Villa Contarini a Piazzola sul Brenta propone, dal 21 febbraio al 2 giugno, la più estesa mostra di disegni di Giuseppe Cominetti allestita in Italia dagli anni Trenta. Unico tema di questi potenti lavori è la Grande Guerra.
La mostra, curata da Beatrice Buscaroli Fabbri, è stata voluta dal Vice Presidente e Assessore alla Cultura della Regione del Veneto, Onorevole Marino Zorzato, nell’ambito delle iniziative regionali venete per il Centenario del conflitto, con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Struttura di Missione per gli Anniversari di Interesse Nazionale.
“Cominetti riesce a fare una sintesi di cosa sia effettivamente stata, al di là di ogni retorica, la guerra del ‘14-‘18”, afferma Zorzato. “Nei suoi momenti epici, ma anche e soprattutto nelle terribili sofferenze che hanno accomunato chi in queste terra era dentro le trincee del fronte e chi, curvo come certi coltivatori di patate di Van Gogh, da qui veniva sfollato, profugo alla ricerca di asilo lontano dal cratere infuocato di morte delle nostre montagne”.

Sono passati 85 anni dall’ultima, grande mostra di disegni di guerra di Cominetti, all’epoca accolta dal ridotto del Teatro Quirino di Roma.
L’artista, che l’anno successivo sarebbe scomparso, non era potuto essere presente.
Per l’occasione Marinetti pronunciò quello che le cronache riportate da “L’Impero” tramandano come “un fervido discorso”.
L’Accademico d’Italia evidenziò il raggiungimento dei “vertici dell’epica nella sintesi rigorosa ed espressiva del tratto, nel vigore rappresentativo della composizione, nel senso eroico dei ritmi titanici e nella profonda verità dell’atmosfera ambientale”.
Aggiungendo note di roboante retorica, figlie dell’elogio marinettiano della guerra come “sola igiene dei popoli, martirizzati dal pacifismo”.

Tutto questo oggi si è decantato.
E la mostra in Villa Contarini, con la scabra potenza del segno, restituisce un artista di notevolissima levatura e un documentarista di grande efficacia.
Non è un caso se alcuni di questi disegni erano destinati a raccontare la guerra, già dagli inizi nel ’14 sulle Ardenne, ai lettori di riviste illustrate francesi.
Sul fronte, prima francese poi – da volontario – su quello italiano, Cominetti fu soldato al fianco di tutti gli altri soldati, visse dentro quelle trincee e sotto il fuoco austro-ungarico sul Grappa, documentando da artista qual’era ciò che vedeva e soprattutto viveva.

Nei disegni, di diversissima dimensione, numerosi i molto grandi, egli fa sintesi di infinite realtà che lui e gli altri vivono quotidianamente: i corpo a corpo dei fanti, i cumuli di morti, le sortite della cavalleria, le cadute degli aeroplani, gli scoppi delle granate, i momenti di riposo, meglio di abbandono, nelle trincee e nei ricoveri.
Ma anche l’esodo dei profughi veneti sotto i loro carichi di masserizie, lo sfacelo delle case, i buoi abbandonati tra i solchi sotto le granate. Insomma il volto tremendo e vero della guerra, reso con l’essenza del bianco e nero della semplice matita e “con la luce dell’anima, dell’artefice capace di rischiare, nel magico lampo magnesiaco della verità estetica rivelata, i cuori dei compagni reduci” (“il Lavoro” del 30 giugno 1929).

Quelle di Cominetti sono certo ineguagliate pagine documentarie, che come tali sono entrate in musei e centri di documentazione in tutta Europa.
Ma sono anche e soprattutto superbe opere d’arte, di un artista che trovò una strada autonoma tra divisionismo e futurismo e nuove avanguardie, dimostrando l’eccellenza come pittore, disegnatore, scenografo, costumista e persino designer tra l’Italia e Parigi.
Prima di essere annullato, lui che aveva superato anni di prima linea, da un banale incidente in motocicletta.

“Se Munch, col suo grido, è stato capace di rendere visibile un suono umano, Cominetti sa far gridare di morte un cavallo”, afferma nel catalogo Beatrice Buscaroli Fabbri. “Non simbolismo, non realismo, non guerra né interventismo.
Non c’è soltanto la necessaria e urgente obbedienza al realismo, non osservazione o “corrispondenza”.
C’è il grido muto dell’orrore che trascorre dagli uomini agli animali attraversando reticolati e fili spinati.
Incomprensibili.
Incomprensibili fino a quando non assumano forme di croci – tutti i reticolati sono croci – , o quando Cominetti non decida di far somigliare alberi stecchiti a quelli di un calvario infinito e senza storia. Soprattutto senza date”.
“Piccole sagome di marionette azzoppate che ritrovano soltanto in pittura una loro perduta umanità.
Schegge di forme disgregate e slentate nei fili che a tratti sembrano espressioniste, a tratti ricordano le litografie del primo Quattrocento tedesco.
Ma non basta.
Dalle Ardenne al Grappa, dalla Francia all’Italia, il diario pittorico di Cominetti è un solo canto feroce e ferito che illustra per non arrendersi.
Per non fare arrendere quello che è rimasto dell’uomo”.
“Non solo dolore, non solo paura: ma soprattutto un inspiegabile stupore”.