PREMESSA

Per tutti gli studiosi, collezionisti o semplici appassionati dell’arte, riporto di seguito il testo integrale di Gianfranco Bruno (1937 – 2016) redatto a compendio del catalogo (oggi di difficile reperimento) relativo alla mostra tenutasi nel 1990 all’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova e nel 1991 al Palazzo della Permanente di Milano.
Gianfranco Bruno è stato ed è a tutt’oggi il più autorevole studioso dell’opera di Merello, ne è testimonianza l’attenta disamina critica del pittore che viene declinata in questo essenziale testo e la curatela di molte e prestigiose mostre antologiche.

Gianfranco Bruno (1937 – 2016)

Fatta eccezione per il puntuale intervento di Cesare Brandi, dal 1926, anno in cui si ebbe una grande mostra del pittore al Palazzo Bianco di Genova, occorre attendere l’antologica del 1970 e la di poco precedente presentazione di un gruppo di dipinti all’esposizione del Divisionismo italiano a Milano, per poter cominciare ad intendere nella giusta luce la posizione, nella pittura italiana dell’epoca, di quel singolare artista che fu Rubaldo Merello.
Neanche la presenza di Merello negli Archivi del Divisionismo (1996), che non potevano ancora valersi di una ricostruzione organica dell’opera dell’artista, rappresenta una messa a fuoco dell’apporto del pittore al movimento italiano.

 

Alberi a Punta Chiappa, 1900 circa, (IDAL800900 – Istituto Documentazione Arte Ligure ‘800 e ‘900 – Archivio Rubaldo Merello)

Dipinto riferibile agli anni intorno al 1900, con ogni probabilità prima dell’inizio del secolo. Già nel 1898 è documentato l’acquisto di un dipinto di paese da parte dell’onorevole Pietro Guastavino, a soli sei anni dagli studi compiuti presso l’Accademia Ligustica di Genova. Il dipinto rivela una impostazione cromatica memore degli esempi toscani, conosciuti attraverso le Promotrici, ma con una sensibilità al tono che lo impatenta al sottile tonalismo del Rayper.

Eppure Merello aveva esposto nel 1907 al Salon des Peintres Divisionnistes Italians, facendo parte degli artisti di Grubicy.
Era noto quindi, e apprezzato, dall’area divisionista, cui era pervenuto grazie all’acume dello stesso Grubicy.
Due delle opere esposte a Parigi, (Studio di mare) ritrovate, consentono di comprendere con certezza che al 1907 Merello ha non solo profondamente inteso la grammatica divisionista, ma ne ha già maturata una personale elaborazione.

Studio di mare o La scogliera, 1906,  (Roma. GAM. Donazione Alberto Grubicy)

[… ] Alla storia della nuova idea artistica è associato il nome di Alberto Grubicy che fin dal 1880 lanciava le basi della bottega che doveva accogliere le prime opere di scuola divisionista italiana.
Conobbi quel negoziante celebre in Milano nel 1906, quando iniziavo una, allora purtroppo vana, azione giornalistica in difesa di Gaetano Previati. E del Merello, assai bisognoso di aiuto, recavo al Grubicy un’opera [Studio di mare]: è di quel tempo appunto uno dei primi studi dal Grubicy acquistati e poi donato alla Galleria romana di Stato. Gli vietavano di assumerne il patrocinio le difficoltà finanziarie nelle quali allora egli versava […] (P. De Gaufricly, Mostra Postuma di R. M., catalogo, Genova, 1926, p. 24).

Bosco, 1898

Se si tiene conto che già nel 1898 e documentato l’acquisto di un suo “dipinto di paese”, identificabile con il Paesaggio  recentemente ritrovato, e che quest’ultimo quadro strettamente si lega, quanto a caratteri stilistici, al Fienile , esposto alla Promotrice di Belle Arti di Genova nel 1906 – si può concludere che già tra la fine del secolo ed i primi del novecento Merello ha abbracciato quel linguaggio divisionista di cui i dipinti esposti a Parigi sono testimonianza.

Paesaggio, 1898, (Genova. Società Promotrice di Belle Arti. LIII Esposizione, 1906)
 Fienile, 1900 – 1906, (Genova. Società Promotrice di Belle Arti. LIII Esposizione, 1906)

Il dipinto, che è da ritenersi senza dubbio una delle opere importanti della prima fase di attività di Merello, è tra i più prossimi dell’artista alla visione segantiniana. Non solo per la tecnica a filamento che compone un petrigno tessuto pittorico, ma per il senso di sospensione dell’immagine prodotto dalla ferma, cristallina luce che pervade la composizione. Segantiniani sono il disegno degli alberi contro il cielo e la nuvola: segantiniana la torsione dell’albero in primo piano: Merello tuttavia non media una tecnica e non imita una visione che non gli appartiene. Verifica, sull’assolutezza stilistica e di visione del maestro, la sua disposizione a trasferire nell’astrazione del linguaggio una concezione “mitica” della natura.

In effetti le opere dopo il 1906 – a parte il mutamento di soggetti che interviene a partire da questa data, quando il pittore si sposta, dal suo primo luogo di soggiorno sul Monte, alla nuova dimora nella baia di San Fruttuoso – rivelano una più libera articolazione delle pennellate divisioniste, ed una fusione singolare dei molteplici dati della sua formazione.

San Fruttuoso dall’alto, 1909-1912

I dipinti sino al 1906 manifestano attenzione per il plasticismo pittorico di Segantini, la cui opera Merello poteva senza dubbio conoscere direttamente: le soluzioni delle pennellate a filamento, che compaiono nelle opere esposte alla Promotrice Genovese del 1906 (Capanna, Fienile, Bosco invernale, Paesaggio), appaiono come un puntuale rimando all’opera del maestro.
La qualità dei dipinti, alta al punto da poterli collocare tra i capolavori di Merello, poco ammette che essi appartengano ad un semplice apprendistato divisionista.

Capanna o Capanna tra gli alberi, 1900 -1906, ( Genova. Società Promotrice di Belle Arti. LIII Esposizione, 1906)

Nella resa d’una fredda atmosfera invernale, sulla collina d’alberi, in una sapiente dosatura degli azzurri, Merello denuncia lo stringente rapporto con Pellizza, frequente nelle opere di questo momento, intorno al 1905 – 6. Ma più solida vi appare la superficie cromatica, giocata anche sui valori plastici del colore, che si fa corpo degli elementi, in un bisogno delllartista di attenersi alla concreta evidenza delle cose. Una tematica tutta ligure, s’accompagna qui allo scabro possesso degli elementi: uno dei motivi di fondo della poesia nata in questo paesaggio, da Roccatagliata Ceccardi a Pastonchi, a Sbarbaro e Montale.

Bosco invernale, 1900-1906, ( Genova. Società Promotrice di Belle Arti. LIII Esposizione, 1906)

Può ritenersi un felice esempio (come Fienile) della mediazione avvenuta sui testi del divisionismo italiano. Ma personalissima è la visione cui giunge Merello, nella creazione di una luce atmosferica nella quale s’incide netta la trama sottile degli alberi

Alberi fioriti, 1909 circa
Negli anni in cui Merello mette a fuoco una particolare interpretazione del linguaggio divisionista, nella sua opera si alternano dipinti di severo rigore compositivo, in cui l’empito espressivo determina un più congestionato disporsi della materia cromatica. Scaturite dall’impatto diretto con il motivo, che traducono in inedite dissonanti gamme cromatiche, queste opere attestano la grande capacità di identificazione emozionale di Merello con la natura. Anche nelle opere più immediate il controllo dell’emozione e tuttavia costante in Merello. avvertibile nel calibrato comporsi della struttura disegnativa e cromatica del dipinto, che trova perfetto unita nella luce.

C’è un’ampiezza di contenuti, in queste opere, espressa con tale coscienza di forma, per cui è impensabile che esse, considerata anche l’età dell’artista, ed il fatto che la sua conclusione degli studi accademici data al 1892, rappresentino gli inizi di Merello pittore.
Più logico pensare che Merello, durante la sua fase iniziale, dedicata alla scultura, esercitasse in maniera approfondita la pittura.
La datazione del gruppo di opere esposte alla  LIII Esposizione Società Promotrice di Genova del 1906 va quindi spostata agli inizi del secolo.

Oltre al rapporto con la pittura di Segantini, altri elementi di cultura, emergenti dall’analisi dei dipinti, confermano il fatto che i primi quadri divisionisti di Merello siano nati sul finire del secolo.
In particolare nel Paesaggio, la componente simbolista è forte: non un simbolismo di natura letteraria, come accadrà di lì a qualche anno in Cominetti, ma una ripresa di modi stilistici propri a quell’area.
Nell’opera di Merello echeggia la memoria di Böcklin: interpretato, come solo gli era possibile, attraverso la versione che negli ultimissimi anni del secolo Nomellini, ancora a Genova, ne dava.
L’opera di Nomellini presentava uno straordinario connubio tra visione naturalistica e visione simbolica, con un uso assolutamente non scientifico, ma istintuale, della tecnica divisionista.
Tanto l’immaginazione simbolica che la versione poco ortodossa della tecnica divisionista offerta dal pittore nella sua opera furono certamente motivo di interesse per Merello.
Lo testimoniano alcuni altri ritrovamenti: due piccole, bellissime opere, da datarsi intono al 1898 non solo per i caratteri stilistici che li avvicinano al già citato Paesaggio, ma anche per la qualità del supporto, un cartone usato da Merello in quegli anni, e per la scrittura della firma che vi compare, propria a quel tempo e mai più presente in quella particolare versione negli anni a venire.
Uno di essi, raffigurante una piccola baia tra gli scogli, è molto prossimo, quanto a soluzioni stilistiche, al Paesaggio.
La materia pittorica densa e scura, è condotta secondo andamenti curvilinei, quasi avvolgenti, a chiudere nella morsa della pasta cromatica le forme degli oggetti raffigurati.
Nella densità degli impasti di bruni e di terre sbucano filamenti di colore acceso, e la materia pittorica si distende come uno screziato magma tutt’attorno alla più luminosa lama del mare.
Nello stesso modo nell’altro piccolo, coevo dipinto – raffigurante onde che si frangono contro gli scogli della costa – soluzioni divisioniste proprie al Nomellini del Naufrago, del Mare di Genova, o La pesca , con i tipici andamenti della pennellata “ad occhi”, emergono nella qualità generale dell’impasto, denso, di tono scuro con variegate, più accese cromie, come nel primo dipinto.
Più di altri piccoli quadri, sino ad oggi ritenuti le prime prove di Merello mentre in effetti non si tratta che di incompleti bozzetti, se non ritagli di più grandi opere”, i due dipinti indicati rappresentano le prime testimonianze, stilisticamente risolte, e di bella qualità poetica, dell’attività di Merello.
La pittura di Nomellini, nelle sue fondamentali componenti divisionista e simbolista, fu determinante nel fondarsi dell’esperienza dell’artista.

La lettura dei Principi scientifici del Divisionismo di Previati e in Merello posteriore all’assunzione della nuova tecnica.
Nel 1892, quando Nomellini dipinge Il golfo di Genova, Merello frequenta l”ultimo anno di accademia; ed e comunque certo che la novità tecnica importata dal pittore toscano e ben nota tra gli artisti, e conosciute quelle opere del maestro in cui l’osservanza divisionista, tra il 1891 e il 1893, e più stretta.
Nel 1891 Nomellini aveva inoltre dipinto il Mare di Genova, “vero paradigma del puntinismo con variazioni di pennellate dal punto al tratto lineare ed ellittico”, nel 1892 Sotto il pergolato, una visione di luce a tecnica divisionista, con singolare ricchezza di impasti cromatici.
Sia i temi di Nomellini, sia la particolare versione che egli dà della nuova tecnica – un divisionismo non scientifico ma “istintuale” – erano decisamente congeniali a Merello.
Echi delle soluzioni espressive proprie al Mare di Genova si potranno trovare in Merello ancora molti anni dopo la sua giovanile formazione sui modelli nomelliniani.
Quel modo di risolvere il motivo dell’onda a pennellate che, congiungendosi, danno origine a innumerevoli forme ellittiche, sarà proprio all’opera di Merello nel suo intero percorso, addirittura sino ai dipinti del suo ultimo periodo di attività.

Plinio Nomellini, Marina ligure, 1891

E proprio la svolta simbolista di Nomellini, sul finire del secolo, che sembrò a molti, allo stesso Pellizza, un abbandono imprevedibile delle originarie istanze divisioniste dell`artista, fu probabilmente intesa da Merello come il naturale sfociare di un’esperienza espressiva che, come la sua, pur essendo partita da premesse naturalistiche, manteneva salda una preminente istanza di tipo spiritualistico.
Non è documentato il viaggio a Milano di Merello, ma e molto probabile che l’artista si sia recato nel capoluogo lombardo almeno nel 1894, quando ebbe modo di esporvi la sua scultura in gesso, Finis, monumento funerario.
Con facilità a Milano Merello poteva conoscere dal vero l’opera di Segantini, che alle Promotrici genovesi aveva esposto solo nel 1892.
L’assimilazione del linguaggio del maestro e chiaramente avvertibile nelle prime opere di Merello, con quella particolare flessione però, che rivela l’avvenuto innesto dell’interesse per Segantini sulla più profonda, e diretta meditazione della pittura di Nomellini.
Probabilmente la consapevolezza chela visione di Segantini gli era in un certo senso più consentanea di quella di Nomellini
È in Merello posteriore alla prima assunzione dei modi stilistici segantiniani quale è dato accertare nel Paesaggio del 1898.
Nel posteriore Fienile, la conduzione della pasta pittorica a filamenti è più evidente che nel precedente dipinto, e il colore, prima costretto nella dominante bruna, come di luce soffocata in cui balenano improvvise accensioni (soluzione espressiva propria al Nomellini simbolista), diventa vivido ed opera la sublimazione del motivo naturale nella luce.
La pasta pittorica ad intreccio di filamenti stringe l’oggetto, esaltandolo nella sua consistenza plastico-luminosa, in evidente analogia con le soluzioni segantiniane.
Nei primi anni del nuovo secolo, certamente entro il 1906, Merello dipinge il gruppo di opere che documentano la rapida maturazione del suo linguaggio e il chiaro precisarsi della sua poetica.
Fienile tra gli alberi, Sottobosco, Bosco invernale, Ulivi, Albero e muro, Capanna, rappresentano le prime notevolissime affermazioni della poetica del pittore, e permettono inoltre di comprendere come Merello abbia potuto probabilmente recuperare il primo suggerimento nomelliniano – dedotto da dipinti come il Mare di Genova del  ’91, o La Pesca del ’93, esposto alla Promotrice genovese di quell’anno – oltre il breve e proficuo esordio in cui egli opera una meditazione sulla nuova visione simbolista del maestro.

 Sottobosco, 1898 – 1900
Alberi, 1898 – 1900

Quest’opera rivela l’accostamento al Nomellini, sia per l’andamento filaccioso e grafico delle pennellate, sia per il taglio di sbieco, con gli elemento obliqui e trascorrenti degli alberi. Il colore steso, non naturalistico, nella scelta dei gialli e verdi stridenti, non affronta ancora un problema di luce atmosferica.

Ulivi, 1902-1906
Albero e muro, 1902-1906

E’ leggibile in quest’opera, dipinta tra il 1905 e il 1906, una meditazione dei modi divisionisti attuata secondo andamenti della pennellata che ricordano la pittura del De Gaufridy, che di Merello fu amico e compagno d’arte. Ma largo è l’orizzonte che l’artista schiude alla sua pittura, in una assimilazione di suggerimenti del Pellizza, e in un’intelligente utilizzazione delle precedenti esperienze nomelliniane. Il rosso dominante, che pervade tutto il dipinto, lungi dal costituire un partito decorativo, dà significato al motivo, ambientandolo in una dimensione quasi emblematica. La chiusura dell’orizzonte, nell’avvicinamento al motivo, prelude ad altre più mature soluzioni di stretta identificazione con la natura, in una volontà d’essere nel corpo delle cose, che troverà una sua dimensione anche esistenziale nella solitudine degli anni sul monte: Merello fonda qui i presupposti per una tematica che, sua ora, diverrà propria alla poesia nata dalla frequentazione del paesaggio ligure, in una riduzione, appunto, dell’esperienza, all’emblematica evidenza delle impassibili forme di natura.

Il Fienile tra gli alberi , dipinto incompiuto in cui pare comparire l’eco di soluzioni di sottile puntinismo alla Pellizza (ma è più probabile che ancora il riferimento sia il Nomellini del Golfo di Genova), rappresenta un momento di sperimentazione di una tecnica divisionista più concisa, nella quale il colore si addossa alla struttura compositiva e disegnativa del quadro, orchestrandosi secondo una più ortodossa osservanza della nuova grammatica pittorica.
Essa imponeva l’apposizione dei punti cromatici sulla superficie nella calibrata composizione delle zone di colore-luce, in modo da ottenere una complessiva luminosità d’insieme.

Fienile tra gli alberi, 1902-1906

Un folto gruppo di opere è stato ritrovato, di cui due esposte in questa mostra, rispondente a questa necessità di Merello di sperimentare la nuova tecnica sul motivo.
Esse sono certamente di poco anteriori all’esposizione del Salon des Peintres Divisionnistes Italiens, del 1907, al quale Merello prese parte con la presentazione di sei dipinti, dei quali, come ho detto, almeno due ritrovati.

Paesaggio. Studio, 1906-1907, (Paris. Salon des Peintres Divisionnistes Italiens, , 1907)

Tanto La scogliera della donazione Grubicy, che Paesaggio. Studio, manifestano – in particolar modo il primo dipinto – sia il loro legame con il fissarsi del motivo naturale nella densità della materia pittorica, proprio al gruppo di opere che fanno capo al Paesaggio, che il distendersi del linguaggio di Merello in un più “fine puntinismo”.
Ma già il Bosco, pur nell’evidente stilismo simbolista – gli alberi modulati in andamenti lineari “segantiniani”, il taglio esemplato sulla memoria böckliniana di Nomellini – manifestano un più libero dispiegarsi dell’immagine nella luce naturale.
Essa però, proprio per il taglio quadro, per l’inconsueto rapporto tra il paesaggio e il cielo – lontano e corso di nuvole – per il senso di trascorrente modo impresso dalla pennellata sul terreno, assume una dimensione di memoria, remota e come assorbita in uno spazio senza tempo.
In ciò consiste il fondarsi della dimensione “mitica” della natura di Merello, pittore apparentemente naturalista, in realtà intento a trasporre il motivo in quell’aura simbolica che non verrà mai meno nel suo intero percorso.
Anzi, si rinsalderà al punto da costituire il motivo conduttore della poetica del suo ultimo, straordinario periodo di attività.
Molto acutamente il Brandi ha notato come questa trasfigurazione fantastica del tema naturale costituisca il punto di forza della pittura di Merello, il nucleo poetico che consente al pittore il superamento del suo iniziale naturalismo.
Nella formazione dell’artista è fondamentale l’acquisizione della nuova tecnica divisionista quanto l’avvenuta verifica della sua propensione immaginativa e trasfiguratrice sulla cultura simbolista.
Non è causale che Merello compia nel disegno e nella scultura un’ esperienza di natura simbolica, parallela e apparentemente disgiunta dalla sua pittura, sempre tenacemente legata al motivo naturale.
L’istanza di fondo della pittura di Merello e di natura simbolica: anche l’accoglimento del linguaggio divisionista e dovuto al fatto che in esso l’ artista ravvisa la possibilità di stravolgimento fantastico del  vero.
In Merello infatti il primo avvicinamento alla tecnica e alla visione divisionista, avviene sui modelli nomelliniani di fine secolo, quando nel maestro si afferma la nuova poetica immaginativa.
Non c’è dubbio che Nomellini sia stato il modello di riferimento più vicino a Merello.
Non solo perchè il divisionismo in Liguria fa capo a lui, ma perchè in Nomellini Merello poteva ritrovare le istanze fondamentali della sua vocazione: l’interesse per la natura- e di mezzi linguistici atti a modernamente interpretarla – e la componente immaginativa, propria all’intero percorso dell’artista toscano, anche nella fase propriamente divisionista.
L’ altro riferimento più prossimo a Merello fu poi Previati.
Ammesso anche che Merello non abbia visto la Triennale di Brera del 1891, dove, oltre che Segantini, esponevano Nomellini con la Piazza Caricamento, e Previati stesso con la grande Maternità totalmente divisionista, certo l’artista non ebbe difficoltà a conoscere l’ opera di quel pittore, noto a Genova anche prima del novecento.

Nel 1902 Previati espone la Via Crucis in San Donato, e Paolo De Gaufridy, critico genovese che sostenne sempre Merello, cercava di diffonderne l’opera
L’influsso di Previati, per altro determinante nel costituirsi di un “secondo” divisionismo nell’ambiente ligure nel primo decennio del novecento, è maggiormente percepibile, in Merello, nella produzione grafica.

Costa e alberi a San Fruttuoso, 1909 circa, (Proveniente dalla collezione Paolo De Gaufridy, Genova)
Gialli a San Fruttuoso, 1909 circa, (Proveniente dalla collezione Paolo De Gaufridy, Genova)

Per la ricchezza del colore, giocato in toni di gialli e ori con i grigi e i riflessi dell’acqua, quest’opera può essere ritenuta uno dei migliori raggiungimenti dell’artista negli anni che vanno dal 1906 al 1914. Il taglio stesso della composizione, porta a considerare il dipinto al di fuori dei consueti schemi rappresentativi, comuni anche alle migliori opere di Pellizza e in genere dei divisionistì italiani. Stupisce la capacità di questo artista di realizzare, nella solitudine d’una ricerca confortata da pochi scambi di cultura, immagini che senza difficoltà possono essere avvicinate agli illustri esempi della contemporanea pittura francese, di Vuillard, per esempio. Il rigore stesso della impaginazione spaziale, vicino alla severa misura del Fienile  e del  Sottobosco  del 1905  – 6, induce a sistemare il dipinto abbastanza indietro negli anni, sebbene il colore vi appaia libero, e il ritmo dell’immagine determinato soprattutto dalla sua autonoma vitalità. Nella chiusura dell’orizzonte, il dipinto denuncia la volontà dell’artista di isolarsi nel motivo, escludendo il racconto del paesaggio in favore di una più immediata adesione alla natura.

Quando Merello legge i Principi scientifici del divisionismo ha già assunto la nuova tecnica, e anzi ne ha maturato la sua particolare versione.
Anche i disegni anteriori al 1910 rivelano una più decisa assimilazione di soluzioni millettiane, quali potevano provenirgli dallo stesso Nomellini, e una persistenza su moduli plastici provenienti dall’interesse di Merello per i grandi esempi dell’arte antica.
Certo il tratto pittorico di dipinti come Bosco potrebbe essere fatto risalire a Previati, ma è una consonanza del tutto superficiale, che trova comunque conferma in pochissime altre opere, e solo in parte.
Pochi, per giunta di scarsa qualità poetica e pittorica, sono i dipinti di Merello a soggetto propriamente simbolista, ed appartengono comunque ad un’epoca più tarda, certamente dopo l’incontro con Sem Benelli.

Bosco, 1902-1902

L’istanza simbolica in Merello, per quanto riguarda la sua attività preminente di pittore, è interna all’immagine, rivolta alla trasposizione fantastica del motivo naturale.
Esiste invece in Merello una preoccupazione di carattere etico, che coinvolge la sua stessa concezione dell’ arte, e di conseguenza del ruolo dell’ artista.
La sua consonanza con Segantini è anche una simpatia di fondo per la concezione spiritualistica che il maestro ha della pittura.
Segantini con il suo isolamento a contatto della grande natura, fonte del mito e rigeneratrice dell’umana spiritualità, e un punto di riferimento di Merello come di molta cultura dell’epoca.
A Merello non interessa la religiosità di Previati, che si pone come un rifiuto del presente, quanto il misticismo della natura di Segantini, che ritrova in essa il persistere e l’attualizzarsi di antichi, duraturi valori.
Merello intende il disegno come una sorta di scrittura in grado di dar forma visibile alle idee.
Quell’abbandono di citi parla il Brandi, come dello stato di grazia che permette a Merello di superare l’ovvietà del motivo naturale, raramente accompagna l’artista nella sua attività di disegnatore.
Il disegno di Merello e trascrizione, certamente in una qualità grafica d’eccezione, della struttura ideologica, di pensiero, dell’artista.
Più cosciente rispetto alla pittura, esso e illustrazione di quel gran libro dei principi etici e filosofici di un’umanità che trascende se stessa nei valori, che l’artista vagheggiava come fine ultimo delle arti.
L’attività grafica di Merello – che ebbe esplicazione vastissima in grandi disegni, piccoli fogli, taccuini – è in un certo senso complementare alla pittura, rispetto alla quale libera l’aspetto più letterario e “culturale” dell`istanza simbolica e spiritualista dell’ artista, ad essa consentendo una più efficace espressione di contenuti poetici.
Per quanto riguarda le opere di sperimentazione divisionista dipinte da Merello agli inizi del secolo, a parte la qualità artistica, che è notevole, esse preparano il libero disporsi del colore nelle successive fasi dell’attività di Merello, e la conseguente, originale trasfigurazione fantastica del motivo che e loro propria.
La materia cromatica, nel minuto disporsi della pennellata a tratti, appunti, non tanto segue la configurazione naturalistica del soggetto, quanto il suo prospettarsi come mobile immagine di luci e d’ombre.

Costa, 1906 – 1907,  (Genova. Collezione CARIGE)

Fa parte del gruppo di opere nelle quali l’artista conduce un  discorso di più severa  osservanza puntinista, mosso tuttavia da quella intensità emotiva che caratterizza tutta la sua opera.

Ne consegue che l’immagine ha una trasparenza, una diffusa luminosità.
Scorporandosi, per così dire, dalla plasticità del motivo da cui pur trae origine, essa acquista una vitalità plastica del tutto nuova, fondata sull’equilibrato comporsi di zone di luce e zone d’ombra egualmente trapassate dalla tersa luminosità d’insieme. Il disegno, analitico, trapela nella tessitura cromatica dell’immagine, delicato segna andamenti dello spazio, ricama profili, circoscrive zone di luce e d’ombre.
Così nel Paesaggio sono presenti soluzioni pittoriche che accompagneranno Merello in tutto il suo percorso, come i piccoli tratti di verde – giallo che animano, nel cielo la stesura fredda dell’azzurro, così propri dell’artista, negli anni a venire, da connotare stilisticamente la produzione di un suo intero periodo.

Paesaggio, 1907 circa

Al 1906 data la prima comparsa di Merello alle Promotrici genovesi; nel 1907 prende parte, tra gli artisti di Grubicy, al Salon des Peintres Divisirmnistes Italiens.
De Gaufridy nel 1906 scrive che Grubicy “ha accaparrato la produzione di opere di Merello”.
Lo stesso De Gaufridy, presentando nel 1926 la mostra di Palazzo Bianco, smentisce poi la notizia a suo tempo data.
In effetti il rapporto tra Grubicy e l’opera di Merello si apre e si chiude tra il 1906 e il 1907.
Si potrebbe al massimo pensare che ancora per intervento di Grubicy Merello esponga nel 1911 a Saint Moritz, considerato che le opere presentate sono le stesse che già figurarono a Parigi.

Alberto Grubicy
(IDAL800900 – Istituto Documentazione Arte Ligure ‘800 e ‘900 – Archivio Rubaldo Merello)

Ma è anche vero che quei dipinti erano esposti insieme ad altri alla mostra di Merello, nel 1909, al Circolo Tunnel di Genova: quindi nell’ 1911  potevano anche non essere più a mani di Grubicy, tranne La scogliera, acquistata nel 1906.

San Fruttuoso di Camogli, 1907, (Genova.  Mostra Personale,  Circolo Tunnel,  1909. Genova, GAM)

Quest’opera, vicina per soluzioni tecniche, la fine resa divisionistica,  alla Scogliera, sebbene di qualità leggermente inferiore, rivela la particolare interpretazione che l’artista dà dei princìpi scientifici del divisionismo, in una contaminazione tra puntinato rigoroso, la scogliera rocciosa e pennellata a lunghi tratti,  il mare, nella ricerca d’una resa integrale della luce-colore.

Paesaggio con campanile, 1907 – 1909

Le ricerche condotte in questi anni, dopo la mostra del 1970, hanno permesso di comprendere le ragioni della scarsissima fortuna di Merello in vita, almeno dal punto di vista mercantile, e dell’esclusione della sua opera, sino al 1970, dal circuito nazionale della cultura.
Ancora oggi ci si imbatte in gravi difficoltà nel ricostruire l’opera dell’artista, e per le stesse ragioni denunciate da Sem Benelli in occasione della personale di Merello, da lui voluta, alla  Fiorentina Primaverile del 1922.

Così scriveva Sem Benelli in quell’occasione: “Nel gennaio di quest’anno è morto Rubaldo Merello, mirabile artista, solitario, sdegnoso, che fu sfruttato da molti, sconosciuto, amato solamente da pochi eletti: morto ancor giovane e povero.
Chi ha opere sue ne è geloso: e speriamo non voglia farne la solita speculazione, che a volte tradisce la memoria stessa dei morti gloriosi, seppure non ne ritardi il riconoscimento, come sempre impedisce che spiriti egregi e disinteressati rendano loro il tributo che merita. Ringraziamo il Cav. Alfredo Giannoni di Novara per aver voluto concederci, unico fra quanti furono da noi sollecitati, un gruppo di opere del morto…”

San Fruttuoso, 1907,  (Novara.  Galleria d’Arte Moderna Paolo e Adele Giannoni, come le altre sei opere che seguono)

 

In Scalinata del convento di San Fruttuoso  sono reperibili riferimenti all’ambiente monacense, per l’andamento decorativo della vegetazione, nell’uso di colori stridenti in cui l’azzurro intenso e i gialli giocano ruoli preminenti. La fermezza dell’immagine, nella fantastica caduta di fiori dal muricciolo sulla scalinata, dice di una visione che si va facendo sempre più interiore in Merello.

Nessun articolo compare sulla stampa di Genova a seguito della mostra di Merello alla Primaverile Fiorentina, così come avviene dopo la presentazione di una decina di sue tele alla Quadriennale torinese del 1923.

Paesaggio o Costa a San Fruttuoso, 1907 circa, (Genova. Società Promotrice di Belle Arti. LX Esposizione, 1914)
Case di San Fruttuoso, 1910 – 1912
Paesaggio, 1915 – 1918, (Milano.  Mostra alla Galleria Pesaro, 1926)

Si deve giungere al 1926 per vedere la personale alla Galleria Pesaro di Milano e la grande mostra di Palazzo Bianco.
Tra le voci della critica i soli Raffaele Calzini e Enrico Sacchetti evitano quella noiosa e retorica agiografia che propizia la santificazione di Merello, e il suo definitivo accantonamento.

La baia dell’Abbazia  e la ritmica dell’immagine

San Fruttuoso dal mare, 1907 – 1909
San Fruttuoso, 1907 – 1909
San Fruttuoso dal mare, 1907 – 1909
Calma a San Fruttuoso, 1907 – 1909
 Risacca. Baia di  San Fruttuoso, 1907 circa,  (Genova.  Mostra personale, Palazzo Bianco, 1926)

Dipinta probabilmente tra il 1905 e il 1907, quest’opera è affine, come soluzioni,
alla Scogliera della Galleria Nazionale e alla marina di San Fruttuoso di Genova Nervi [GAM]. L’immagine è realizzata in un taglio originale, con un puntinismo fine sulle rocce, mentre l’acqua vede risolversi il partito nomelliniano dell’onda ad ovuli in una più attenta osservazione naturalistica 

Le arcate dell’abbazia di San Fruttuoso, 1909 circa
 Meriggio estivo a San Fruttuoso, 1912-1914, (Genova. Mostra personale, Palazzo Bianco, 1926)
Tramonto a San Fruttuoso, 1918-1920, (Genova.  Mostra personale, Palazzo Bianco, 1926. Genova. GAM)

Anche se non è possibile stabilire un’esatta datazione per quest’opera, la si può ritenere compiuta tra il 1920 e il 1922, per la presenza di quella dominante azzurra che caratterizza le opere di questi anni e, soprattutto, per la sicurezza con la quale sono risolti, in un largo impianto compositivo, molteplici elementi, cielo, monte, acqua. Anche da un punto di vista culturale, l’immagine appare
costituita su di una ripresa abbastanza evidente di soluzioni di estrazione diversa: se la pasta pittorica è chiaramente improntata di quei caratteri di densità che sono tipici di questa ultima produzione di Merello, il disporsi della pennellata, che fa corpo con la forma stessa delle cose, collega il dipinto ad opere quali il  Fienile o la  Capanna tra gli alberi. La soluzione dell’acqua, poi, analoga a quella della  Mareggiata, svela un ricordo del Nomellini, sebbene l”immagine sia compresa entro un’unità di moti naturali che qualificano il dipinto in una dimensione non decorativa.

Questi fattori, insieme all’isolamento cui volontariamente in vita Merello si votò, hanno contribuito a far si che la sua opera rimanesse piuttosto circoscritta, e poco valutata la sua importanza.
Se si scorrono poi i cataloghi delle mostre cui Merello anche in vita partecipò, ci si accorge che i dipinti, anche eseguiti in tempi molto prossimi all’esposizione, non sono quasi mai di proprietà dell’artista.
L’unico nucleo probabilmente ancora a mani della famiglia dopo la morte di Merello, è composto di opere recenti, e passa alla Galleria Pesaro, da lì alle attuali proprietà, subito dopo la mostra del 1926.

 San Fruttuoso o Mareggiata a San Fruttuoso, 1914 circa, (Milano.  Mostra alla Galleria Pesaro, 1926)

Il dipinto, culmine d’una serie di studi dell’artista sul paesaggio della baia di San Fruttuoso, rivela una raggiunta padronanza dei mezzi espressivi, realizzata nel felice innesto del segno liberty su di una mobilità cromatica mediata dalla conoscenza delle opere di Nomellini. L’opera si realizza in una complessa unità cromatica che non esclude l’analitica indagine delle forme di natura. Il taglio dall’alto, nella esclusione dell’orizzonte, determina una focalizzazione del soggetto, che rappresenta un riuscito tentativo di collegare nell’unità del colore gli sparsi frammenti della visione. In questo dipinto si afferma definitivamente la capacità di astrazione di Merello. Partendo da una particolare interpretazione della tecnica divisionista, l’artista giunge ad una risoluzione immaginativa del tema naturale mediante l’uso emozionale del colore e del segno.

Queste constatazioni giustificano anche le più dure affermazioni di Sem Benelli “…fu sfruttato da molti” – e portano a condividere pienamente le osservazioni del Sacchetti quando, riferendosi alla “stranezza” che veniva imputata a Merello, dice: “… Lo conoscevo da poco e mi dissero che aveva la mania di persecuzione. Era vero, ma quando l’ebbi un po’ in pratica, mi avvidi subito che la sua mania era – se così si può dire – legittima… M’è parso naturale che la pittura fosse per lui una necessità e che l’esercizio di quell’arte assorbisse la massima parte delle sue energie; m’è parso naturale che cercasse un rifugio e un conforto in una disperata speranza, m’ è parso naturale che credesse d’essere perseguitato. Perché non ha da sentirsi perseguitato un uomo buono e intelligente che s’è fatto della vita un concetto molto elevato, che è sensibile da rabbrividire ad ogni mistero, che è povero e non può vivacchiare d’accordo con tutti?”.“
Sono poco incline a credere, anche perchè assolutamente non esistono prove o documenti al riguardo, che gli artisti e i letterati che, almeno sino al 1907  si recavano a trovarlo nell’eremo di San Fruttuoso, o la critica che con tanta idealistica retorica in vitae dopo la morte di Merello ne esaltò la solitudine operosa, abbiano veramente fatto molto per aiutarlo.

Il fico, 1910 – 1914

Opera di particolare interesse per l’accentrarsi in essa, dal punto di vista stilistico e tematico, dei motivi tipici di Merello.
Il soggetto della baia di San Fruttuoso è presente nell’intera opera del pittore come il motivo intorno al quale si coagula la carica emotiva dell’artista e si organizza il suo linguaggio pittorico.
Anche da un punto di vista tecnico – il tratto a filamento, non regolare, inteso talvolta a restituire plasticità alle forme raffigurate, talaltra a creare risonanze cromatiche sulle zone di materia-colore definenti i volumi spaziali del soggetto – il dipinto rappresenta una specie di summa delle  soluzioni del pittore.
E’ particolare l’invenzione di un tono dominante quale si riassumono le innumerevoli risonanze cromatiche del dipinto, quasi ad esprimere uno stato d’animo che, se trova la sua origine dal tema naturale, rientra poi in una interiorizzata contemplazione.

Aurora a San Fruttuoso, 1910 – 1914, (Genova. Mostra pittori liguri dell’Ottocento, Palazzo Rosso, 1938)
San Fruttuoso o Veduta di San Fruttuoso, 1910-1914, (Genova. Mostra pittori liguri dell’Ottocento, Palazzo Rosso, 1938. Genova, Museo dell’Accademia Ligustica di Belle Arti)

Il largo taglio vedutistico, tipico di una serie di opere del Merello, si giustifica, con la volontà dell’artista di verificare sulla vasta impaginazione del paesaggio, nella varietà di aspetti che lo compongono, la tecnica divisionistica.

Luci della riviera o  Mattino a San Fruttuoso, 1917-1920, (Torino. Società di Belle Arti. Esposizione Quadriennale, 1923.  Genova, GAM)

Poca attenzione la critica – fatta eccezione per il già citato scritto del Brandi – ha mostrato nel tempo per l’opera di Rubaldo Merello, circoscrivendone la portata alla sua appartenenza al Divisionismo italiano, come se il maggior merito dell’artista fosse quello di essersi accostato ad un movimento che, tutto sommato, ai primi del secolo aveva già fatto il suo tempo, e non di averne sviluppato in modo consono alle proprie esigenze espressive, con una grande sensibilità al tempo, i suggerimenti.
Anche i dipinti dopo il 1910 vengono abitualmente letti in chiave divisionista, malgrado essi si distacchino completamente dall’osservanza di quella tecnica, di cui del resto il pittore mai diede una versione ortodossa. Il solo Brandi intuì che l’opera di Merello, proprio per quel suo accostarsi, più che alle linee della cultura italiana dell’epoca, dalle quali anzi divergeva, alla pittura dei grandi isolati europei – Munch, Bonnard – doveva essere considerata nel contesto dell’arte del nuovo secolo proiettata sul presente.
Alla base dell’invenzione di linguaggio che Merello opera, prospettando, in maniera apparentemente inspiegabile, personalissime soluzioni, non sta un atteggiamento “culturale” (già Brandi dice: Merello non poteva conoscere Van Gogh. Non ha visto né Munch, né Bonnard) bensì un dramma vissuto, e la necessità di comunicare, al di là della cultura e del mondo dal quale, per situazione biografica, e anche per scelta di vita, si sentiva escluso.
Hanno coinciso, la situazione di Merello e le sue scelte d’arte, con un dato di fatto obiettivo del tempo: il relativo disimpegno della cultura corrente, in particolar modo italiana, nella difesa dell’individualità creativa a fronte degli eccessivi entusiasmi per i grandi clamori di innovazione.
Merello sentiva la necessità di rifondare un linguaggio che rispondesse all’esigenza di mantenere un legame individuale, anche estremo, con il mondo: come avvenne in Munch o in Bonnard nel nuovo secolo.
Tra gli interpreti di Merello, nel suo tempo, il solo Sacchetti mostra d’aver compreso il profondo significato dell’opera di Merello anche nella sua ultima espressione, quando scrive: “ […] quel rettangolo di paese che egli dipinge, pur essendo mutilato dalla cornice vive intensamente la sua ora cosmica in un’abbacinante fissità.   Niente sentimentalismi, né mollezze elegiache crepuscolari, ma solo la rappresentazione della vita terrestre (l’uomo e sempre escluso ) fatta da un fiero testimone che ha già in bocca il sapore dell’al di là  […] Merello ha scoperto che tutte le forme organiche vivono sommerse in un bagno turchino che e il colore dell’infinito, e per lui l’ ombra e la luce hanno una cupa intensità siderale e le ombre sono come intrise della serenità dei grandi spazi dove la luce passa senza fermarsi”.

Sole a primavera, 1910 – 1914, (Genova. Mostra pittori liguri dell’Ottocento, Palazzo Rosso, 1938. Genova, Museo dell’Accademia Ligustica di Belle Arti)
Alba di primavera a San Fruttuoso,1918-1922, (Milano. Mostra alla Galleria Pesaro, 1926)

Opportunamente entrava nel gioco delle parti l’artista scontroso isolato sul Monte, spossessato della sua stessa arte, intento all’impresa che pago duramente nella più desolata miseria “.
Chi lo conobbe bene lo descrive per niente incline ai compromessi, difficile nei rapporti sociali seguito con più tenacia, nel novecento, al di là delle stesse avanguardie : “…Basta sapere, come io so, in che conto tenesse gli uomini [..] Aveva per loro un sentimento complesso di cui soltanto gli uomini intelligenti sono capaci; che si chiama pietà e che è – non tutti lo sanno – una mescolanza di carità e di disprezzo. Questo sentimento che se fosse universale potrebbe servir di base sicura ad una serena ed armonica convivenza sociale, genera spesso allo stato attuale dei rapporti umani, la misantropia […]  Merello era un solitario. Io non sono punto sicuro che amasse la solitudine ma ad ogni modo quella solitudine potrebb’essere la chiave per capir l’uomo…”.
L’opera di Merello, al di là della prima, significativa stagione divisionista e, come già Brandi indico, da riconsiderare nel più ampio contesto degli esiti del postimpressionismo: come una delle esperienze della pittura italiana che, partendo dalle fonti dell’arte moderna, hanno perseguito con più tenacia, nel novecento, al di là delle stesse avanguardie storiche l’approfondimento di un originale, significativo nucleo poetico.
L’assunzione del divisionismo non spiega totalmente il particolare linguaggio che distingue il percorso di Merello dopo il 1910, anno entro il quale, all’incirca, si colloca la sua esperienza di più o meno stretta osservanza di quella tecnica.
Ho già osservato che un’applicazione abbastanza rigorosa del procedimento per punti di colore, desunto con ogni probabilità dall’opera di Nomellini, compare in un gruppo di dipinti dei primi anni del novecento. Merello inizia la sua attività come scultore, uscendo nel ’92 dall’accademia: anche su questa sua prima attività si danno affermazioni perentorie, ma le sole prove sicure sono la già indicata presenza alle Esposizioni Riunite.
Esposizione Triennale di Brera del 1894, con un’opera in gesso, e un documento del 1896 dal quale l’artista risulta autore di un cippo funerario.
D’altro canto un autorevolissimo testimone, il Sacchetti, dice che Merello “[…] un bel giorno ha smesso di dipingere e s’è messo a far della scultura” e ancora “[…] poco prima di morire si mise a fare della scultura”.

 

Ovvio che tali affermazioni, scaturite dalla constatazione dell’impegno di Merello, a partire dal 1914, per l’esecuzione della grande scultura del Dolore, non escludono che in giovinezza l’artista si fosse dedicato per anni all’attività plastica.

Ma certo l’opera di quel tempo, perduta probabilmente a causa della fragilità dei materiali e del poco conto in cui l’artista stesso la teneva, non doveva essere di grande importanza, se non è rimasta alcuna traccia nella stampa del tempo.
Dopo l’esecuzione della statua del Dolore, Merello invece si dedicò con più frequenza alla scultura, tanto che le fotografie rimaste dell’ultimo studio in Santa Margherita permettono di rilevare la presenza di un’altra opera realizzata, e probabilmente destinata ad una fusione che mai avvenne, e di numerosi oggetti decorativi in gesso

Un piccolo numero di sculture, certamente di mano di Merello dal momento che di quasi tutte esistono disegni ad esse riferibili, è comparso in questi anni.
Tutte comunque sono senza dubbio eseguite dall’artista dopo il 1914.
Lo si deduce dal fatto che esse sviluppano temi in analogia con il tema del grande bronzo del Dolore, ma soprattutto dalle soluzioni stilistiche delle opere, prossime ai disegni della stessa epoca, in particolare a quelli eseguiti in comunanza di idee con Sem Benelli.
La scultura e il disegno rappresentano il completamento ideale della visione di Merello, intesa ad un’aspirazione “tragica verso l’assoluto”.
Già il Sacchetti avvertiva l’ inopportunità di una interpretazione naturalistica della pittura di Merello ” […] la scelta del momento solare non ha importanza se non perché quello è un momento tipico nel quale i caratteri dell’assoluto sono più evidenti […]  e a proposito della scultura e del disegno diceva poi che l’artista “amava lo scheletro delle cose”: la figura umana, tema centrale dell’arte di Merello nella plastica e nel disegno, rappresentava per l’artista la massima identificazione dei valori formali ed espressivi, il punto di riferimento più alto, anche concettualmente, della sua concezione dell’universo.
In rare occasioni invece Merello ha tentato, in pittura, l’immissione della figura nel paesaggio.
Troppo forte in lui era la coscienza di forma perchè egli cadesse nell’equivoco di sovrapporre la figurazione mitologica, densa di contenuti “culturali”, alla rappresentazione emozionale della natura.
Per questa ragione la sua opera dipinta sembra apparentemente discordare dalla produzione plastica e grafica, prevalentemente incentrata invece sulla figura umana.
In realtà Merello, nel disegno, si dedica alla rappresentazione del mito poichè avverte che esso rappresenta una sublimazione concettuale, e comunicabile attraverso la cultura, dei conflitti dell’esistenza.

La sua esperienza diretta riguarda la natura: il pittore la investe di quella forza di trasfigurazione simbolica che gli strumenti del linguaggio gli consentono.
Il senso “mitico” della natura deve scaturire dalla sua rigenerazione all’interno della visione: e la visione nasce dall’emozione sul motivo, non ammette intrusione di contenuti culturali, moralistici o filosofici, di cui i disegni invece sono densi.
E’ anche un problema di linguaggio: la pienezza pittorica dei dipinti di Merello, condotta con una foga espressiva eccezionale, coagula sulla configurazione fantastica che l’opera restituisce dell’iniziale motivo di partenza.
La figura, per entrare a far parte della visione, deve scaturire dall’affastellarsi del colore, dal disporsi emozionale del ductùs disegnativo del quadro.
Non sovrapporsi al motivo, come in tanta pittura simbolista dell’epoca avviene.
Forse l’unico dipinto di Figura nel paesaggio realizzato da Merello è quella piccola opera, che trova riscontro in un più rifinito disegno, in cui il pittore rappresenta una bagnante nell’abbacinata luce naturale.
Qui veramente la figura e “espressione” del paesaggio: un grumo di bianco che scaturisce dal concitato comporsi della pasta pittorica densa, intrisa di luce.
La figura si pone come centro di significato nel dipinto non perchè rappresenti un’immagine umana, ma perchè tale immagine concentra pittoricamente le quantità luminose del paesaggio.
Una tale poetica della figura nel paesaggio, se non ha, come ho detto, che pochi riscontri in Merello, trova un naturale sfondo nella sua opera, considerata la straordinaria capacità di visione che la gran parte dei dipinti dell’artista manifestano.
Tale visionarietà non ha eguali nella pittura italiana dell’epoca, al punto di rendere comprensibili le ragioni per cui il Brandi già nel 1956 faceva i nomi con la perspicacia di cui solo un grande critico e capace, di Munch e di Bonnard.

E non è possibile indicare fonti per l’evolversi del linguaggio di Merello dopo il 1910, se non rifacendosi a quell’iniziale sua esperienza divisionista, da cui peraltro il pittore si era ben presto staccato sia concettualmente che dal punto di vista tecnico.
Sacchetti ancora riferisce, ma non è il solo, della preoccupazione dell’artista che gli venisse rubato “qualche segreto di tecnica e forse addirittura un suo misterioso quid artistico che gli pareva d’aver imprigionato in una formula”.
 In effetti, a parte le giuste preoccupazioni in un artista che si vedeva più o meno sottratta la sua intera produzione, la tecnica di Merello è del tutto eccentrica dopo il ’10, e in perfetta sintonia con la particolarità della visione.
Brandi parla di Van Gogh, ma dubita giustamente che l’artista lo conoscesse.
Del resto, essendo morto nel ’22, e poco probabile che sia arrivato – dice sempre lo studioso – “ad aiutarsi con delle tricromie”.
Da quali modelli gli sia disceso il divisionismo già ho detto: non erano comunque tali da spiegare il colore davvero “immaginario e dissidente” che Merello dispiega nella sua opera migliore.
A partire all’incirca dal 1910, Merello presenta nell’opera un’orchestrazione cromatica inedita, un’affabulata e del tutto particolare formulazione dell’immagine.
Il motivo naturale è sì alla base dell’ispirazione dell’artista, ma viene stravolto, ricomposto in configurazioni fantastiche, in accordi assolutamente inediti tra il ductus lineare e la materia pittorica.

Ulivi a San Fruttuoso, 1915-1918, (Milano. Mostra alla Galleria Pesaro, 1926. Genova, GAM)

È, una delle opere più felici del Merello, per essenzialità dell’immagine che si determina in un taglio dall’alto, in una matura tecnica divisionistica memore delle passate esperienze pittoriche, compresa quella nomelliniana. Lo spazio, a precipizio sul mare, viene realizzato in valori di colore, nella estrema mobilità cromatica dei primi piani, dispersi in una incandescenza di pagliuzze di pigmento, cui fa riscontro la compatta e luminosa massa dell’acqua in secondo piano. La modernità del taglio del paesaggio, obliquo, in una creazione di spazio, non prospettico, ma trascorrente e aperto, avvicina quest’opera alle soluzioni di paesaggio di Monet.

Non tutte le opere di Merello rappresentano compiute realizzazioni.
Ancora Brandi ha invitato opportunamente a distinguere la produzione che in maniera troppo pedestre discende dal soggetto pittoresco, dai dipinti in cui pienamente si realizza, nel forte distacco emotivo dal soggetto, la visionarietà di Merello.
E’ certo che l’artista, nella solitudine cui volontariamente s’era ritirato, intese dar vita ad un suo ideale di identificazione totale, al di là dei compromessi del consorzio umano, con la natura, intesa come luogo di originaria purezza.
La continua insistenza dell’artista, avvertibile negli innumerevoli fogli colmi di appunti in minuta scrittura oltre che di disegni, su temi filosofici e etici, lo confermano.
“L’ idea centrale di Merello – dice Sacchetti – era questa: la grande necessità della lotta contro il male.
E i suoi disegni, e qualche sua scultura erano costruiti su questa architettura diremo così morale. 
La pittura no… Perchè l’artista di razza, vale a dire l’uomo che per intendere l’universo fa dell’arte non ha bisogno delle favole o di costruire cartelli filosofici”.
Al di là delle consonanze con la cultura del suo tempo, che il primo periodo della sua attività attesta, Merello ha inconsciamente teso alla rifondazione di un linguaggio sulle premesse etiche sulle quali si reggeva il suo rapporto con il mondo.
L’originale carica emotiva, che e anzitutto sostanziata dall’incontro tra quella fondamentale esigenza etica e la grande attitudine contemplativa e poetica, gli consente di esprimersi in un linguaggio semplice, primordiale nel senso che trascende la cultura e la stessa scienza della pittura, implicita nelle sue immagini come in un gioco regole che non impediscono il manifestarsi di imprevedute soluzioni.

Le pinete di San Fruttuoso nelle flessioni del linguaggio e dell’interiorizzata contemplazione

Pini e mare, 1907 circa
Paesaggio con alberi, 1909 circa

Si può ipotizzare, per questo dipinto, che rivela un gusto compositivo più compiuto, dopo l’esperienza di diretto approccio al motivo mediante la nuova tecnica divisionista applicata in modo non ortodosso, piu istintuale che metodico,  una datazione intorno al 1909. Merello non apponeva quasi mai date alle sue opere.
Nei dipinti successivi compaiono le soluzioni

cromatiche e compositive proprie all’intera attivita del pittore. Le varianti sono sempre determinate dalla diversa situazione espressiva che sostanzia l’immagine.

Costa a San Fruttuoso, 1910 circa
Mattino sul mare, 1910 – 1914

Opera di particolare interesse per l’accentrarsi in essa, dal punto di vista stilistico e tematico, dei motivi tipici di Merello. Il soggetto della baia di San Fruttuoso è presente nell’intera opera del
pittore come il motivo intorno al quale si coagula la carica emotiva dell’artista, e si organizza il suo linguaggio pittorico. Anche da un punto di vista tecnico- il tratto a filamento, non regolare, inteso talvolta a restituire plasticità alle forme raffigurate, tal altra a creare risonanze cromatiche sulle zone di materia-colore definenti i volumi spaziali del soggetto – l’opera rappresenta una specie di summa delle soluzioni del pittore. E particolare è l’invenzione di un tono dominante nel quale si riassumono le innumerevoli risonanze cromatiche del dipinto, quasi ad esprimere uno stato d’animo che, se trova la sua origine dal tema naturale, rientra poi in una interiorizzata contemplazione.

Pini sul mare, 1910 – 1914

Salda impostazione compositiva e petrigna densità del colore-luce fanno di quest’opera una delle migliori della maturità di Merello. L’immagine appare sorretta da finissimo disegno che incide le variegate forme degli alberi e la costa

Primavera,  1910 – 1914
Alberi rossi, 1915 circa
Pini sul mare, 1915 circa
Pini scabri, 1915 circa
Pini, 1918 – 1920
Pineta o Boscaglia, 1918 – 1920, (Genova.  Mostra personale, Palazzo Bianco, 1926)

Ho già detto come sia estremamente difficile stabilire una cronologia delle opere di Merello, sia perché l’artista non apponeva date ai dipinti sia perchè le mutazioni, nell’arco di tempo relativamente breve della sua attività, non sono leggibili su cambiamenti tematici ma su interne flessioni del linguaggio. Intorno al 1918-20 la configurazione ottica del soggetto
rappresentato va completamente stravolgendosi, e il ritmo dell’immagine, sia da un punto di vista cromatico che segnico (quasi sempre i due aspetti in Merello vivono in perfetta fusione)
diviene totalmente emozionale ed astratto. Anche la luce abbandona del tutto ogni compito di scansione volumetrica del soggetto e dilaga nel campo del quadro, pervadendolo di una luminosità che, pur essendo totalmente slegata dall’ ora solare, rimanda, come per allusione di memoria, alla chiarità del paesaggio.
Da questo momento dell’arte di Merello ha inizio la fase ultima della sua attivita, caratterizzata da un assorbimento delle variare cromie delle epoche precedenti, anche della dominante rossa, in un diffuso tono di azzurro.

Il mondo visibile e il riferimento del pittore, ma nel senso che egli così profondamente vi è legato (“Il volto della sua piccola patria – dice Sacchetti – lo conobbe come si conosce il volto di nostra madre”) da esprimere nella pittura il suo rapporto attraverso relazioni astratte, di pura sostanza pittorica: un colore, il disporsi del segno, la luce nel tessuto della materia pittorica.
Ha raccontato chi lo conobbe che Merello percorreva instancabile le pendici del Monte alla ricerca del motivo, quindi, trovatolo, lavorava febbrilmente.

La punta della Torretta nelle varianti sempre determinate dalla diversa situazione espressiva che ne sostanzia l’immagine

Verdi sul promontorio, 1907 – 1909
Mattino a  San Fruttuoso, 1910 -1914, (Genova.  Mostra personale, Palazzo Bianco, 1926)

Anche il ductus ondulante della linea, proprio dell’esperienza simbolista, non ha in Merello funzione decorativa, ma scandisce il tempo “emozionale” dell’immagine. Gli elementi naturalistici sono totalmente assunti nella nuova visione simbolica di Merello.

 Mattina sul promontorio, 1910 – 1914
Costa della torretta a San Fruttuoso, 1910- 1914
Promontorio di Portofino 1910 -1914, (Genova. GAM)

Opera databile tra il 1905 e il 1906 per il persistere di soluzioni tradizionali, come i colpi di luce sul tronco dell’albero, a destra, e gli interventi cromatici, molto liberi, sugli alberi stessi e sul fianco del monte. Il dipinto rivela la sicura capacità disegnativa del Merello, nell’uso d’un segno che incide analitico la roccia, chiarendone la struttura. La fiancata del monte è osservata con un’acutezza che permette al pittore di creare fitte trame di segni che bloccano in unità la plastica del monte. 
All’Esposizione della Società Promotrice di Belle Arti del 1914 fu assegnata a Rubaldo Merello la seconda sala per una mostra personale. Alle 29 opere e ai 25 disegni inizialmente presenti in mostra furono successivamente aggiunti, fuori catalogo, altri dieci dipinti, in data 9 luglio 1914. Tutti i dipinti in catalogo portano il titolo Paesaggio. Dei dipinti fuori catalogo non si conosce il titolo e non è stato possibile verificare se fossero tutti di proprietà privata. Il dipinto in oggetto, acquistato dal Comune di Genova presso la Società di Belle Arti, con deliberazione del 10 settembre 1914, e registrato nell’inventario della Galleria d’Arte Moderna con il titolo Portofino, non è quindi con sicurezza identificabile con uno dei Paesaggi in catalogo.
Si tenga inoltre presente che anche quando i dipinti di Merello risultano in catalogo di proprietà privata, ciò non sempre esclude che non siano in vendita: il critico d’arte P. De Gaufridy, per esempio, collezionista e sostenitore dell’artista, ebbe localmente una funzione non dissimile da quella del più noto A. Grubicy e si occupò anch’egli, direttamente, della diffusione e commercializzazione dell’opera dell’artista.

 Azzurro ligure o Azzurro mediterraneo, 1910-1914, (Genova.  Mostra personale, Palazzo Bianco, 1926)
 Pineta o Alberi sul mare, 1910-1914,  (Genova. Museo dell’Accademia Ligustica di Belle Arti)
Marina o Promontorio dall’alto, 1910-1915 

Pensato, come il quadro seguente, per un trittico dedicato alla natura di San Fruttuoso, nel quale doveva essere simboleggiata l’unità cromatico-luminosa dei momenti solari che determinano la vita dell’ambiente nel quale l’artista viveva.  E’ collegabile, per la ricerca d’una visione d’insieme tra momenti separati, al clima simbolista di quegli anni e, in questo caso specifico, agli esempi di Pellizza e Previati. Ma in Merello la trattazione delle singole parti del trittico avviene sulla base d’una separata esperienza dei momenti di natura, tanto che ciascuno di questi dipinti può essere considerato a sé stante. Il taglio leggermente convenzionale di queste opere non impedisce che in esse si realizzino, anche per l’accuratezza della esecuzione tecnica, autentici valori. Ne è un esempio questo tondo, per la sapiente dosatura del controluce e, più, per la straordinaria intensità cromatica, fatta corpo con la struttura del monte, in una sintesi felice di modi divisionistici, e di tarda
esperienza liberty. 

Tra cala dell’oro e San Fruttuoso, 1915 circa

Opera databile oltre il 1915,  per la raggiunta maturità di visione che, nella riduzione del colore ad un tono dominante giunge ad una misura tutta mentale dell’immagine. Anche nella cromia riportata al rosa-violaceo, l’opera vive per una sottile intelligenza dei valori, realizzati in segni minuti, con una tecnica finissima, ereditata in Merello dall’educazione liberty.

Mareggiata, 1915-1918, (Milano. Mostra alla Galleria Pesaro, 1926. Genova, GAM)
Pino a San Fruttuoso, 1918-1920,  (Genova.  Mostra personale, Palazzo Bianco, 1926. Genova. GAM)
 Costa Ghidelli o Veduta di Punta Torretta, 1918 circa, (CRT Tortona)

Particolarmente evidente la trasformazione dell’iniziale linguaggio divisionista di Merello in una sorta di fauvismo inteso alla interpretazione lirica della luminosità dell’ambiente.

Il linguaggio fauvista come interpretazione lirica della luminosità dell’ambiente

Mareggiata a San Fruttuoso, 1907 – 1909
Arcate dell’abbazia, 1914 circa

La condizione liberty del segno permette a Merello di realizzare una perfetta unità tra gli elementi della composizione. Anche le notazioni cromatiche, nell’accostamento di tratti allungati di colore, risentono della sua educazione, anche se il dipinto appare risolto con una libertà tipica delle opere degli anni a venire.

Tutto era già dato, come una nozione poetica a priori che il motivo rendeva possibile esternare.
Nella produzione migliore di Merello l’identificazione fantastica “non procede più dal motivo alla coscienza, ma dalla coscienza al motivo, e se ne appropria, lo dibatte, lo strapazza: e suo, e un groviglio di mare, di sale, di sangue”.
Così Merello può inventare quell’inedito linguaggio in cui la sua appassionata istanza di assoluto si effonde in una attribuzione di valore poetico, astratto e spirituale, a colori dissonanti: “…un giallo non chiama più il suo azzurro, ma s’incontra in una rosa corallo, e le ombre e i riflessi del mare incitano dei colori strani a posarsi, come uccelli di passo”.
Può giungere a quella riduzione del tono su di una tonalità rossa od azzurra che non vanno intese come connotazioni proprie a periodi diversi del pittore, ma come il progressivo tendere, in una sempre maggiore rarefazione del legame tra l`immagine e il motivo, ad una forma d’espressione totalmente interiorizzata del suo rapporto con il mondo.

Case a San Fruttuoso, 1914 – 1915, (Genova.  Mostra personale, Palazzo Bianco, 1926)

San Fruttuoso o Chiesa di San Fruttuoso, 1918 -1920, (Milano. Mostra alla Galleria Pesaro, 1926. Genova, GAM)
Chiesa di San Fruttuoso, 1918 – 1920, (Milano. Mostra alla Galleria Pesaro, 1926)

Sacchetti parla, a proposito di questi dipinti a dominante azzurra, di luci “di cupa intensità siderale”. Ho già indicato come la particolare soluzione stilistica propria a quest’ultima fase di Merello rappresenti l’estremo risultato cui l’artista perviene nella progressiva interiorizzazione del motivo. Soluzioni stilistiche che hanno remota origine nella prima formazione di Merello – uso del colore puro, conduzione della linea in andamenti che segnano i percorsi emozionali del quadro – trovano in queste opere la loro massima liberazione espressiva. Sottratto al fremito impressionista il paesaggio emana dal suo interno la luce: una luce fonda, affiorante come bagliore di nascente alba. Merello muove con una grande libertà espressiva la materia cromatica intensa: azzurri,
gialli luminescenti, toni soffocati di violetti e di bruni. E il segno, mobile, traccia percorsi, sensibili diagrammi d’emozione, individua presenze fantasmatiche nello spessore immateriale dell’immagine.

Nella serie dei “giardini”, dipinti da Merello con ogni probabilità a partire dal 1917-18 (ma il tema verrà ripreso, come di frequente accade nell’opera dell’artista che, specialmente dopo il ’15 , è caratterizzata da ritorni degli stessi motivi), si manifesta quell’attitudine alla trasmutazione fantastica della luce naturale del soggetto in una diffusa luminosità a tono dominante, ora roseo o rosso, ora azzurro.
Rosso e azzurro, come colori che ribaltano il motivo dalla sua naturalità all’ astratto spazio della visione, si combinano spesso a partire da questi anni nell’opera di Merello, creando un tessuto pittorico immaginifico e astratto.
L’artista trasfigura il motivo nel ritmo continuo dell’emozione, condizione ormai del tutto interiore più che occasione scaturita dal contatto con la natura.

Giardini, terrazze e fiori. 
La trasfigurazione dal motivo all’emozione

 Terrazza fiorita o Giardino con glicine, 1917 – 1918
Giardino con colonnato e glicine, 1917 – 1918, (Milano. Mostra alla Galleria Pesaro, 1926)
Terrazza con glicini, 1917 – 1918, (Milano. Mostra alla Galleria Pesaro, 1926)
Irisi, 1918 – 1920

L’esempio di Segantini, di cui pare di poter trovare una più profonda eco nelle opere a dominante azzurra degli ultimi anni di attività di Merello, ha avuto grande significato per l’artista proprio in questo: che gli era di conforto, nella solitudine della difficile impresa, l’analoga ricerca di assoluto che il grande maestro aveva nel recente passato condotta.

Paesaggio. Monte di Portofino, 1918 – 1920, (Genova.  Mostra personale, Palazzo Bianco, 1926)

Il dipinto è da ritenersi opera compiuta, e come tale fu esposto alla Mostra di Palazzo Bianco nel 1926, e riprodotto anche sul catalogo. Tuttavia, proprio perché l’esecuzione dell’opera e dall’artista arrestata in una fase in cui, pur avendo l’immagine compiutezza, si
può supporre che potesse ammettere una successiva elaborazione, il dipinto aiuta a comprendere il procedimento creativo dell’artista. Su di una base di diffusa tonalità dominante Merello imposta il variato tessuto degli accordi cromatici, conferendo straordinaria evidenza, mediante il colore, a parti dell’immagine. Esse divengono cosi posizioni focali nell’ inedita organizzazione dello spazio della visione.

 La dominate azzurra. 
Sussulti nello spazio di “cupa intensità siderale”

Paesaggio, 1918 – 1921, (Milano. Mostra alla Galleria Pesaro, 1926)
Bosco di castagni, 1918 – 1921, (Milano. Mostra alla Galleria Pesaro, 1926)

Opera appartenente alla piena maturità dell’artista, da riferirsi con ogni probabilità agli anni tra il 1915 e il 1920. L’immagine si determina qui, come in quasi tutte le opere migliori della maturità, in un abbandono del taglio largo sul paesaggio, e in una stretta identificazione, grado a grado, del momento manuale, dell’esecuzione, con il momento emotivo. Superato anche un certo facile gusto per il taglio pittoresco, ereditato dalla tradizione, Merello vi appare liberamente teso a verificare la propria emozione nei moti stessi del colore, in un avvicinamento, anche ottico, al motivo, che lo porta a reperire temi nuovi, al cuore stesso di quella natura cui si è accostato con profonda emozione. Il De Gaufridy parla di quadri perduti, che certo aiuterebbero a precisare questo mondo, interessante per i riferimenti che può trovare in tutta una tematica della poesia moderna, cui s’è accennato, dal Roccatagliata Ceccardi, a Sbarbaro e Montale: ” lo spalto d’un muro, o uno scoglio nudo o un cespuglio magro o qualche ciuffo d’erba in un sudicio cortile tra vecchi casamenti popolari” . Questa riduzione dell’angolo di visione dice appunto d’una avvertita necessità di riportare l’immagine ad uno stretto riconoscersi entro i frammenti d’una natura che non può darsi nei modi dell’ampia veduta ottocentesca, e insieme del dimensionamento dell’etica dell’artista sull’identità arte-esistenza. 

Pino a Portofino, 1920 – 1922, (Milano. Mostra alla Galleria Pesaro, 1926)

Il dipinto, per qualità e dimensioni, è una delle opere di maggiore importanza dell’ultima fase di attività di Merello. Lo stesso soggetto, della terrazza sul mare, è trattato dal pittore in quattro versioni, anche secondo soluzioni linguistiche differenti. La prima versione per esempio, è condotta sulla dominante rossa, e risale probabilmente a qualche anno prima. Ciò conferma come in Merello i motivi siano ricorrenti, persistenze immaginative che si affacciano nella sua opera trasformandosi non in relazione alla diversa ora solare in cui il tema si presenta, ma in rapporto al diverso stato d’animo dell’artista. Opportunamente il Brandi, parlando di Merello nel 1956, istituiva rapporti tra la sua pittura e quella di alcuni grandi maestri del novecento europeo. Il linguaggio dell’artista si propone come un’inedita riattualizzazione delle fonti dell’arte moderna. Linguaggio d’emozione, e di contenuti, non dialoga con la cultura italiana dell’epoca, ma  – come gia Brandi rilevò – con le esperienze dei grandi isolati europei, da Bonnard a Munch. In questo, come nei dipinti che seguono, è dato ravvisare una capacità di folgorazione poetica che strettamente si attua nei mezzi della pittura,  con quello spessore di contenuti e con quella apparente ”inattualità” rispetto al suo tempo, che permette di avvicinarli alle analoghe vicende espressive dei grandi maestri europei dianzi citati.

San Fruttuoso (dal mare),  1918 – 1921, (Milano. Mostra alla Galleria Pesaro, 1926)
Convento di San Fruttuoso, 1918 – 1921
Piante grasse o Fichi d’India,  1919 – 1921, (Milano. Mostra alla Galleria Pesaro, 1926. Genova. GAM)
Paesaggio o Bosco di castagni, 1918 – 1921

Questo dipinto è con ogni probabilità da considerarsi tra le ultime opere di Merello: documenta, in ogni caso, l’estremo corso del suo linguaggio pittorico, “L ‘ombra e la luce ” – dice Sacchetti, nel passato il più acuto critico dell’artista non sono per lui “i termini di un vecchio rapporto scolastico”.
Proprio per la necessità di riportare la visione ad un continuum espressivo che risponda all’unità della visione, si spiega in Merello il ricorso al diffuso tono di azzurro. Esso non sacrifica la varietà cromatica che è propria alla sua intera esperienza, ma esalta anzi le risonanze emozionali dei singoli colori. I colori dislocati nel gran fluire di una luce non d’impressione, ma astratta e rispondente all’unità della visione che si dispiega attraverso i diversi dipinti, assumono valenze psichiche, come scarti, sussulti nello spazio di “cupa intensità siderale”, dunque di tragica, astratta contemplazione.
Già riferendosi alla precedente attività di Merello Sacchetti dice “Se guardate i suoi quadri dipinti a San Fruttuoso e a Portofino, un ‘aura di tristezza vi avvolge e qualche cosa di tragico vi turba, ma quella tristezza e quella tragedia son consolate, e – se volete – redimite e fiorite”.
Già dipinti come Case a Santa Margherita, probabilmente di poco anteriore a questi, attestano che il linguaggio dell’ultimo Merello e nutrito d’una grande ricchezza cromatica, e che il tono dominante di azzurro discende dall’intensità emozionale con la quale l’artista sposta il motivo d ‘impressione sull’ astratto schermo della visione. Del resto l ‘intera opera di Merello, almeno dopo il 1915, e` caratterizzata da questo slancio a distrarre il tema dalla sua contestualità impressionistica in un’astratta, ferma luce d’immaginazione. Ciò ha indotto a parlare di volta in volta di “periodo rosso”, di “periodo azzurro”: in efletti a partire da quegli anni la ricerca di Merello è`orientata da una tensione trasfiguratrice, rivolta ad uno spostamento del soggetto nello spazio totalmente autonomo della visione. La ricerca cromatica su toni dominanti è conseguenza della tensione espressiva dell’artista, mosso da una fondamentale ossessione di astratta luce; dominanti “rossa” o dominanti “azzurra” si intrecciano in una varietà di soluzioni assolutamente non univoche. In un totale superamento, dunque, di quel naturalismo che talvolta, come notava Cesare Brandi, costituiva nel passato una remora al libero dispiegarsi dell’immaginazione creativa di Merello.
Sacchetti parla di tristezza “redimita e fiorita”: un ‘acuta interpretazione letteraria dei modi espressivi e linguistici di Merello in questa fase matura della sua attività. Nella “cupa intensità siderale” delle luci, i dipinti affiorano tracciati di colore intensi, di tonalità risonanti proprio perche punteggiate, sparse nel tessuto astratto della diffusa, persistente liquidità degli azzurri. Come in certe immagini dell’ultimo Bonnard, i gialli acidi, i bianchi luminosi, i verdi, i segni violetti , fioriscono nel campo dello spazio illimitato, remoto perche arretrato entro la profondità di un tono: come un velario steso tra se e la realtà del motivo ispiratore. Ancora Brandi notava che nella pittura italiana tra il 1920 e il 1922 non si trova poi tanto che abbia un respiro veramente europeo: non dico quanto ad imprestiti culturali, ma per intensità d’espressione. A fronte di esperienze di semplice riporto culturale “ben altrimenti stanno in piedi” – diceva – “certi quadri di Merello”. Credo che l’artista, intento nella sua solitudine ad una disperata ricerca d’assoluto, ad un sogno della natura come metafora di un valore universale, eterno, che resiste al tempo, abbia raggiunto nella sua opera risultati di una tale consapevolezza della necessità di un ritorno alla coscienza separata del mondo, da poter accomunare la sua arte a quella dei grandi isolati del novecento, come Munch, come Bonnard, come Corinth.

Ultimo atto

Paesaggio rosso, 1922, (secondo la testimonianza della figlia Piera si tratta dell’ultimo dipinto impostato da Merello prima della sopravvenuta morte e rimasto pertanto incompiuto. E’ stato conservato prima dalla moglie Laura e poi dalla figlia come ricordo dell’ultimo momento di vita del pittore.
(IDAL800900 – Istituto Documentazione Arte Ligure ‘800 e ‘900 – Archivio Rubaldo Merello)

Galleria

Il retroterra culturale, e linguistico, dal quale Merello muove è stato chiarito.
Sin dai suoi inizi Merello tenta una conciliazione tra arte di visione ed arte di espressione.
Il postulato postimpressionista, di un inscindibile legame tra l’immagine e il visibile, trovava un suo primo esito nell’accoglimento della visione, e della tecnica, del divisionismo.
Sul fervore ideale di Merello, sulla sua tenace volontà di identificazione con il motivo, già testimoniano le opere della sua prima fase di attività.
Il radicalizzarsi del mito della natura coincide con il progressivo isolamento dell’artista, con il totale affermarsi della visione come coscienza separata del mondo, e con il conseguente stravolgimento espressivo degli iniziali modi linguistici.
Avviene che ogni soluzione formale che Merello ha adottato nella sua prima fase di attività, risalga per l’impervia strada di un’assunzione della pittura come esperienza totale alla sua primigenia origine linguistica: perciò si è potuto talvolta interrogarsi sull’eventuale conoscenza che Merello possa aver avuto di Monet, o di Van Gogh.
In realtà Merello inventa una lingua propria: rispondente alla particolarità di una visione dalla quale la cultura non e esclusa, ma rifondata sulla base di un primordiale, e assolutamente autentico, sentimento della natura, intesa come luogo, e mito, sul quale si rigenerino i segni e l’ immagine attinga una dimensione di assoluto.
Se il paragone con Van Gogh è inopportuno dal punto di vista storico, linguistico, e anche di valore, ben giustificata appare l’analogia avanzata dal Brandi quando si consideri l’intensità della visione, e il fatto che gli strumenti espressivi, totalmente ad essa subordinati, pervengono ad un inedita, “primitiva” configurazione.
Naturalmente la ristrettezza degli iniziali modelli di riferimento dell’artista, un problema di gusto non superato soprattutto per i limiti dell’ambito culturale in cui egli si e mosso, e che talvolta gli ha impedito di superare la suggestione del “soggetto” – costituiscono una remora di fondo ad un più libero ed ampio esplicarsi della sua visione.
Ma, dice ancora Brandi riferendosi all’artista, nella pittura italiana di quegli anni “non c’è poi molto” dopo il futurismo e la metafisica: e certi dipinti di Merello, fondati sulla totale identificazione tra arte ed esistenza, ben altrimenti “stanno in piedi” dei “divoti imparaticci” o degli ”arrovellati cézannismi” di altri, e più noti pittori del novecento italiano.

Autoritratto, 1915 – 1920, (IDAL800900 – Istituto Documentazione Arte Ligure ‘800 e ‘900 – Archivio Rubaldo Merello)
I suoi taccuini,  (IDAL800900 – Istituto Documentazione Arte Ligure ‘800 e ‘900 – Archivio Rubaldo Merello)

La produzione di disegni è vastissima in Merello, e accompagna l`intero percorso dell’artista.
l più antichi disegni datano al 1896, con soggetti mitologici e allegorici.
Il tema del mito e l’allegoria sono frequentissimi, in fogli di grandi dimensioni dopo il ‘900, in formati più piccoli, e anche in un gran numero di schizzi di minima dimensione.
L’altro tema frequente è quello della figura singola, generalmente ambientata nel paesaggio.
Riesce a Merello quel che nella pittura raramente l’artista ha tentato: l’inserimento della figura nel paesaggio, non in funzione descrittiva di una data azione che il personaggio stia compiendo, ma in una fissazione emblematica della posizione dell’uomo nella natura, cui con la sua presenza conferisce significato.
Generalmente si tratta di grandi disegni a tecnica mista, carbone e sanguigna.
Molto bene Sacchetti descrive il procedimento disegnativo di Merello, consistente nel risolvere il problema di allontanare il piano sul quale compare la figurazione mediante un “velario”, ottenuto strisciando la sanguigna.
I disegni di questo tipo, circoscrivibili entro il 1915 , sono quasi sempre dedicati dall’artista.
Esemplare il gruppo dedicato ad Agostino Virgilio, che fu tra i pochi veri estimatori di Merello.
I disegni di paesaggio non sono molti, quasi tutti riferibili agli anni sino al ’10, ed in particolare al momento in cui Merello sperimenta la tecnica divisionista.
Si tratta in genere di figurazioni di costa, alberi, scorci di San Fruttuoso.
Anche nel genere “paesaggio” esistono frammenti di fogli di studio, e disegni da taccuino.
Pochi sono i taccuini rimasti integri: generalmente smembrati, è frequente ritrovare i disegni singoli.
Esiste poi tutta una produzione legata alla scultura, ed eseguita dopo il ’14.
In genere i grandi disegni con progetti di monumenti funerari, si distinguono per l’accurata esecuzione, per la tecnica (carbone, talvolta con interventi di sanguigna) che ottiene trasparenze finissime.
Particolarmente pregevoli, perla rapidità esecutiva che arriva a risultati di grande vigore espressivo, i disegni collegati all’esecuzione della grande statua del Dolore.
Rarissimi i pastelli di Merello: se ne conoscono tre; pochi anche gli acquerelli, generalmente a soggetto di paesaggio, come  San Fruttuoso o di figura, del tipo della Divinità marina.

Testi
Gianfranco Bruno, 1990
Testi, apparati e ricerche iconografiche
Franco Diol
i, 2020
Divinità marina

San Fruttuoso di Portofino
In memoria del pittore Rubaldo Merello

Rubaldo Merello a San Fruttuoso
Il profilo del monte di Portofino, è senza dubbio bellissimo. Fine, delicato, dalla parte di ponente, ove siamo usi ad osservarlo noi, appare come un vetro leggermente tinto di viola.
Salirlo poi, in particolare nelle giornate di fine inverno, od, all’inizio della primavera, è cosa piacevole, poichè si tratta di paesaggio interessantissimo, che potrebbe farla gioia di un poeta amante della natura, odi un pittore desideroso di temi semplici, ma suggestivi.
E’ una successione ininterrotta di motivi che si rinnovano di continuo, originali, sempre vari di colorito, rapida visione di bellezza che soggioga l’osservatore.
Dopo Ruta, si sale perla cresta del monte verso la vetta, ed anche qui offre una visione panoramica sorprendente.
Ma proseguendo per la strada che scende a Portofino mare, in uno dei punti più pittoreschi e bizzarri, località denominata dalle “pietre strette”, rocce alte e strette che contendono quasi il passo al viandante, si scende per una strada pittoresca, ma asprissima, a San Fruttuoso, antica proprietà feudale dei Doria. Stranissimo paesaggio! Rocce di puddinga e pini, cardi, mirti, sterpi, fiori selvatici della più varia e bizzarra flora! Ovunque un profumo agreste, intenso, impregna tutta l”aria, come balsamo vivificatore. Penetra nei polmoni, quasi a fugare la inquinata aria cittadina. La stradicciola scende tortuosa, sempre ripida, deserta, talvolta anche faticosa. Tra il sottile ricamo dei pini, laggiù in basso, nel profondo della gola chiusa da dirupi sassosi, s’agita il mare, di un colore fantastico, irreale. E più s’avvicina a noi, più appare suggestivo ed attraente. Colorazione che ci ricorda Portovenere, Capri, Amalfi, luoghi trai più incantevoli d’Italia. Anzi qui, poichè talvolta è limitato in antri solitari, appare più fantastico ed emozionante.
Da questo strano idillio fra la terra ed il mare, nella più cupa solitudine che mente umana potesse concepire, è sorto questo rifugio che da secoli riposa tranquillo, dimenticato, incurante alle collere bieche degli elementi, che più di una volta ne minacciarono la esistenza.

La baia di San Fruttuoso

 

Ed è cosa naturale, che fiorissero intorno ad esso leggende e fantasie. Qui vi scese un giorno Böecklin, artista valorosissimo, e non invano riteniamo, poichè talune tele sue, delle più impressionanti risentono il carattere leggendario, romantico, originalissimo di questa terra incantatrice.
Vi scesero in ogni tempo artisti, e vi soggiornarono lieti della vita quasi primitiva alla quale ben volentieri si sottoponevano, per comprendere tutta la intensa, emozionante poesia.
Leggendaria è la costruzione della Badia nei primi secoli seguenti il mille, i famosi maestri lombardi ebbero campo di estendere la loro prodigiosa attività, con una lunga serie di monumenti religiosi rimasti tra le costruzioni più notevoli ed importanti di questo periodo, e tra gli altri è certamente da considerarsi opera loro, anche questa ricostruita su tracce della prima antichissima.

L’abbazia di San Fruttuoso 1880 circa

L’esempio più tipico e la cupola, leggiadrissima, il chiostrino decorato da archi e colonne, con capitelli del loro stile romanico, assai pregevoli. Nella parte inferiore del piccolo chiostro, i D’Oria, tra i più audaci e temuti ammiragli dell’antica repubblica, ebbero un pensiero in vero ben poetico, quello di riunire in un sepolcreto, le salme gloriose dei loro combattenti del secolo XIII, solenne riposo d’innanzi a questo mare immenso, sul quale gloriosamente avevano dominato in vita.

Abbazia di San Fruttuoso. Le tombe dei Doria (1275-1305)

L’abbazia, per quanto isolata, anzi tagliata fuori nei tempi passati dalla vita civile, ebbe attraverso vicende interessanti, parte non spregevole nella vita religiosa d’allora, in questo lembo di Liguria.
Di fronte a San Fruttuoso, vi si svolsero non poche mischie, anzi vere battaglie navali, talune delle quali rimaste ben vive nel ricordo. Tra le altre, la flotta genovese, ebbe a subire da parte dei veneziani, una grave sconfitta, nella quale però, sebbene vinto, rifulse il valore di uno Spinola, e con gesto cavalleresco vollero attestarlo i vincitori stessi allo sfortunato ammiraglio avversario.
Andrea D’Oria costruì la torre che trovasi un po’in alto a difesa dei corsari che di continuo tentavano prede nel tempio e nelle misere casupole dei pescatori, le quali costituirono in ogni tempo la popolazione del romitaggio.
Note sono le gesta ardimentose di questa umile gente. Valga l’esempio, come giustamente lo ricorda una lapide murata nella casa da essa abitata, di Maria Avegno, che nella notte del 21 aprile l855, incendiatasi in alto mare una fregata inglese, e rifugiatasi cercando scampo nel seno di San Fruttuoso, unitamente alla sorella Caterina, si slanciava nelle acque profonde, sacrificando la propria vita, per salvare quella degli altri.
Tre sono le insenature del monte di Portofino verso il mare, e questa delle tre la meno selvaggia, forse appunto fu indicata dalla voce dell’angelo, che consigliò i diaconi recanti le reliquie di due martiri cristiani, a fermarvisi, provvedendo ad erigervi una chiesa.
E’ vero che la leggenda riferisce, che in quei tempi vi avevano rifugio delle belve, ed un famoso dragone aveva il compito malvagio di sommergere le navi, ed annegava i marinai.
Ma appena scesero i taumaturghi, le belve scomparvero, e del dragone non rimase che il ricordo.
Tutto il monte dalla parte del mare e di natura selvaggia, e quasi inaccessibile.
In alto qua e la un grigio argento ci avverte che qualche olivo s’affaccia sui pini. Poco coltivato, ne fanno fede le brevi striature di verde tenero, qualche rarissima casetta, appena visibile. Più le rocce si avvicinano al mare, più il paesaggio assume carattere originale. Quando la collera del mare e in piena, forti boati rimbombano negli antri profondi, un tempo rifugio di corsari, di saraceni, di tutta la feccia che terrorizzava questo mare e verso la quale, in ogni tempo la repubblica volse una caccia spietata.
Vi sono episodi famosi che ricordano questa lotta, tra pirati e galee genovesi finite sempre con la supremazia di queste ultime, che di fronte al pericolo nulla temevano. […] rifugio di marini, antro di leggende misteriose, nido prediletto di gabbiani e nel passato di pirati ed avventurieri del mare, di uomini coraggiosi ed audaci fino alla temerarietà, meta ricercata da spiriti solitari, da gitani entusiasti che dal vecchio semaforo, scendono tra le irte boscaglie precipitanti verso il mare […] San Fruttuoso, chiuso nel suo antro superbo, e stato in ogni tempo visitato, ammirato, ricercato, e le difficoltà di accesso, sia dalla parte del monte, sia da quella del mare, non distolsero i veri amanti a visitarlo, beati della loro solitudine, dei suoi laboriosi taciturni abitanti, dei suoi pini, protesi in un eterno amplesso tra la terra e il mare […}.
L’ombra dei bellicosi guerrieri, che dormono da secoli nella gentilizia abbazia il sonno che non ha risveglio, pare ci ammonisca a difendere la loro solitudine!
Ultimo un puro eroe della bellezza, del quale abbiamo posto il nome in capo a queste poche pennellate, il pittore Rubaldo Merello, che in numerose tele esaltò la bellezza selvaggia di questo mirabile angolo di natura, forse creato dalla fantasia di qualche superbo diabolico sognatore, col dolce sorriso che ne caratterizzava l’ampio volto, sempre sereno e mite, riflesso di un animo profondamente buono, pare anch’esso risorga per ammonirci a difendere il suo San Fruttuoso, che conobbe le sue piccole gioie, i suoi dolori, ma che raggio in lui un grande sogno verso la Natura, di profonda infinita bellezza…

30 agosto 1938,  Angelo Balbi

Angelo Balbi

Gli abitanti di San Fruttuoso giunti via mare a Portofino per partecipare alle esequie di Merello
Portofino,  2 febbraio 1922 , (IDAL800900 – Istituto Documentazione Arte Ligure ‘800 e ‘900 – Archivio Rubaldo Merello)

Pochi popolani e pescatori accompagnarono la salma del grande artista al cimitero di Portofino e ne coprirono di alloro il tumolo
(Orlando Grosso)

Il paesaggio

La figura nel paesaggio

Allegoria e mito

Maternità

Ritratti di famiglia

Religione

L’arte funeraria

 

 

 

 

 Le pubblicazioni e i cataloghi delle mostre

Per una puntuale biografia critica
http://www.pittoriliguri.info/pittori-liguri/rubaldo-merello-biografia-critica/

 

Bibliografia

Monografie

– A.M. Comanducci, I pittori italiani dell’Ottocento – Dizionario critico e documentario, Milano, Artisti d’Italia ed, 1934
– P. De Gaufridy, Del governo dell’arte, Torino, Bocca ed., 1934
– A. Cappellini, La pittura genovese dell’ottocento, Genova, Tip. Terrile, Olcese, 1938
– A. Springer – C. Ricci, Manuale di storia dell’arte. Dall’Ottocento ai giorni nostri, Bergamo, Ist.Ital. d’Arti Grafiche ed., 1943
– O. Grosso, Genova e la Riviera Ligure, Roma, Libreria dello Stato, 1951
– A. M. Damigella, L’impressionismo fuori di Francia, Milano, Fabbri, 1967
– M. Bonzi, Galleria genovese immaginaria, Pavona, Sabatelli ed., 1968
– T. Fiori (a cura di) con prefazione di F. Bellonzi , Archivi del Divisionismo, Roma, De Luca ed., 1969
– F. Galotti, Pittura e scultura d’oggi in Liguria, Genova, Artisti Riuniti ed., 1970
– G. Bruno, La pittura a Genova, Genova, Sagep ed., 1971
– M. Monteverdi, Storia della pittura italiana dell’ottocento, Milano, Bramante ed., 1975
– V. Rocchiero, Scuole, gruppi e pittori dell’Ottocento ligure, Savona, Sabatelli ed. 1981
– G. Bruno, La pittura in Liguria dal 1850 al divisionismo, Avegno (Genova), Stringa ed., 1982
– G. Bruno, La pittura in Liguria dal neoclassicismo al divisionismo, in Catalogo dell’arte italiana dell’ottocento, n.12, Milano, G. Mondatori, ed., 1983
– R. Tassi, Color Liguria, in Figure nel paesaggio. Scritti di critica d’arte 1977-1996, Parma, Guanda, 1999
– G. Costa – F. Dioli, Liguria. Pittori tra ‘800 e ‘900, Genova, GGallery 2003
– F. Caroli, Il Divisionismo. Pinacoteca Fondazione CRT, Milano, 2015

Riviste ed articoli di giornale

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– A. Balbi, Alla Promotrice, “Il Lavoro”, Genova, 30 maggio 1907
– A. Pastore, La LIV esposizione della Promotrice di Belle Arti, “Corriere Mercantile”, Genova, 26 giugno 1907
– P. De Gaufridy, Esposizione M. al Tunnel, “Caffaro”, Genova, 1 febbraio 1908
– P. De Gaufridy, Cronache d’arte. Esposizione M. al Tunnel, “Caffaro”, Genova, 27 gennaio 1909
– A. Balbi, L’esposizione M., “Il Lavoro”, Genova, 18 marzo 1909
– A. Balbi, L’esposizione di Belle Arti, “Il Lavoro”, Genova, 14 maggio 1910
– A. Balbi, All’esposizione di Belle Arti, “Il Lavoro”, Genova, 5 giugno 1911
– P. De Gaufridy, Della moderna arte italiana e di un artista ligure, “Caffaro, Genova, 18 giugno 1911
– P. De Gaufridy, Della moderna arte italiana e di un artista ligure, “Caffaro”, Genova, 19 giugno 1911
– A. Angiolini, Alla Società Promotrice, “Il Lavoro”, Genova, 15 maggio 1913
– P. De Gaufridy, Dell’arte e di un artista alla Promotrice, “Caffaro”, Genova, 24 maggio 1913
Il pittore M. “Il Lavoro”, Genova, 21 giugno 1914
– P. De Gaufridy, Nuove opere nella sala M. al Carlo Felice, “Il Caffaro”, Genova, 10 luglio 1914
– A. Carotenuto, R.M., la mostra a Palazo Ducale di Genova, “Il Secolo XIX”, Genova, 5 ottobre 2017
– F. Burlando, R.M. tra divisionismo e simbolismo: la mostra a Palazzo Ducale “Mentelocale”, Genova, 5 ottobre 2017
– C. Almanzi, Genova, grande successo per M. a Palazzo Ducale “Notizie.it”,Genova, 17 gennaio 2018
– O. Grosso, L’esposizione di Belle Arti, a Genova, “Pagine d’arte”, a. II n. 14, Milano, 30 agosto 1914
– E. Cozzani, La Liguria per l’arte, “Gazzetta di Genova”, Genova, 31 gennaio 1916
Una mostra di artisti genovesi nell’Associazione dei giornalisti, “Caffaro”, Genova, 1 febbraio 1922
– O. Grosso, R.M., “Corriere di Genova”, Genova, 2 febbraio 1922
– P. De Gaufridy, R.M. “Caffaro”, Genova, 3 febbraio 1922
L’assessore di B.A. e Sem Benelli per R.M., “Caffaro”, Genova, 4 febbraio 1922
– P. Perelli, In morte di R.M., “Il Secolo XIX”, Genova, 4 febbraio 1922
– P. De Gaufridy, In memoria di R.M., “Caffaro”, Genova, 26 marzo 1922
– P. De Gaufridy, La mostra di piazza di Francia, “Caffaro”, Genova, 10 giugno 1922
– P. De Gaufridy, Previati e M. nella Galleria Nazionale di Roma, “Caffaro”, Genova, 18 giugno 1922
– E. Sacchetti, Il pittore R.M., “Dedalo”, VII, Firenze, 1922
– R. Calzini, R.M., “Il Secolo”, 4 settembre 1923
– F. Steno, Il Signore della luce, “Il Secolo XIX”, Genova, 30 maggio 1926
La mostra M., onorare i maestri, “Il Lavoro”, Genova, 2 giugno 1926
La mostra M. “Il Lavoro”, Genova, 5 giugno 1926
R.M,. “Il grido d’Italia”, Genova, 20 giugno 1926
– O. Grosso, La mostra postuma di R.M., “Emporium” LXIV, Bergamo, dicembre 1926
– P. De Gaufridy, La galleria municipale d’arte moderna nel palazzo Serra a Nervi, “La Grande Genova” , bollettino municipale, Genova, novembre 1928
– A. Podestà, La mostra di pittura ligure dell’Ottocento, “Rassegna dell’Istruzione Artistica”, settembre-dicembre 1938
– A. Podestà, Genova: una mostra di pittura ligure dell’Ottocento, “Emporium”, gennaio-marzo 1945
– P. De Gaufridy, R.M., “Genova” , III, Genova, 1950
– G. Riva, Cronache d’arte e di cultura, “Genova”, XI, Genova, novembre 1951
– A. Angiolini, R. M.: il più eloquente interprete del Tigullio, “Il Lavoro Nuovo”, Genova, 8 novembre 1951
– G. C. Ghiglione, Note d’arte, “Il Secolo XIX”, Genova, 14 novembre 1951
– E. Zanzi, Ricordo di M., “Corriere del Popolo” 14 novembre 1951
– G. Riva, R.M., “Genova”, II, Genova, febbraio 1953
– C. Brandi, R.M. “Il Resto del Carlino”, Bologna, 28 marzo 1956
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– M Poggialini Tominetti, Un decennio di studi sul Divisionismo Italiano, “Arte Lombarda”, n. 50, 1978
– M.F. Giubilei, Il dibattito sul simbolismo nella pubblicistica genovese di fine ottocento, “Resine”, n.4, aprile-maggio 1980
– G. Bruno, La pittura in Liguria tra ‘800 e ‘900, “La Casana”, n.4, Genova, 1981
– F. Sborgi, Appunti per una storia dell’art nouveau in Liguria, “La Regione”, Genova, maggio-agosto 1983
– G. Bruno, L’arte figurativa a Genova tra otto e novecento, “Il Ragguaglio Libraio”, n. 7-8, Milano, luglio-agosto 1988
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R.M. visioni nella luce, “La Repubblica”, 10 agosto 2004
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Cataloghi

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LVII Esposizione Società Promotrice di Belle Arti,(catalogo della mostra, Genova, 1911), 1911
LIX Esposizione Società Promotrice. di Belle Arti, (catalogo della mostra, Genova, 1911), Genova, 1911
LX Esposizione Società Promotrice di Belle Arti, (catalogo della mostra, Genova, 1913), Genova, 1913
Esposizione Quadriennale, (catalogo della mostra, Torino, Società Belle Arti, 1923), Torino,1923
– E. Sacchetti, R.M., in Mostra individuale di pittori C. Carrà, G. De Chirico, e postuma di R.M., (catalogo della mostra, Milano, Galleria Pesaro, febbraio 1926) Milano, G.Pesaro, 1926
– P. De Gaufridy (a cura di) Mostra postuma di R.M., (catalogo della mostra, Genova, Galleria Palazzo Bianco, maggio 1926), Genova,1926
I Mostra chiavarese d’arte moderna, (catalogo della mostra, Chiavari, 1926), Chiavari,1926
I Mostra nazionale d’arte marinara, (catalogo della mostra, Roma, 1926-27), Genova, 1926
– O. Grosso (a cura di), Mostra di pittori liguri dell’ottocento, (catalogo della mostra, Genova, Palazzo Rosso, 1938), Genova, 1938
Mostra postuma di R.M. con E. Olivari, (catalogo della mostra, Genova, Galleria De Pasquali, 1951), Genova, G. De Pasquali, 1951
– P.S. Rodocananchi in Mostra celebrativa di R.M., (catalogo della mostra, Genova, Accademia Ligustica, febbraio-marzo 1953), Genova, 1953
Arte moderna in Italia 1915-1935, (catalogo della mostra, Firenze, Palazzo Strozzi, 1967), Firenze, 1967
– V. Rocchiero (a cura di), Maestri della pittura ligure del secondo ‘800 e del primo ‘900, (catalogo della mostra, Genova, Galleria Liguria, 1968) Genova, G.L., 1968- Z.Birolli, R.M. in Mostra del Divisionismo italiano, (catalogo della mostra, Milano, Palazzo della Permanente, marzo-aprile 1970), Milano, Arti Grafiche E. Guardoni, 1970
– G. Bruno (a cura di), Mostra di R.M., (catalogo della mostra, Genova, Palazzo dell’Accademia Ligustica, 19 settembre – 8 novembre 1970) Genova, Erga, 1970
– Z. Birolli, R.M. in G. Bruno (a cura di) Mostra di R.M. (catalogo della mostra, Genova, Accademia Ligustica, 1970), Genova, Erga, 1970
– V. Rocchiero (a cura di), Maestri divisionisti in Liguria, (catalogo della mostra, Genova, Galleria Liguria, 1971), Genova, 1971
– G. Marcenaro (a cura di) 1911/1925 Genova cultura di una città (catalogo della mostra, Genova, 30 maggio – 30 giugno 1973), Genova, 1973
– G. Bruno (a cura di), Immagine e paesaggio Liguria 1850-1970, (catalogo della mostra, Genova), Genova, 1979
– G. Bruno (a cura di), La pittura in Liguria tra ‘800 e ‘900, (catalogo della mostra, Genova, 1981) Genova, 1981
– V. Rocchiero ( a cura di ), Mostra di pittori liguri della riviera di levante, (catalogo della mostra, Chiavari, Centro Studi Chiavari, 1985) Genova, Ed. culturali internaz., 1985
– G. Marcenaro (a cura di), Genova, il Novecento, (catalogo della mostra, Genova, Centro dei Liguri 20 maggio – 10 luglio 1986), Genova, Sagep, 1986
– G. Bruno, Il Divisionismo in Liguria, in Divisionismo Italiano, (catalogo della mostra, Trento, Palazzo delle Albere, 1990) Milano, Electa, 1990
– M.F. Giubilei (prefazione), La pittura di paesaggio in Liguria tra Otto e Novecento, (catalogo della mostra, Genova, Museo di S.Agostino, 7 giugno – 14 ottobre 1990) Genova, 1990
– G. Bruno (a cura di), Mostra di R.M. (catalogo della mostra, Genova, Accademia Ligustica 19 ottobre 1990 – 30 novembre 1990, Milano, Palazzo della Permanente, 14 dicembre 1990 – 20 gennaio 1991) Genova, Erga, 1990
– Z. Birolli Lasco Viola d’apres M. in G. Bruno (a cura di) Mostra di R.M., (catalogo della mostra, Genova-Milano, 1990) Genova, Erga, 1990
La Galleria Giannoni, (catalogo), Comune di Novara, 1993
– G. Paganelli – T. Pelizza (a cura di), Pittori liguri dal 1900 al 1940 (catalogo della mostra), Genova, 1994), Genova, Liguria & Arte, 1994
– G. Bruno (a cura di), R.M. a San Fruttuoso, (catalogo della mostra, Complesso monumentale di San Fruttuoso di Camogli 8 luglio-27 agosto 1995, Genova, Palazzo Doria, 7 ottobre-5 novembre 1995), Genova, Tormena ed., 1995
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– G. Bruno (a cura di), R.M un maestro del divisionismo, (catalogo della mostra, Acqui Terme, Palazzo Liceo Saracco, 18 luglio – 12 settembre 2004), Milano, Mazzotta, 2004
– V. Sgarbi, La visione interiore di M. in G. Bruno (a cura di) R.M. un maestro del divisionismo (catalogo della mostra, Acqui Terme 2004), Milano, Mazzotta, 2004
– G. Bruno (a cura di), Scarsa lingua di terra che orla il mare … la Liguria nella pittura e nella poesia del novecento, (catalogo della mostra, San Fruttuoso di Camogli, Complesso monumentale FAI, 2007) Genova, Erga Edizioni, 2007
– F. Dioli (a cura di), Urla e biancheggia il mar…nella pittura ligure tra ’800 e ’900, (catalogo della mostra, San Fruttuoso di Camogli, Complesso monumentale FAI, 2008) Recco, Me.Ca, 2008
– M. Fochessati, L’arte nuova. Nomellini, Pellizza, Previati e la diffusione del Divisionismo in Liguria, in Il divisionismo. La luce del moderno, F.Cagianelli, D.Matteoni  (a cura di), (catalogo della mostra Rovigo 2012) Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2012
– M. Fochessati – G.Franzone ( a cura di), R.M. tra Divisionismo e Simbolismo. Segantini, Previati, Nomellini, Pellizza, (catalogo della mostra, Genova, Palazzo Ducale, 6 ottobre 2017-4 febbraio 2018), Genova, Sagep Editori, 2017

(IDAL800900 – Istituto Documentazione Arte Ligure ‘800 e ‘900 – Archivio Rubaldo Merello)
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