Non a me, ma – se non ci avesse lasciato – a Paolino de Gaufridy, spetterebbe di diritto, per averne da lunghi anni difeso l’arte, il compito di scrivere le note introduttive a questa personale che si propone di far conoscere il maggior pittore ligure di questo scorcio di secolo a quel pubblico che ancora lo ignora.
Rubaldo Merello nacque a Genova [sic] nel 1872 e dopo essersi dedicato alla scultura, modellando con finezza e spirito di orafo strane raffigurazioni di serpenti e mostri, e tragiche maschere di furie e gorgoni, nonché la dolorosa e scarna figura di donna alta su una testa di Medusa che ancor oggi si ammira nel Cimitero di Camogli; si dedicò alla pittura.
Non stupisce che questo suo gusto di cesellatore si riveli nella scelta dei suoi soggetti, ristretti, e a volte ridotti a un semplice groviglio di rami, a ciuffi di erbe, a scorci di scogliera, ad un albero stagliato sul mare.
Nella insennatura [sic] di San Fruttuoso dove si trapiantò con la famigliuola, trovò quelle albe e tramonti che in lui destavano un’emozione poetica, per fissarli limpidi e genuini sulla tela, trasformandoli in avvolgenti effetti di luminosità.
Partito all’inizio dal pedante procedimento tecnico di accostamenti cromatici che gli erano stati suggeriti dal volume del Previati su “I principi scientifici del divisionismo “ se ne allontanò passo a passo, e per non costringere la sua tecnica in una formula senza vie d’uscita, abbandonò quel divisionismo, che pur gli aveva suggerito opere mirabili, e affidò alla nervosità del segno e dell’arabesco la sua tecnica del disegno e la sua passione di modellatore, trasformò la sua esile pennellata filamentosa in tocchi decisi e fiammeggianti con l’uso di toni gialloazzurri di sfacciata purezza, ma contenuti in un mondo di irradiazione luminosa. Mondo lontanissimo da quello, pur quasi contemporaneo, del “ fauvisme “ che da non molto s’era arenato nella mancanza d’atmosfera dei suoi eccessi coloristici.
Fu questo il periodo azzurro dei quadri della Civica Galleria di Nervi, ineguagliabili per splendore ed intensità cromatica ed in cui sembra di respirare la brezza di tramontana.
Fu anche lo Zenith dell’ arte del Merello. E questi quadri possono ancor oggi essere sprone e stimolo ai giovani che cercano nuove formule nel giuoco dei rettangoli della sezione aurea.
Morì il 31 gennaio l922 e fu sepolto nel Cimitero di Portofino. Le sue ossa, che l’esplosione di una bomba, dal gelido loculo che le conteneva, fece cadere in quel mare azzurro e puro da lui tanto amato, vi han trovato, cullate dalla risacca, ben più degna e poetica tomba.
E su quel mare si dovrebbe gettare una fronda d’alloro.