Torino 1886 – 1962
Agostino Bosia pittore che ha operato in Liguria
Agostino Bosia appartiene a quella generazione torinese, ricca di talenti (Carena, Ferro, Alciati, Reviglione, Valinotti, Buratti, Manzone e altri), che per prima, tra fine Ottocento e il secondo decennio del Novecento, ha saputo sottrarsi alla cultura ormai ingessata e tradizionalista dell’Accademia ed aprirsi, ad ampio raggio, alle esperienze provenienti dall’area simbolista d’Oltralpe, animata da fermenti di modernità.
Sfortuna ha voluto che questa generazione non abbia visto riconosciuti i suoi titoli di merito, oscurata dall’ avvento sulla scena torinese di Felice Casorati, artista formatosi su modelli secessionisti non troppo diversi da quelli a cui avevano guardato i coetanei torinesi, a cui la critica, da Gobetti a Venturi in avanti. ha riconosciuto in maniera esclusiva le stimmate della modernità.
A testimoniare la difficoltà di classificazione della pittura di Bosia in questo particolare momento è la recensione alla mostra della Promotrice di Gigi Chessa sulla Gazzetta del Popolo del 12 Ottobre del 1919, nella quale il giovane allievo di Bosia coglieva gli equivoci interpretativi di certa critica tradizionali sta che bollava Casorati come ‘”futurista” e collocava Bosia, insieme a Carena, Romanelli, Penagini, Wildt, Carpi e addirittura Previati, tra gli ‘”avanguardisti spinti” mentre ai suoi occhi si mostrava “più che mai ligio e rispettoso alle più nobili tradizioni nel suo grande quadro!” Chessa chiudeva il suo intervento con un’ interrogazione ironico-retorica.
Nel 1910 Bosia inizia ad esporre opere di paesaggio che si collocano su una doppia direttrice, da un lato. su una linea di ricerca ispirata sul piano tecnico-stilistico ai modelli di Antonio Fontanesi, il rinnovatore della tradizione del paesaggio piemontese nella seconda metà dell’ Ottocento, dall’ altro, su quella tesa al recupero delle atmosfere e delle misteriose suggestioni dei notturni in consonanza con il paesaggio-stato d’animo di ascendenza romantico-simbolista.
Agostino Bosia nel 1912 la Secessione Romana si fece promotrice di una serie di esposizioni di opere. Le sue quattro edizioni saranno l’occasione, per gli artisti italiani, di un aggiornamento sui più recenti movimenti artistici europei rappresentati al massimo livello dalle personalità più significative dell’ epoca, ma anche una vetrina per i maestri già affermati e per le giovani generazioni italiane, presenti in gruppi regionali, dai veneti di Cà Pesaro (Casorati, Cadorin, Zecchin e altri), ai bolognesi (Corsi, Fioresi, Protti, Morandi), dai romani (Innocenti, Noci, Prini) ai toscani (Nomellini, Chini, Spadini. Chaplin).
Bosia espose a tutte e quattro le mostre insieme ad altri piemontesi come Carena, già trasferitosi a Roma, ed Evangelina Alciati presentando un repertorio completo della sua produzione, ritratti, paesaggi e nature morte.
A Bosia, apparteneva anche l’esperienza pittorica di Bistolfi che nelle sue tavolette di paesaggio innestava su un tronco naturalista di osservazione e interpretazione del vero prossime a Delleani, una tecnica di vaga ascendenza divisionista basata sull’uso tendenziale di colori puri, apposti con tocchi vibranti, in punta di pennello o lavorati a spatola, ricchi di materia e di luce.
L’uso della spatola, acquisito in maniera magistrale da Bosia cambiava radicalmente il principio della pittura che non consisteva più nella stesura diluita e piatte dei colori sulla superficie, ma nella modellazione plastica e costruttiva della materia cromatica, nel suo consistente spessore, direttamente sul supporto.
Sulla base di questi impulsi, a partire dagli anni del dopoguerra si registra nel paesaggio di Bosia un progressivo cambiamento di intensità cromatica che lo porta a sostituire la tavolozza povera, dominata dai toni bassi delle terre, dei grigi e dei bianchi gessosi, con timbri più squillanti, con un cromatismo più acceso, ottenuto mediante accostamenti di colori puri e luminosi.
Con lo stesso gusto per la sostanza materica e per la modellazione della pasta cromatica realizzerà luminescenti marine riprese dal vero durante i suoi frequenti soggiorni in Liguria dando una propria interpretazione del “paesaggio-stato d’animo” di derivazione romantica, riattivato a fine secolo dalla sensibilità simbolista riattivato a fine secolo dalla sensibilità simbolista.
In esso l’artista proiettava la propria disposizione sentimentale e, come un veggente, andava alla ricerca di quelle misteriose e magiche corrispondenze che legano l’uomo alla natura.
Bosia. con maggiore coraggio e coscienza del proprio valore e una più approfondita conoscenza di certi sviluppi della pittura europea in senso espressionistico, aveva le carte giuste da giocare in antitesi alla pittura vincente di Casorati.
Nella sua produzione di piccole tavolette di paesaggio, fossero esse marine liguri o della Versilia, scorci di paese o colline piemontesi. c’erano i germi di un espressionismo che si abbandonava all’ emozione, ad un rapporto vissuto e coinvolgente con le cose fatte emergere col lavoro di spatola dal caos primordiale della materia.
Nella seconda metà degli anni Trenta la sua parabola artistica raggiunse il suo culmine per poi assestarsi sul piano di un più tradizionale naturalismo, sereno e psicologicamente disteso.
Se l’intelligenza critica di ltalo Cremona aveva colto con sensibilità e partecipazione le caratteristiche salienti dell’opera del maestro torinese, le recensioni critiche alla sua retrospettiva del’ 40 esprimevano già pesanti riserve, qualificando il suo linguaggio come ‘anacronistico”.
Iniziava quella incomprensione della sua pittura, quella emarginazione e non condivisi bile sottovalutazione della sua esperienza artistica che solo in anni recenti sembra registrare un’ inversione di tendenza.