Reggio Emilia 1818 – Torino 1882
Antonio Fontanesi pittore che ha operato in Liguria
Antonio Fontanesi a quattordici anni, nel 1832, si iscrisse alla scuola comunale di Belle Arti di Reggio dove fu subito benvoluto dal professore Prospero Minghetti, che lo sostenne e incoraggiò anche dopo gli studi.
A sedici anni risultò primo pari merito al premio di paesaggio.
Nel 1842 lavorò come scenografo per il teatro Comunale di Reggio Emilia.
Nel 1850 si stabilì a Ginevra, dove ben presto si guadagnò la stima e l’appoggio di Alexandre Calame e altri: percorse così la strada del pittore “alla moda”, riempì album di soggetti “facili”, di ritratti ad amici, di pastelli delicati e ameni, una vasta produzione di schizzi a carboncino nei quali però già si nota la forte sensibilità per il chiaroscuro.
L’amicizia di V. Branchard gli assicurò contatti influenti; furono gli anni dei viaggi in Svizzera, Francia Inghilterra: nel 1855 lasciò Ginevra per Parigi, dove si recò, insieme con François Ravier, all’Esposizione universale, rivelatrice della “Scuola di Barbizon“, e dalla quale trasse ulteriori conferme al suo interesse per la pittura di paesaggio, sentita come espressione dell’animo.
Restò profondamente colpito dall’opera di Costante Troyon e Jean Baptiste Camille Corot ed entrò in contatto con il movimento romantico-naturalista.
Abbandonò il suo passato di decoratore e scenografo, rifiutando il paesaggio storico-architettonico.
Nel 1856 Antonio Fontanesi andò in Liguria a Portofino dove rimase per qualche tempo; tornò poi a Ginevra per l’Esposizione permanente di belle arti all’ateneo.
Nell’estate del 1857 andò nuovamente in Liguria, ad ammirarne la luminosità ed i suoi colori.
Nel 1861 espose a Parigi varie opere tra cui Il guado e ottenne il plauso di Jean Baptiste Camille Corot e Gustave Courbet, lo stesso anno andò aFirenze, per un primo contatto con i macchiaioli; nel 1862 fu presente all’Esposizione dì Torino.
Nel 1862 raccolse alcune sue incisioni all’acquaforte in un album.
Verso la fine del 1865 andò a Londra, dove si fermò per circa un anno, avendo così la possibilità di ammirare e studiare Turner e Constable: racchiuse il frutto delle osservazioni in un album di eliografie e acqueforti, intitolato Sketches of London.
Dopo quest’esperienza ritornò in patria per soggiornare di nuovo a Firenze, fermandosi in questa città per tutto il 1867; qui frequentò il circolo del Caffè Michelangiolo: entrò dunque in contatto con i macchiaioli.
Il 22 maggio 1868 ricevette la nomina a direttore e professore di figura presso l’Accademia di belle arti di Lucca, ma finalmente, l’anno seguente, l’8 genn. 1869, ottenne la cattedra di paesaggio alla Reale Accademia Albertina di Torino.
In questa città trovò la sua ultima sede stabile e dipinse i suoi maggiori capolavori.
Una breve parentesi fu costituita dalla Fiera universale di Vienna nel 1873
Nel 1874 all’esposizione Promotrice di Torino, fu un memorabile trionfo; i critici, sempre avari con lui, furono costretti ad un elogio senza riserve.
Come in molte sue opere, gli unici esseri viventi a comparire sono gli animali (qui due buoi): la gravità e la potenza dei loro corpi fanno risaltare tragicamente l’incombere minaccioso della bufera, colto nell’istante di cupo e drammatico silenzio che la precede.
Sono del 1881 gli ultimi viaggi a Ginevra e in Francia, poi per motivi di salute si recò a Cannobbio.
E’ senza dubbio il nostro maggior esponente della pittura di paesaggio. La novità della sua impostazione gli procurò non poche incomprensioni ed ostilità, ma anche una schiera di convinti appassionati estimatori.
Il suo valore si è comunque tempestivamente attestato, a mano a mano che si è approfondito lo studio della sua poetica, il notevole rilievo del suo discorso è emerso in tutta evidenza.
Le sue immagini solenni, di vasto respiro, hanno la sapienza di disegno della classica tradizione settecentesca e la drammatica tensione spirituale del miglior romanticismo ma – come è stato chiarito dai più recenti contributi critici – il rigore compositivo dei suoi lavori ne fa un artista modernissimo.
Proprio la composizione spaziale del dipinto è infatti l’obiettivi principale cui tende l’artista: il contesto in cui s’armonizzano l’originalissimo uso di una luminosità che sgorga dal fondo del quadro ed alimenta sapienti controluce, un segno sicuro e vibrante, ed un colore anche emotivamente efficace, sia quando si presenta tenue e delicato, sia quando si accende di cupi bagliori.
E’ appunto nel fertile contrasto fa la lucidità dell’intento compositivo e l’intensità di un sentimento che aspira all’infinito risiede la segreta suggestione dell’opera fontanesiana.