aveva cominciato a piantare i semi di molte specie esotiche; negli anni Ottanta dell’Ottocento il giardino era divenuto famoso a livello internazionale per la grande varietà di vegetazione che custodiva ed era quindi meta di visita di letterati, artisti e viaggiatori.
Ispirato dalla meraviglia di questo luogo, oggi facente parte dei Grandi Giardini Italiani e selezionato come uno dei giardini più belli in Liguria, l’artista aveva rappresentato sulla tela tre punti del parco, ancora adesso riconoscibili se vi addentraste al suo interno: i dipinti realizzati nel 1884 qui ambientati sono Vedute di Ventimiglia, Studio di piante di ulivo e Giardino a Bordighera. Impressioni del mattino
Dipingerà 38 tele, nelle quali il pittore, che considera essere il mare e l’acqua “il suo elemento”, volge decisamente le spalle al mare per immergersi nella meravigliante natura di Bordighera; i suoi motivi principe divengono così le palme, avvolte da ogni sorta di vegetazione, e poi gli ulivi, avvolti dalle nuvole blu e argento delle loro chiome.
Vedere un numero nutrito di quadri di Bordighera insieme, come è stato possibile per chi ha visitato la mostra statunitense “Monet and the Mediterranean” del 1997, curata da Joachim Pissarro ed Elizabeth W.Easton, è un’esperienza estremamente emozionante che trasmette esattamente le impressioni di meraviglia, impotenza, conquista, provate dall’artista viaggiatore durante quei giorni di sfida continua con una natura, una luce e dei toni di colore che gli sembrano “impossibili da realizzare”, con quelle palme che lo fanno “dannare”.
Monet da Bordighera, probabilmente in preda a comprensibili sensi di colpa, scrive ogni giorno, a volte anche due lettere, alla sua compagna, che non lo vede più tornare a casa.
Scrive a Duret e soprattutto a Paul Durand-Ruel, il mercante d’arte che avrebbe fatto la fortuna dei pittori impressionisti, i cui pupilli erano particolarmente Monet e Renoir. “Farò forse gridare un po’ i nemici del blu e del rosa, per via di questo splendore, questa luce fantastica che mi applico a rendere; e quelli che non hanno mai visto questo paese o che l’hanno visto male grideranno, ne sono sicuro, all’inverosimiglianza, sebbene io sia molto al di sotto del tono: tutto è colore cangiante e fiammeggiante, è ammirevole; e ogni giorno la campagna è più bella, e io sono incantato dal paese”
(Bordighera, 11 marzo 1884)
Chiede continuamente aiuto finanziario per Alice e per sé stesso che in quel viaggio usa un esorbitante quantitativo di tele, pennelli, colori.
Alloggia alla “Pension Anglaise”, bella palazzina seduta ai piedi di Bordighera alta, da cui partono le sue esplorazioni, le sue lettere e i suoi pensieri, isolato dalla folla di “turisti eleganti” che brulicano all’epoca nella Riviera delle palme.
Mai più la corrispondenza di Monet sarà così prolifica come lo è stata da Bordighera: le sue parole semplici e dirette ci trasmettono la verità della sua ispirazione, della sua necessità assoluta di dipingere e cercare, da solo, i motivi ispiratori.
La valle di Sasso, il giardino Moreno, la via Romana, il paese alto dalla macchia della Torre dei Mostaccini; alcune vedute rivolte a Ventimiglia e al profilo dei monti francesi, sempre la natura protagonista, con l’unica eccezione del ritratto di un pittore inglese; la valle di Nervia e un inchino al castello di Dolceacqua con il suo ponte, gioiello di leggerezza.
Ville a Bordighera 1884, (Parigi, Musée d’Orsay)
Il Castello di Dolceacqua
Questo breve racconto per ricordare quel meraviglioso viaggio a Bordighera, e l’inestimabile omaggio reso da Claude Monet con le sue 38 opere che fanno eterno un paesaggio unico e straordinario, tra il Gennaio e l’Aprile del 1884.
Nelle sue intense lettere indirizzate essenzialmente ad Alice e Paul Durand Ruel, poi a Duret, De Bellio ed altri amici, fatte di “parole a colori”, Monet ci trasmette intatto il suo desiderio profondo e primordiale: svegliarsi ogni giorno con gli occhi di un bambino, per ogni giorno stupirsi del miracolo della natura.
Veduta di Roccabruna 1884, (Portland, Museum of Art)
Monet più volte chiama la “féerie” l’incanto, la fiaba, di quel paesaggio, ricco di luci e colori a tal punto da sfiorare l’ “invraisemblance”, l’inverosimiglianza.
Per altro, a parte questa ai suoi occhi nuovissima percezione di una natura mediterranea, in una stagione che, come subito scopre, non ha nulla a che fare con l’inverno cui è avvezzo, il ricco epistolario ci attesta della persistenza, anche in questo ambiente diversissimo dai suoi usuali, di alcuni meccanismi da dir ormai tipici della nascita dell’opera monettiana negli anni ottanta, già ad esempio verificabili in occasione delle due campagne di pittura condotte a Pourville e ad Etretat fra 1882 e 1883: l’iniziale, felice scoperta di nuovi motivi di pittura; i propositi per un lavoro che avrebbe dovuto essere intenso e breve; le prime difficoltà, in genere attribuite al tempo variabile e dunque alla scarsa persistenza delle stesse condizioni di luce; l’alternarsi continuo di entusiasmo e prostrazione; il dubbio di riuscire a portare a compimento la “massa di documenti” che imbastiva en plein air; il lavoro che, di giorno in giorno, si fa più affannoso, per il tempo che verrà a mancare, e per la lontananza da Alice che immancabilmente si protrae oltre le previsioni, una lontananza di cui soffre e di cui ancor più sente di doversi giustificare con la compagna; infine un bilancio che scopre positivo, seppur sempre relativo a un lavoro che dà per scontato di dover perfezionare a studio (rivelatrice, in tal senso, è la lettera importante inviata a Durand-Ruel da Giverny poco dopo il suo rientro: al mercante che lo attende a Parigi con i quadri dipinti a Bordighera, Monet risponde che tutte le tele sono, quale più quale meno, “in uno stato d’incompiutezza”: a controprova, se mai ne occorresse ancora una, che a questa data l’egida assoluta del plein air è un dato ormai anche concettualmente superato.
Dunque lo sguardo stupefatto che, al suo arrivo a Bordighera, Monet posa su quelle “cose variegate” e sul loro aspetto “un po’ esotico”, su “tutte le varietà di palme, tutte le specie di aranci e di mandarini [che] crescono lì a piena terra e senza sembrare curate” su “lo spettacolo indimenticabile [delle] montagne ricoperte di neve; e ancora sul mare d’un azzurro purissimo “inimmaginabile”, “meraviglioso”, sulle notti stellate, sul vento e sulla pioggia che s’abbattono improvvisi sulla regione, con una violenza a lui sconosciuta terribile, spaventoso su tutto ciò e – soprattutto – su quella “luce incantata che mi sforzo di rendere”, non deve ottundere l’evidenza di una continuità di metodo che Monet ha già da qualche anno dato al suo lavoro.
Come pure va sottolineata la persistenza di una ricerca formale che, dopo qualche sporadico e isolato annuncio negli anni settanta, s’è andata sviluppando con maggiore continuità a partire dal 1881, e che consiste in una tensione verso una materia cromatica più ricca e spessa, data sovente in piccoli, accelerati tocchi di colore puro, variato, acceso, di esplicita valenza timbrica.
Biografia sintetica
Claude Monet (Parigi 1840 – Giverny 1926) è considerato il padre dell’impressionismo.
Il nome stesso di questa corrente artistica è infatti legato ad una sua opera: Impressione. Sole nascente.
La passione per l’arte di Monet si manifestò negli anni dell’adolescenza.
Da giovane infatti si dimostrò abilissimo con le caricature che vendeva per poche monete.
Fu in questi anni che incontrò Eugène Boudin (1824-1898), artista già affermato, che con gentilezza e pazienza insegnò al giovane Claude le basi per dipingere la natura e gli trasmise l’amore per la pittura en plein air.
A sedici anni Monet decise di lasciare Le Havre, paese in cui i suoi si erano trasferiti quando era bambino e partire per Parigi con tele, pennelli e un piccolo gruzzolo racimolato con le caricature.
Lì conobbe Gustave Courbet (1819-1877) con cui stabilì un’intensa amicizia. La prima esperienza parigina però durò poco: a venti anni venne chiamato alle armi per il servizio militare (all’epoca durava setta anni se i familiari non pagavano per un “sostituto”).
Chiese di essere inviato in Algeria ma dopo due anni si ammalò di tifo e fu costretto a tornare in patria.
La famiglia, consapevole che quella di Monet per l’arte non era un’infatuazione passeggera, pagò un sostituto che prendesse il suo posto al fronte e lo sostenne nella sua nuova avventura a Parigi, a patto che venisse seguito da un maestro.
Nel 1862 Monet entrò così a far parte dell’accademia di Charles Gleyre.
A Parigi Monet si distinse, oltre che per le indubbie capacità artistiche, per l’eleganza, il carisma e il successo con le signore della città.
Pare che un giorno abbia dichiarato: “Dormo solo con duchesse o domestiche.
Preferibilmente con le domestiche delle duchesse.
Qualsiasi via di mezzo mi spegne subito”.
Ad una personalità così forte andavano strette le rigide regole della pittura tradizionale, così insieme ad un gruppo di amici artisti lasciò l’atelier per andare a dipingere all’aria aperta.
Tra questi c’erano Camille Pissarro (1830-1903), Alfred Sisley (1893-1899), Jean Frédéric Bazille (1841-1870) e Pierre Auguste Renoir, (1841-1919 )con il quale strinse una lunga amicizia.
Ancora non lo sapevano, ma quei giovani stavano per dar vita all’ impressionismo.
La prima mostra venne allestita nello studio parigino del fotografo Nadar. Era il 1874 e Monet aveva solo ventiquattro anni.
La mostra fu un fallimento.
Seguì un difficile periodo di gravi ristrettezze economiche: le opere degli impressionisti non venivano comprese e quindi raramente venivano acquistate. L’Europa inoltre non attraversava un periodo di grande prosperità e i primi a farne le spese erano gli artisti non ancora affermati.
Monet però non si arrese e continuò a dipingere.
Nel 1883 si traferì con la seconda moglie e i figli nel piccolo paese di campagna di Giverny per poter ritrarre la natura in completa libertà.
Fu nel 1889 che alla sua arte venne concesso lo spazio che meritava con una mostra personale alla galleria Petit di Parigi.
Con quella mostra Monet ottenne finalmente il meritato successo e la critica lo annoverò tra i più importanti artisti francesi dell’epoca.
Nonostante il successo, non lasciò il piccolo paese di Gliverny.
Lì cominciò a dipingere una delle sue famose serie che ritrae Covoni di grano.
Del resto Monet non era nuovo alla serialità nei suoi dipinti: famose sono le serie delle Cattedrali, dei Pioppi ma soprattutto quella delle Ninfee.
La scelta delle serie deriva dalla filosofia che anima la pittura di Monet: quella di ritrarre la natura così com’è, sempre in mutamento; per cui anche riprendere sempre lo stesso soggetto non significa riprodurre lo stesso dipinto in quanto luce, vento e ombre restituiscono agli occhi dell’artista un soggetto sempre nuovo.
Le Ninfee è certamente il lavoro che più di tutti racchiude la costanza, lo studio e la tecnica di Monet.
Cominciò a lavorare a questo soggetto nel 1899 dedicandogli gli ultimi ventisette anni della sua vita.
Continuò a dipingere anche quando la cataratta lo rese quasi cieco, concentrato a ritrarre quel piccolo angolo del suo giardino con l’ambizione di catturare l’essenza e la fugacità della natura.