COSTA CLAUDIO 3-PITTORILIGURI.INFO

Tirana  1942 – Genova 1995

Claudio Costa pittore ligure

Claudio Costa tiene la prima residenza italiana presso i parenti a Monleone di Cicagna, in Liguria.
Nel 1950 l’artista si trasferisce a Chiavari dove frequenterà il Liceo scientifico per poi iscriversi, nel 1961, alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano.
Nei primi anni Sessanta il suo interesse si volge soprattutto al disegno e alla pittura di matrice informale. Inizia a frequentare la galleria milanese Del Grattacielo di Enzo Pagani.
Sempre a Milano, nel 1962, vince con due lavori il premio “Diomira” della raccolta Bertarelli per il disegno; nel 1963 il premio “San Fedele”.
Nel 1964 vince una borsa di studio per l’incisione indetta dal governo francese.
Va quindi a Parigi per lavorare nell’atelier di Hayter, in Rue Daguerre, a Montparnasse.
A Parigi, dove vive a Passage Rauch, vicino alla Bastiglia, impara alcune tecniche calcografiche e perfeziona la tecnica del disegno.
Nel 1965 si sposa con Anita Zeiro; nello stesso anno a Parigi nasce la figlia Marisol.
Nel 1965 conosce, nell’atelier Rue Daguerre, Marcel Duchamp che aveva fatto stampare da Hayter la sua incisione I fumatori di pipa.
Di questi anni sono le sue prime opere pittoriche che rimandano alla Pop-Art.
Partecipa al maggio francese e con un gruppo di artisti (Alechinsky, Jorn, Bona Pieyre de Mandiargues, Cremonini-Gaudibert, Matta, Dufour-Butor, Milhaud, Segui, Silva Cortazar) realizza affiches per il 1968 pubblicati nel libro Mai ’68 Affiches dalle edizioni Tchou.
Nell’autunno dello stesso anno torna in Italia e si stabilisce a Rapallo dove, tra l’altro, si avvicina alla figura e all’opera di Ezra Pound, che vi aveva a lungo soggiornato.
Qui nella grande casa messagli a disposizione dal suocero Luigi Mario Zeiro, che ha sempre avuto per lui grande affetto e stima, Claudio Costa ha il suo atelier e ospita critici e artisti tra cui Mario e Marisa Merz, Bernard Venet, Sekine, Filliou, Vostell.
Il 1969 è un anno particolarmente importante per Costa.
Inizia infatti a lavorare con materiali come la grafite, l’amido, le fotocopie, la colla, le argille, gli acidi, come racconta lui stesso in un testo autobiografico pubblicato su Materiale e metaforico (Genova, 1979).
Del 1969 è la sua personale alla galleria La Bertesca di Genova il cui direttore, Francesco Masnata, contribuisce a introdurlo nel circuito internazionale dell’arte contemporanea: dal Concettuale, all’Arte povera, a Fluxus.
Claudio Costa tra il 1970 e il 1971 concentra l’interesse sulla paleontologia come strumento di conoscenza e di riflessione sull’origine dell’uomo.
Alla fine del 1971 espone alla Produzenten Galerie — la galleria di avanguardia di Dieter Hacher a Berlino – una serie di opere ispirate al tema della preistoria.
In concomitanza con questa esposizione, pubblica, per le edizioni Masnata, il libro “Evoluzione Involuzione” che costituisce il fondamento teorico delle sue ricerche antropologiche.
Subito dopo, grazie anche ai contatti con l’esploratore Thor Heiderthal e con il museo di Wellington, realizza un ciclo di opere ispirate ai Maori della Nuova Zelanda (Geografie umane, Mappe facciali, Tatuare il tatuaggio, gli occhi dei Maori riflettono i colori latenti della foresta).
Nel 1974 gli viene dedicata un’importante mostra personale alla Ludwig Galerie di Aachefi, in Germania, dal titolo “Uber die Evolution”. Sempre in quest’anno è invitato da Gunter Metken e Uwe Schneede alla mostra “Spurensicherung: Archalogie und Errinerung” (Amburgo, poi Monaco).
Nell’estate partecipa al “Project ’74” di Colonia dove espone il Museo dell’Uomo, che poi viene presentato a Milano a Palazzo Reale, nell’ambito della mostra “La ricerca dell’identità”.
Nell’estate dello stesso anno, decide di compiere un viaggio in Marocco dove ancora si trovano culture primitive non contaminate.
Su questa ricerca, pubblica nel 1974 il libro “Due esercizi di antropologia”.
Nel 1975 Claudio Costa lavora a “Inventario delle culture”, una serie di vetrine in legno, in ognuna delle quali colloca testimonianze di culture primitive diverse, molto lontane fra loro nel tempo e nello spazio, ma legate dall’unicità dell’origine umana e dalla rassomiglianza dei miti.
A seguito di questa idea, torna nei luoghi della sua infanzia, sulle colline della Fontanabuona, insieme all’amico pittore Aurelio Caminati e, nel settembre 1975, crea a Monteghirfo il Museo di Antropologia Attiva, incentrato sull’idea che l’oggetto, per non perdere il suo “statuto antropologico” (l’antico gesto di fabbricazione), doveva essere visto e capito nel suo luogo di appartenenza e di significanza.
È il museo che si sposta attorno all’oggetto con un geniale ribaltamento del ready-made duchampiano.
Nel lavoro Le case di fango, del 1976, interpone le immagini e le ricostruzioni del museo di Monteghirfo con i calchi e le ricostruzioni di un Museo di Storia Naturale.
Nel 1977 si trasferisce a Genova e, nello stesso anno, partecipa a “Documenta 6” con l’opera Antropologia riseppellita.

In questo periodo teorizza il ciclo di lavoro “Work in regress”, speculare e complementare a quello di James Joyce “Work in progress”.
Nel 1978 installa una grande scultura al museo Vostell di Malpartida di Càceres, nell’Estremadura, nel sud della Spagna e partecipa a Bologna alla mostra “Metafisica del quotidiano“, dove espone lavori sugli indiani Pueblo del Nuovo Messico, strettamente collegati alla sua scoperta dell’alchimia.
Nel 1981 è invitato da Erika Billetter alla mostra “Mithos und Rithual” alla Kunsthalle di Zurigo.

Nel 1985 la visita alle grotte di Lascaux in Francia è fra le concause dell’evoluzione della ricerca dell’artista dalla prima alla seconda fase alchemica.
L’ultimo lavoro della fase prettamente alchemica è Diva bottiglia (per un museo dell’alchimia) che espone alla Biennale di Venezia del 1986 nella sezione “Arte e alchimia”, curata da Arturo Schwarz.
A partire dal 1987, comincia a usare lamiere, legno annerito, ferro e altri materiali; l’iconografia si fa più essenziale, spesso monocroma o giocata sul contrasto fra due elementi.
Dal 1988 lavora all’ospedale psichiatrico di Genova Quarto come terapeuta artistico e, dal 1989, prende a collaborare con il Centro Diurno di Salute Mentale.
Claudio Costa ha, all’interno dell’ospedale, un grande atelier.
In questo periodo fonda l’Istituto per le materie e le forme inconsapevoli (Arte della persona) che si occupa, principalmente, dello sviluppo e della creatività nell’ambito psichiatrico e della fondazione del “Museo Attivo delle Forme Inconsapevoli”, che espone opere dei malati insieme a opere di artisti.
Nel 1990 Costa compie un viaggio in Africa dove ritornerà più volte sino al 1993.
Il suo progetto culturale è ora incentrato sullo scambio tra il mondo occidentale e quello africano.
Ciò che in questo periodo lo interessa particolarmente è l’idea di creare un museo in cui siano esposti i lavori realizzati sul posto da artisti occidentali e artisti africani.
Nel 1994 realizza un mobile marmorizzato che, costituito da un vecchio schedario della struttura ospedaliera, come i precedenti mobili-museo, compendia il suo lavoro di quegli anni.
Nel 2000 il Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce a Genova gli dedica l’antologica dal titolo “L’ordine rovesciato delle cose”.

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